"Percheeeeeé lo faiiiiii” cantava Marco Masini nel lontano 1991, anno peraltro significativo per il tema che andremo a trattare (e a breve vedremo perché). Pur non piacendoci affatto il cantautore toscano, sarebbe questo il ritornello che vorremmo cantare a squarciagola a molte band da noi amate che, di punto in bianco, hanno deciso di stravolgere il proprio sound, incappando il più delle volte in veri e propri harakiri artistici. Ma la nostra nuova rassegna non vuole essere la lista degli album più brutti del metal: sarebbe troppo noioso ritornare sui soliti “Load”, “Reload”, St. Anger” (con i Metallica, in effetti, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta…), infierire su “Risk” dei Megadeth o peggio ancora sprecare meningi e fiato per un lavoro semplicemente incomprensibile come “Illud Divinum Insanus” dei Morbid Angel...
No, la nostra rassegna intende fare un passo indietro e trattare il cambiamento nel metal circoscrivendolo a quegli album che si sono dimostrati un fatale “punto di non ritorno” per band che avevano in precedenza imposto il proprio nome identificandolo con un sound ben preciso e nei fatti vincente. Victims of Change, potremmo dire parafrasando il titolo della mitica “Victim of Changes” dei Judas Priest, tanto per fare una citazione più nobile rispetto a quella utilizzata nell'incipit...