"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

11 giu 2019

AVEVANO RAGIONE I POSSESSED: NON C'E' PIU' POSTO ALL'INFERNO - LIVE AT THE UNDERWORLD, LONDON (06/06/2019)


6/6, ore 6. No, non siamo in un racconto scaturito dalla penna di King Diamond, ma davanti all’Underworld ad aspettare che apra il portone: stasera suonano i mitici Possessed, tornati in corsa dopo un silenzio discografico lungo più di trent'anni. 

La mia presenza all’evento non era affatto scontata: del resto non sono andato a vedere i Voivod perché non c’è più Piggy, ho disertato la tappa londinese del tour dei Marduk perché è rimasto solo Morgan, quella dei Pestilence perché Mameli è l'unico superstite, e ho pure finito per snobbare gli I am Morbid di David Vincent, ma qui, del resto, si parla della cover-band dei Morbid Angel... 

E allora perché decido di non mancare all’appuntamento con i Possessed, visto che della formazione originaria sopravvive solo Jeff Becerra? Ci sono in realtà vari motivi. Certamente “Seven Churches” è un classico che ogni cultore del metal estremo dovrebbe conoscere a memoria, ma oggi sono qui per celebrare non i vecchi, bensì i nuovi Possessed, autori di quel “Revelations of Oblivion” che a parere di chi scrive si candida a disco dell’anno. Ma più di ogni altra cosa sono qui a rendere onore a Jeff Becerra, che coraggiosamente si è imbarcato in questo tour con tutti i disagi che sono associati al fatto di sedere su una sedia a rotelle. In un mondo di reunion fasulle, sento che il suo è un ritorno sincero, confermato da una release discografica a dir poco superba e che non rappresenta, come in molti altri casi, una scusa per spillare qualche spicciolo ai fan più fedeli. Quella di Jeff, in definitiva, è per tutti noi una lezione di tenacia, integrità e grande forza interiore. E stasera, di tutto questo, ne avremo una brutale conferma. 
Precisiamo anzitutto che non sono veramente le ore sei, bensì le sette e mezzo passate. Volevamo un inizio ad effetto per questo nostro resoconto, ma ad onor del vero ci siamo recati allo storico locale di Camden Town con molto calma, per niente preoccupati dell’eventualità di un tutto esaurito, cosa che nei fatti non si è verificata. Il locale, ad ogni modo, non è affatto vuoto, brulicante di esseri assai sgradevoli alla vista. La Vecchia Guardia presenzia con onore, ma i giovani non mancano ed anzi possiamo dire, nel più retorico dei modi, che stasera le generazioni si intrecciano armoniosamente (da segnalare la presenza anche di un padre con figlio adolescente), accomunate non solo dalla passione per la musica, ma anche per un altro lampante comun denominatore: il fallimento sociale. Sfigati di tutta Londra unitevi (e venite a vedere i Possessed…), verrebbe da dire. Il panorama è a dir poco avvilente: casi umani e disadattati dappertutto, gente fuori forma fisica, tagli di capelli in stile biennio 1985-1986, occhi spenti, tappi negli orecchi (ahiahiahi), berretti con visiera, giubbetti con toppe, insomma, il peggio che il mondo del metal vecchia maniera può ancora offrire nel 2019. La percentuale di esponenti del genere femminile (che di solito ingentiliscono l’ambiente) si approssima comprensibilmente allo zero: delle poche presenti, la maggior parte delle ragazze sono brutalmente accompagnate e quelle che sembrano libere si capisce che stanno insieme ai musicisti che suonano sul palco. C’è un angelo biondo in mezzo alla fetente mischia, sembra sola, quindi abbordabile, ma la cosa desta troppo sospetto e nessuno si azzarda ad avvicinarla. Ma passiamo alla musica... 

Capitolo uno: ma davvero c’è ancora gente che strappa la Bibbia? 
Speravo di evitarli, ma quando arrivo è ancora in corso l’esibizione dei NahemiA, inutile band inglese poco più che esordiente, con all’attivo un demo ed un paio di singoli. Saltano subito all’occhio due teste di maiale infilzate ai lati del palco e la figura "malefica" del cantante: torso nudo e fisico rachitico, cartucciera d’ordinanza, topo appeso alla cintura (mi auguro per lui che sia vero, perché un topo finto alla cintura non avrebbe davvero senso), pugnalone sacrificale in mano, face-painting molto simile a quello di Dead. Insomma, si capisce subito che abbiamo a che fare con i Mayhem de’noantri e  l’accostamento è ovviamente imbarazzante, anche solo per il fatto che siamo nel 2019. 

