Mi
ricordo che in un'intervista la pop star Madonna, riferendosi al
proprio processo creativo, disse una volta: "E così vado in studio e vedo
se con i ragazzi salta fuori qualche idea", intendendo, per ragazzi, il
folto stuolo di collaboratori, produttori, tecnici del suono, musicisti e
insegnanti di yoga e pilates a sua disposizione. Un'affermazione del genere
trova poco senso nel metal, visto che esso è storicamente un genere che nasce
dalle cantine e che solo a composizione ultimata si riversa in studio per
l'incisione.
Eppure
anche nel metal il ruolo del produttore non è affatto secondario, basti citare
nomi come Rick Rubin, Bob Rock e Scott Burns, accorti
mestieranti che hanno saputo influire in modo determinante sull'evoluzione
delle band che hanno via via seguito. Oggi però parliamo di due produttori che,
nel corso degli anni novanta, hanno saputo cambiare i connotati al volto del
metal estremo di marca europea: Waldemar Sorychta e Peter Tagtgren.
Il
nome di Waldemar Sorychta si lega inevitabilmente a capolavori come "Wildhoney"
dei Tiamat, "Wolfheart" dei Moonspell, "Mandylion"
dei Gathering, "Passage" dei Samael, "Frozen"
dei Sentenced, giusto per citare i nomi più significativi. Ma la lista
dei clienti "di lusso" che si sono rivolti a Sorychta per la
produzione dei propri lavori proseguirebbe oltre: in essa infatti troviamo anche
dei giovanissimi Unleashed (in occasione del debutto "Where No
Life Dwells", il quale richiedeva un sound diretto e
belligerante che il Nostro seppe puntualmente fornire), dei maturi e già
affermati Therion (presi in carico da "Vovin" in poi -
cosa da non sottovalutare: "Vovin", da molti considerato il
capolavoro degli svedesi, gode di suoni splendidi, ideali nel supportare quel sound
così maestoso, complesso e sfaccettato che sa mettere insieme musica classica,
opera, elementi etnici e heavy metal), i nostrani Lacuna Coil
(accompagnati verso il successo mainstream) e poi ancora Borknagar,
Alastis, Tristania e molti altri.
Torniamo
tuttavia ai primi cinque emblematici titoli da noi enunciati: ciascuna di
quelle opere è stata nel proprio ambito di fondamentale importanza e tutte
insieme sono accomunate dal coronamento di un intento, ossia quello di rompere
gli schemi e passare dal metal estremo a qualcosa di diverso, più ampio e più
maturo. Cosi i Tiamat approdavano alla maestosa psichedelia dei Pink Floyd,
i Moonspell spingevano il black metal verso inediti lidi gotici caratterizzati
da seducenti atmosfere da "Le mille e una notte" (retaggio
delle conquiste arabe in terra portoghese), i Gathering, forti della portentosa
ugola della new entry Anneke van Giersbergen, venivano
riverniciati a nuovo con intriganti tinte progressive, mentre i Samael venivano
addirittura lanciati nello spazio a flirtare con l'elettronica e la musica
industriale. Quanto ai Sentenced, si avviava per loro il periodo di maggior
popolarità, grazie all'approdo ad un sound più melodico che li
traghettava dalle parti di un orecchiabile ma avvincente goth-rock. Dietro a
queste coraggiose scelte vi è stata la stessa identica sapiente mano, capace di
governare le energie creative degli artisti e di dirigerle in modo credibile
verso nuovi ed ignoti orizzonti: quella mano era di Waldemar Sorichta.
Classe
1967, polacco di nascita, egli ha un background da musicista, la
chitarra è il suo strumento prediletto, ma si difende piuttosto bene anche
dietro a quelle stesse tastiere che tanto hanno influito nella configurazione
del nuovo sound delle band da lui seguite come produttore. Egli è stato
anche titolare di vari progetti, fra i quali primeggiano quei Grip Inc.
