1 apr 2021

"FONDI DI DISCOGRAFIA" - L'EREDITA' DEGLI ARTILLERY

 


King, thy name is Slayer”.

Fu questa la prima thrash song che conobbi. Né, che ne sò, una “Hell awaits” o una “The four horsemen”. No. “King, thy name is Slayer”: gli strani casi della vita…

Avevo dieci/undici anni quando un amico campano, in visita nella mia città, passò da casa e mi fece ascoltare quello che fu il mio primo album thrash metal. Contestualmente, utilizzando il vecchio e malridotto hi-fi di mia sorella, me lo registrò su una MC. Si, una musicassetta (a proposito: R.I.P. Lou Ottens), di quelle da 90’, che venivano ottimizzate registrando non uno, bensì due full lenght, uno da un lato e un altro dall’altro (e per gli album che duravano dai 46’ in su si decideva di tagliare una canzone per farci stare il resto tutto sullo stesso “side”!).

Erano gli Artillery gli autori di quella canzone e di quell'album.

All’epoca non conoscevo una mazza di metal. E non sapevo né chi fosse quel King né chi fossero quegli Slayer. E, ascoltando quei suoni mal registrati, alquanto caotici, mai avrei pensato che di lì a qualche anno il Metal avrebbe occupato tanta parte della mia vita.

Se quella cassetta di 90’, contenente appunto i primi due full lenght degli Artillery, “Fear of tomorrow” (1985) e “Terror Squad” (1987) non so più che fine abbia fatto, ho conservato invece nella mia discografia, e con ben maggior consapevolezza, il capolavoro della band danese. Quel “By Inheritance” (1990) oggetto della nostra trattazione.

In "By Inheritance", rispetto a quei primi due dischi, il salto qualitativo è enorme. Migliora la produzione, si evolve il songwriting, aumenta la consapevolezza nei propri mezzi e cresce l’articolazione, e conseguentemente la durata, di ogni singolo brano, senza che per questo siano mai minimamente dispersivi…

Nonostante quello che si possa pensare di getto leggendo il titolo del brano con cui ho aperto il post, gli Artillery non sono una banale tribute band dei Mostri Sacri del Thrash. Tutt’altro. B.I. è al contrario un grandissimo album metal a tutto tondo. Che, del thrash ottantiano, presenta solo in parte le caratteristiche. Del resto eravamo già nel 1990 e il thrash metal stava diventando qualcos’altro.

Certo, in quegli anni vennero pubblicati ancora dei dischi thrash che spaccavano (quelli che abbiamo già definito “tardo-capolavori”) ma gli Artillery facevano qualcosa di diverso dal resto della scena.

E questa diversità già la si intravedeva in quei primi, acerbi e caotici dischi d’esordio, per trovare poi la loro sublimazione, appunto, in B.I. (che rimarrà, per quasi un decennio, l'ultimo album dei danesi, visto che l'anno successivo si sciolsero) Se l’attitudine e gli stilemi thrash erano comunque ben presenti, la proposta dei 5 danesi era ben più ricca. Anzi, ricchissima. Nelle 9 tracce + intro del platter troverete brani tiratissimi, altri più riflessivi, epici ed evocativi; e poi: arpeggi acustici da pelle d’oca (vedi quelli introduttivi di “Don’t believe”, atipica  e ispiratissima power-ballad, e della conclusiva “Back in the Trash”) e una voce, impostata su tonalità alte, che si avvicinava più allo stile dell’heavy britannico che alle asperità thrashy d’oltreoceano e della coeva triade teutonica Sodom-Kreator-Destruction. Ma nei solchi di B.I. c’è tanta, tanta influenza NWOBHM, soprattutto nei solos e nelle linee melodiche. E questo si spiega col fatto che, dopo le prime demo indipendenti, la band venne scritturata dalla Neat Records, label che per tutti gli eighties aveva prodotto nomi del calibro di Venom, Raven, Tygers of Pan Tang, Warfare e compagnia new waveiana. 

Se volete un esempio di come gli Artillery siano riusciti a miscelare tutto questo po’ po’ di roba, basta l’opener “Khomaniak” quasi 7’ di montagne russe che si vengono a configurare come una delle migliori killer-song del genere (roba che l’avessero scritta i Metallica "versione 1990" ci saremmo leccati i baffi…).

Qualcosina, nella seconda metà del disco, non torna in modo perfetto: “Life in bondage” mescola senza troppa creatività lo speed dei Raven e certi fraseggi tipicamente maideniani; così come la cover di “Razamanaz” dei Nazareth, seppur piacevolissima, spezza, senza che ce ne fosse bisogno, il mood heavy/thrash del disco, spostandolo su coordinate hard rock. Per fortuna, la conclusiva e già citata “Back in the trash” ci riconcilia con un disco che definire “ottimo” è tutt’altro che un’esagerazione.

Un’ultima nota di merito per i testi, mai banali e rientranti in quel solco di denuncia politico-sociale che il thrash “evoluto” ha sempre trattato con particolare efficacia e sensibilità. A tal proposito mi piace riportare parte del testo della splendida “Bombfood” che, ricalcando le immagini dell’immortale “Disposable heroes” dei Metallica, ci rende vivide le sensazioni e i pensieri delle reclute “carne da macello” che ogni esercito di ogni paese al mondo sfrutta senza remore:

Grenades are hammering down on your head / You lie in your hole, you wish were dead
Your partner lies splattered all over the place / There's no recognition he once had a face
You want you had stayed at home with your mum / But you are out here equipped with a gun
You're feelin' so helpless but what can you do / 'Cause you volunteered, the blame is on you

Albumone. Provare per credere…

Voto: 8

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