Non ci si farà mancare nemmeno la scena in cui la Bibbia viene strappata: un vero “must” secondo il manuale del piccolo blasfemo (una pratica che negli anni ha saputo raggiungere le grandi arene grazie a Marilyn Manson - pensate voi la cattiveria!). Le macchie di sangue sul corpo del cantante fanno presupporre che prima del mio ingresso si deve essere consumato anche l’immancabile rito della sorsata di sangue dal calice, con altrettanto immancabile sbrodolata su mento e petto. Il problema è che i Nostri non sarebbero nemmeno poi così malvagi musicalmente (il loro black metal di marca norvegese, seppur prevedibile e per niente originale, scorre tutto sommato gradevolmente), ma la sequela impressionante di luoghi comuni che riescono ad inanellare (da non dimenticare i teschi sugli amplificatori e qualche candelabro) li fa scadere continuamente nel ridicolo. Per concludere in bellezza, alla fine del set si accendono bruscamente le luci e scatta l’allarme anti-incendio per via, suppongo, del troppo incenso nell'aria. Ne hanno di strada da fare, i bimbi. 

Capitolo due: la fatica di essere blackster... 
Dopo gli inglesi che volevano fare i norvegesi, è la volta dei norvegesi che vogliono fare gli svedesi. Quello dei Nordjevel è un black metal marziale dalle spiccate tinte epiche e guerrafondaie che strizza l’occhio in più di un frangente ai Marduk. Ma se anche qui l’originalità non è di casa, c’è da dire che, rispetto ai predecessori, la proposta del quintetto sembra assai meglio strutturata. In particolare le due asce ergono un muro di suono decisamente convincente: intrecci che ora guardano al sound affilato degli Immortal, ora a certe melodie baldanzose che hanno reso celebri i Satyricon, con gradite sconfinate in territori thrash metal. E' inevitabile dunque che scatti qua e là il brividino. Fra i momenti topici sono da segnalare l’entusiasmante duello chitarristico in “Devilry”, le sfrigolanti melodie della cupa “Black Lights from the Void” e l'anthemico mid-tempoNazarene Necrophilia” (titolo pessimo, ma ritornello apprezzabile), tutte pescate dall’ultimo full-lenght Necrogenesis”, fresco fresco di stampa. 

Che fatica però essere blackster: tutti borchiati, chiodati, pitturati, chi addirittura con le lenti a contatto che fanno gli occhi bianchi (brrrrrr pauraaaa). Dev’essere proprio una menata pazzesca ogni volta agghindarsi prima di salire il palco e poi rimanerci per la durata dell’esibizione. Il cantante è il classico cantante black metal pelato e/o rasato a zero, categoria che fondamentalmente mi sta sul cazzo. Il Nostro comunque sfoggia uno screaming assai potente, sovente supportato dal growl pastoso del pantagruelico bassista (che da solo occupa tre quarti di palco, nda). Inutile quanto deleterio, nel finale, perdere credibilità ripresentandosi con un viscido cappuccio che sembra fatto di gomma sciolta. Diciamo che per queste cose Attila Csihar ci basta ed avanza... 

Capitolo tre: Possessed, gente seria
Insomma, le buffonate si sono sprecate sul palco dell’Underworld stasera, per questo accogliamo con un certo sollievo la figura sobria e rassicurante da cuoco messicano di Emilio Marquez, con il suo berrettino e il suo fare da professionista dietro al mastodontico kit di batteria. Fra rullate supersoniche e strani suoni di campane, l’accordatura dello strumento dura un’infinità di tempo. Siamo in ritardo di più di mezzora sulla tabella di marcia, cosa veramente insolita per Londra, tanto che ci si inizia a preoccupare: che si sia verificato qualche imprevisto? O semplicemente la sola presenza dei Possessed ci riporta a quel passato nefasto in cui i sound-check duravano ore? Nel frattempo si sono mescolati alla folla il cantante e il chitarrista dei NahemiA, ancora con il face-painting, ma vestiti in “borghese”, ricordandomi quei momenti in cui l’Uomo Tigre si presentava in giacca e cravatta. 

Ecco che, spentesi le luci, si materializzano come da copione le note dell’intro orchestrale “Chant of Oblivion”, durante la quale senza clamore fanno il loro ingresso i membri della band. E’ una vera emozione veder schizzare la testa di Jeff Becerra al centro dello stage: rispetto a certi video di qualche anno fa, il nostro sembra dimagrito e decisamente in forma. Gli applausi e le esultanze sono tutte per lui: grande Jeff, ci auguriamo che il nostro calore ti ripaghi almeno in parte delle amarezze che la vita ti ha riservato! 

Attacca “No More Room in Hell”, micidiale opener dell’ultimo album: il sound è grasso ed impastato ma efficace. La voce c’è ed è un’altra emozione ascoltare dal vivo quel canto gutturale che in definitiva è stato il primo growl della storia, modello ripreso da tutti i cantanti death metal a venire, Chuck Schuldiner per primo.

Se i Possessed suonino thrash o death metal è una disquisizione oziosa che non ha molto senso stasera: potrei ribadire la mia personale opinione, ossia che essi siano indubbiamente più vicini al death metal, pur non essendolo ancora in senso compiuto e che, pertanto, per ragioni di logica classificatoria, sono ancora da considerare thrash. Ma sinceramente quello che stasera prevale è la brutalità della proposta mischiata a quella genialità compositiva che si mette al servizio della violenza (ed è questa forse la vera lezione impartita alle band death metal). Del resto i Nostri sono stati i protagonisti di una fase primordiale del metal estremo, un calderone senza etichette in cui potremmo mettere anche i primi Sepultura e gli Hellhammer, in cui il rozzo sound venomiano veniva ulteriormente estremizzato, mettendo un pugno di intuizioni vincenti a disposizione di una generazione successiva di musicisti che avrebbero in seguito codificato linguaggi e generi a sé stanti. 