che dovettero la propria fama al fatto di aver ospitato dietro alle pelli un
certo signore di nome Dave Lombardo all'indomani della sua eclatante
fuoriuscita dagli Slayer. Sebbene i lavori dei Grip Inc. fossero tutti
di buona fattura, non si capisce come mai colui che sarebbe divenuto il guru
nel “gothic metal illuminato” si fosse imbarcato nei mari in secca del
thrash metal, che nel corso degli anni novanta non viveva sicuramente il suo
periodo migliore. Ma il problema non era tanto il genere suonato, quanto il
fatto che, come molti produttori, Sorychta è un musicista senz'anima. Dotato
tecnicamente, e per certi aspetti in possesso di uno stile personale,
difficilmente il Sorychta chitarrista ci ha fatto scorrere i brividi lungo la
schiena. Di contro, come produttore, gli dobbiamo praticamente lo sviluppo del
gothic metal in tutte le sue forme. Certo, la materia prima era di eccellente
qualità, ma l'ottima riuscita dei prodotti di band così diverse per background,
sensibilità, intenti, ma anche per provenienza geografica (dal Portogallo alla
Finlandia, passando da Italia, Olanda e Svezia!), è probabilmente adducibile
alla mano occulta che ammaestrava questi incredibili talenti: una mano che
sapeva individuare le potenzialità inespresse, incanalare le energie,
svilupparle verso certi orizzonti e non altri. Una mano che, all’occorrenza,
interveniva direttamente laddove necessario: basti pensare che per "Wildhoney"
(per il quale Sorychta vinse anche un premio nel 1995 come miglior album
prodotto in ambito gothic) il Nostro si fece carico di tutte le parti di
tastiera (che in quel lavoro non erano certo poca cosa…).
Per
Peter Tagtgren il discorso è diverso: svedese, classe 1970, egli nasce come
musicista, e come leader degli Hypocrisy si iscriverà di diritto
fra coloro che nel corso degli anni novanta sapranno rivoluzionare il death
metal in direzione melodica e progressiva. C'è da dire però che anche come
autore il Nostro aveva già la testa da produttore, in quanto il cocktail
sonoro da lui approntato era troppo oculato per essere figlio della sola
urgenza comunicativa. Riascoltando il masterpiece "Abducted"
si ha infatti l'impressione che tutto sia perfettamente al suo posto: il brano
veloce, il brano cadenzato, screaming e growl, che si bilanciano
perfettamente, voci pulite distribuite in modo equilibratissimo, l'assolo
melodico, l'arpeggio, i tappeti di tastiera al momento giusto, la ballata, il
ritornello orecchiabile, tutto è esattamente dove deve stare. I suoni poi sono
nitidi in modo che tutte le sfumature siano udibili: una produzione perfetta
che lo è forse anche troppo. L'unica caratteristica del Tagtren produttore un
po' anomala è quella dissolvenza nel finale che a volte si porta via troppo velocemente
la coda della canzone, ma secondo me è cosa voluta, laddove appunto la “volpe”
non vuol rischiare di annoiare l'ascoltatore con una dissolvenza troppo lunga.
Fra le band preferite di Tagtgren ci sono i Kiss, paraculi per
eccellenza del rock anthemico, e lo svedese un po' eredita quella
concezione pratica secondo cui tutto deve durare finché ha senso e non annoia.
Tuttavia
il modo di produrre di Tagtgren è un po' freddo e secondo me ha finito per attenuare
la verve di qualche lavoro prorompente, ingentilendolo eccessivamente
nei suoni. Procediamo con calma: i più grandi successi di Tagtgren sono stati i
Dimmu Borgir (presi in carico da "Stormblast" e
gradualmente accompagnati alle grandiosità sinfoniche della maturità) e i Marduk
(con cui il Nostro lavorò a partire del capolavoro "Heaven Shall
Burn...When We are Gathered", che coincise con l'inizio del vero
splendore per gli svedesi). Da un lato, dunque, la band black metal norvegese plastificata
per eccellenza, dall'altro un’altra black metal band “fighetta” che, pur non
rinunciando ad un approccio violento e senza compromessi, decise di prendere le
distanze dalle sonorità low-fi che andavano per la maggiore negli anni
novanta. Due band che, piacciano o meno, hanno vinto la loro sfida ed hanno
saputo tirare fuori il loro meglio proprio mentre il Nostro sedeva dietro al mixer.
