5 apr 2021

LA NON-RECENSIONE DI "A DAWN TO FEAR" (CULT OF LUNA)

 


Avevamo pensato di poterli ignorare, distratti, in quel 2019, dalla grandezza di "Fear Inoculum". Credevamo che dopo gli sperimentalismi, peraltro riuscitissimi, di “Vertikal” (2013) i Cult Of Luna avessero concluso, artisticamente, la loro parabola ascendente: da campioni del post-hardcore made in Sweden, a band universale del variegato e sterminato mondo del post-metal.

Del resto, la collaborazione con Julie Christmas del 2016 in “Mariner” non ci aveva fatto sobbalzare sulla sedia anche se, pure in quell’atipica ora di musica dei Nostri, sprazzi di classe sopraffina e passaggi da pelle d’oca non mancavano.

Ora, complice pure YouTube, dobbiamo per forza entrarci. Entrare dentro “A Dawn to Fear”, intendo. Il Cavallo di Troia è l’ultima release dei Maestri di Umeå, e cioè “The Raging River”, EP di…38’ (sic!) con i quali i COL fanno debuttare la loro personale etichetta, la Red Creek.

L’EP, ascoltato più volte in rete, è valido seppur non proponga granchè di nuovo né in relazione al marchio di fabbrica dei COL né, più in generale, in ambito post-metal. Certo, la solita classe innata, la solita qualità di struttura dei brani ma, pensavo, certe sonorità mi hanno un pò stancato, quel senso di apocalisse incombente...e quella voce, urlata tanto da lacerare le corde vocali, a esprimere tutto il dolore di sto mondo…cristo, che angoscia! E, soprattutto, dopo aver ascoltato i The Ocean, cosa mai si può ancora dire in ambito post-hardcore/post-metal? No, dai, mi son detto, voglio dell'altro in questa fase della mia vita (?).

Ma, come detto, YouTube è bastardo e, uno in fila all’altro, dopo “The Raging River”, mi propone “A Dawn to Fear” e, volente o nolente, mi ci devo confrontare. Mamma, che fatica: 79’ di roba, brani dagli 8 ai 15 minuti…no, non ce la posso fare! Anche se la pandemia aiuta, dove lo trovo tutto sto tempo per interiorizzare e sedimentare un disco di 79’?!?

Ma, nella mia forma-mentis un po' rigidina e sistematica, decido di mettermici. I COL non solo se lo meritano ma soprattutto non voglio fare gli stessi errori e compiere gli stessi tradimenti già fatti in passato con altre band che amavo (vedi i Mastodon). E poi, soprattutto, con questo tipo di ragionamento non mi stavo anche “perdendo” i The Ocean stessi?!?

Settimana dopo settimana, così, con costanza, ascolto e riascolto il disco. Cresce ad ogni giro sul lettore, emoziona sempre più. Si scoprono sfumature e si apprezzano passaggi che si vuole approfondire. Fino a non sentire più la fatica di quei minacciosi 79', a sgombrare il cervello dai dubbi di cui sopra.

Ma bisogna essere onesti e dire quello che pensiamo: alla fine delle fiera, non ci sbagliavamo. I COL, in A Dawn to Fear”, si sono limitati a ripercorrere la loro carriera, a fare un collage dei loro stilemi, a miscelare sapientemente post-hardcore, post-metal, sludge, neo-prog, pizzichi di ambient. Senza sorprenderci più di tanto. Continuando a lavorare sulle canzoni per “affastellamento”, giocando sul canonico accumulo e rilascio della tensione e senza essere riusciti (o non aver voluto) procedere per sottrazione, come hanno fatto i The Ocean.

Del resto Perrson e Lindberg cos’avrebbero potuto inventarsi dopo “Vertikal”, se non rimescolamenti, più o meno ispirati, degli stilemi portati avanti in 20 anni di brillante carriera? E per lo più con una band minata da importanti cambi di line-up? E così non tutti i brani sono granchè: “Inland Rain” è ordinaria, ad esempio. E i The Ocean mi piacciono di più. E alla fine “Phanerozoic” è un album che spinge in avanti il Metal mentre “A Dawn to Fear” no. E non ci dice quasi nulla di nuovo, tanto che neppure il nostro Lost in Moments l'ha inserito nella classifica finale del 2019; e un motivo ci sarà…e…e…e…che dobbiamo aggiungere a queste considerazioni?

Forse (ma forse eh?) possiamo giusto aggiungere che “The Silent Man” è la loro opener più trascinante di sempre; o che “Lights on the Hill” è una delle più belle canzoni della scorsa decade; o che l’oscurita diNightwalkers” insinua ogni volta un brivido di paura sottopelle; o che la title track è una nenia sciamanica capace di guidarci in uno stato di dormiveglia verso gli incubi più inconfessabili del nostro subconscio; o che la dolcezza di “We Feel the End” è commovente ai massimi livelli; o che la conclusiva “The Fall” è un'imbarazzante dimostrazione di superiorità verso il 95% delle band in circolazione.

Però è un album poco utile. Un album per chi ama già il post-metal e i Cult of Luna. Nulla più.

Un album che è un cazzo di capolavoro…

Voto: 8,5

Canzone top: “Lights on the Hill”

Momento top: la ripartenza al minuto 10’ 15” di “The Fall”

Canzone flop: nessuna

Dati: 2019, 8 canzoni, 79’

Etichetta: Metal Blade

A cura di Morningrise