Di questa brutalità primigenia se ne rendono conto un po' tutti grazie al primo assaggio di “Seven Churches”: la devastante “Pentagram”, seconda traccia in scaletta (e per il sottoscritto miglior momento della serata). Dopo qualche titubanza il pogo esplode senza reticenze, animato da una decina di facinorosi ed assecondato da molti presenti che a fasi alterne si sono prestati al massacro. Impatti secchi, spallate fra montoni, abbracci affettuosi, spintoni a tradimento, gente che rotola sopra le teste, gente che cade rovinosamente sul pavimento, presto raccolta per quell’antico codice d’onore del pogo secondo cui ci si fa male ma non ci si vuole uccidere a vicenda. Curioso notare che al termine del brano quei due cattivoni dei NahemiA scapperanno a gambe levate, visibilmente preoccupati dalle circostanze (ma tornatevene a casa, pivelli!).

Anche il piccolo Underworld, che fino a quel momento ci aveva garantito suoni tutto sommato decenti, non sembra reggere la forza d’urto dei Possessed: la situazione è totalmente fuori controllo, sia per quanto riguarda la resa sonora (assai caotica) che per quanto riguarda quello che accade sotto il palco (curioso notare un cartello che indica che è vietato fare stage-surfing, quando invece sembra di essere a Fuerte Ventura…). Meglio mettersi di lato accanto a padre e figlio. 

Questa di Londra è la prima data del tour europeo, la prima di questo tour a supporto di “Revelations of Oblivion”, ma a grandi linee sappiamo cosa aspettarci, considerata la risicata discografia dei Nostri (solo tre album ed un EP). Il set di un’ora ed un quarto confermerà le aspettative, integrando i nuovi brani (“Demon”, “Abandoned” e “Graven” non sfigureranno accanto al repertorio del passato) con quei classici che nei decenni hanno assunto i contorni del Mito, ispirando più generazioni di band dedite al metal estremo. Episodi del calibro di “The Eyes of Horror” e “Heretic” (con la sua introduzione melodica – momento quasi commovente) non lasciano certo indifferenti, ma a fare davvero male sono gli estratti da “Seven Churches”, che ritorna nel finale con una tripletta niente male: "The Exorcist", aperta come su disco dalle note della colonna sonora de "L'esorcista", “Fallen Angel”, con tanto di scampanate da parte del maestro Marchez, e l'immancabile “Death Metal”, il cui ritornello ha dato al pubblico l’occasione per fornire il proprio contributo vocale. 

Devo ammettere che quando vengono annunciati due ulteriori brani, nonostante il tono soddisfatto di Becerra sembrerebbe far presupporre un generoso fuori-programma (per la cronaca: egli conserva la voce roca anche quando si rivolge al pubblico - sembra quasi un Warrel Dane dopo sei pacchetti di sigarette), la notizia desta in me un po’ di preoccupazione, in quanto le orecchie sono già da buttare nel cesso. Meno male che i brani dei primi Possessed durano poco e così l’ultimo sorso di brutalità della serata non è poi così gravoso. Il locale è oramai una matassa di corpi sudati che si aggrovigliano senza logica, mentre dagli amplificatori viene vomitata una sbobba di metallo informe, rimbombante ed irriconoscibile, con le note di “Burning in Hell” a mettere finalmente il sigillo a quella che stava per divenire una situazione fisicamente e mentalmente insostenibile. 

Mi sarei aspettato più precisione da parte della band, ma anche quello dell’esecuzione è un aspetto che passa in secondo piano dal momento che, a prescindere dai brani presentati e da chi stava sul palco, ognuno stasera ha recitato la sua fottuta parte in un film che veniva proiettato nella propria testa.

Per quanto mi riguarda, quello che ho apprezzato di più è stato vedere il volto sorridente e sinceramente soddisfatto di Jeff Becerra ripiegato sulla sua carrozzella. Nonostante una così lunga scomparsa dalle scene, egli torna a ricevere gioie dalla musica e sembra davvero sorpreso nell'incontrare l’affetto e l’energia di così tanti fan dall'altra parte dell'oceano (cosa che non era scontata). Dopo le pose arcigne e fintamente malvagie di quei pagliacci pitturati che prima di lui si sono avvicendati sul palco, sono queste scene che danno forza di vivere, che ci fanno capire quanto siano futili molte delle nostre preoccupazioni, in confronto alla tragedia vissuta da quest’uomo che ha visto i suoi sogni infrangersi insensatamente a vent’anni, ma che oggi ritorna, dall’Inferno della sua storia personale, a riscattare il proprio posto nel mondo grazie alla musica. 

Avevano ragione i Possessed: non c’è più spazio all’Inferno!