Per
il resto Tagtgren, pur specializzandosi in campo estremo, è stato un po' come
il prezzemolo: ce lo siamo ritrovati ovunque, ma non ha saputo incarnare un
tratto particolare del metal. Ha dato una mano qua e una mano là, magari anche
collaborando con artisti importanti, ma non sempre con risultati esaltanti. Il
fatto è che Tagtren come produttore ha una personalità forte e possiede la
simpatia, le argomentazioni e le capacità persuasiva per far passare una certa linea
(la sua), convincendo anche musicisti scafati e non solo ragazzi alle prime
armi. Ma la sua formula non sembra funzionare in ogni occasione. Se un sound
pulito e capace di valorizzare ogni singolo strumento ha giocato a favore del
black vario e dinamico dei Naglfar del loro imperdibile esordio "Vittra",
magari una produzione più potente ed incisiva avrebbe giovato ai Children of
Bodom di "Follow the Reaper", che, per il carattere
melodico della loro proposta, rischiavano di suonare troppo soft negli
ambienti estremi. Con gli Opthalamia ha pareggiato: se ha saputo
rivitalizzare degnamente il debutto “A Journey in Darkness” attraverso
la bella rivisitazione “A Long Journey” (con suoni distinguibili, ma
ancora ruvidi e potenti), con “Dominion” ci ritroviamo fra le mani album
più semplice e commerciale (!!!) degli Ophthlamia, quando si sa che la musica
degli svedesi ha da essere una "via dolorosa”. Con "A'arab Zaraq-Lucid
Dreaming" dei Therion, infine, il Nostro non riuscì ad evitare
il disastro (ma qui a fallire è anzitutto la band di Christofer Johnsson,
che in questa sorta di "big" EP affiancava ad una colonna
sonora poco riuscita, una manciata di pezzi insipidi). Il dato che tuttavia
emerge è che Tagtgren come produttore non sembra in grado di ribaltare l'esito
di una operazione fallimentare, come se egli non fosse più di tanto capace di
incidere sull'eventuale successo o meno di un album, e che la sua opera di
laccatura recasse vantaggi solo a chi brilla di grande ispirazione, ma non a
chi non vive il suo momento migliore e magari si muove con passo incerto:
"Mi casa es tu casa e beviamoci sta birra insieme ascoltando i
Kiss...", sembra essere la "formula magica".
Tanto
per aggiungere carne al fuoco, da un certo punto in poi Tagtgren diverrà anche
il "vate delle resurrezioni", accogliendo sotto la sua ala protettiva
formazioni che, dopo un periodo di crisi o addirittura dopo una lunga assenza
dalle scene, decidono di rilanciarsi nel mercato discografico. È il caso, per
esempio, dei Destruction, dei Celtic Frost e degli Immortal.
Ma anche in questi casi il "successo" non è garantito: buono il
lavoro effettuato con Destruction (che per il loro fiero ritorno potettero
finalmente godere di una produzione professionale, massiccia ed al passo con i
tempi) e Celtic Frost (il cui sound monumentale venne valorizzato
da una produzione di spessore e capace di far risaltare i dettagli); un po' di
meno è apprezzabile quanto fatto per Abbath nella nuova versione degli
Immortal senza il demon brother Demonaz: i “nuovi Immortal”
guadagneranno epicità, aperture melodiche, pezzi più ariosi, ma perderanno quel
fascino irrazionale e quell'alone di malvagità che avevano caratterizzato le
loro origini. E in questo la produzione pulita di Tagtgren è stata determinante
(si guardi per esempio all’insipido "Damned in Black").
Precisione,
accuratezza, suoni puliti, ma poco cuore, poco calore, poco fascino: queste, in
soldoni, le caratteristiche delle produzioni firmate da Tagtgren,
professionista di indubbie capacità, ma in grado di valorizzare solo band in
possesso di un discreto bagaglio tecnico e di una direzione stilistica già
tracciata. Nel peggiore dei casi, le sue produzioni tendono ad “imborghesire”
gli album che passano sotto il suo mixer, laddove invece Sorychta
risultava capace di mutare in oro tutto quel che toccava, arrecando un reale
valore aggiunto che non era solo un'atmosfera confortevole, birre a profusione
e suoni laccati per tutte le stagioni.
Volendo
tuttavia dare un giudizio "storico", il risultato è più o meno lo
stesso in entrambi i casi. Le schiere di band curate dai due produttori non
sembrano aver superato la prova del tempo: le rivoluzioni da esse arrecate nel
corso degli anni novanta, appaiono più sbiadite oggi, con i loro suoni un po’
di “plastica”, schiacciate dalle produzioni rocciose, slabbrate, lisergiche (in
una parola: autentiche) che hanno supportato più recentemente l'esplosione del
fenomeno post-hardcore e di tutte le sue derivazioni. Paradossalmente un
solco più profondo sembra averlo lasciato il grande Dan Swano, più
musicista che produttore, ma con il merito di aver cullato e fatto crescere
sotto la propria ala protettiva due realtà che avrebbero segnato la storia
recente del metallo estremo, Opeth e Katatonia. Inevitabile
pensare che dietro alla strabiliante maturazione delle due band vi sia stata
una voce amica prodiga di buoni consigli ed una mano che sapesse indirizzarle
verso quegli orizzonti più ampi che in precedenza erano stati abbracciati
proprio dai seminali Edge of Sanity dello stesso Swano.