Ventinovesima puntata: Ea – “Ea” (2012)
E’ strano pensare che al mondo ci siano persone che venderebbero l’anima per dieci minuti di notorietà ed altre invece che trincerano il loro operato dietro al più assoluto anonimato. Quest'ultimo è il caso degli Ea, di cui non si sa nulla, nemmeno da dove provengano. Si ipotizza Russia, Stati Uniti, persino Antartide (così riporta Metal Archives), ma a parte quest'ultima cazzata, l'endorsement della Solitude Productions (nota etichetta russa che assiste principalmente band russe nell'esprimere la propria vocazione per il funeral doom) farebbe pensare che questi oscuri figuri siano proprio di nazionalità russa.
L'origine e la collocazione geografica, in verità, non sono l'unico elemento di mistero che avvolge gli Ea, in quanto anche per tutto il resto le informazioni sul loro conto e sui loro album sono assai vaghe: booklet privi di note accompagnano i loro lavori, i testi sono ignoti e pare che persino la lingua utilizzata sia di loro invenzione, sebbene, sempre secondo Metal Archives, i testi dovrebbero essere redatti in una lingua morta ricostruita attraverso accorte metodologie archeologiche. Aspetto, questo, che non turba certo i nostri sonni: se anche fossero stati scritti in italiano dall'Accademia della Crusca stessa non ci avremmo comunque capito una mazza...
Con “Ea”, quarto album in studio, i Nostri toccano l’apice del loro ermetismo, rinunciando persino a brani e titoli e presentandosi con un'unica composizione di quarantasette minuti che porta semplicemente il nome della band. Quanto a noi, siamo ben lieti almeno per una volta di non dover stare a trascrivere nomi di musicisti e titoli, ma siamo anche consapevoli che tutto questo nel suo insieme (funeral doom, lingue inventate, brani di quasi un’ora di durata ecc.) possa spaventare chi si dovesse approcciare alla band per la prima volta...
Ed invece, premendo il tasto play, ci imbatteremo in un incipit di pianoforte e, subito dopo, in lodevoli intrecci di chitarre e tastiere a ricamare intense e carezzevoli melodie. Si, quella di “Ea” è una forma assai “soft” di funeral doom, dove melodia ed atmosfera primeggiano su tutto il resto. Caratteristica, questa, che contraddistingue la band fin dagli esordi e che marchia a fuoco tutti i lavori pubblicati fino a quel momento. Mi riferisco alla famigerata trilogia composta dai primi tre album, “Ea Taesse” (2006), “Ea II” (2009) ed “Au Ellai” (2010), peraltro assai celebrati nei “salotti bene” del funeral doom.
Che gli Ea dovessero presenziare in questa rassegna era fuori discussione, il problema era solo scegliere l’album di cui parlare, perché tutti sono validi e a mio parere ispirati. Alla fine abbiamo optato per il quarto album, edito nel 2012, che ci mostra una band in grado di aggiustare qualche imperfezione che aveva macchiato la discografia passata e, soprattutto, di coronare in modo credibile l'ambizione di comporre e realizzare un'unica lunga suite. Che la band sia riuscita a concretizzare un considerevole numero di idee e spalmarle in modo fluido nell’arco di più di tre quarti d’ora di durata, non dovrebbe dopotutto sconvolgere più di tanto, in quanto era chiaro fin dall’inizio che a questi musicisti premesse, più di ogni altra cosa, evocare una certa atmosfera piuttosto che scrivere brani a sé stanti. Ed allora via anche l’ultimo inutile orpello!, ossia la suddivisione in tracce, ed avanti con un’unica mastodontica composizione!
Il paradosso è che gli Ea compongono un’opera con le ambizioni di chi fa musica ambient ma attraverso il pragmatismo che è tipico del metal. E quando parlo di pragmatismo mi riferisco ad un metal per niente rarefatto e confuso come capita quando il funeral si fonde al depressive black, ma un metal preciso e chiaro nei suoi movimenti. L’armamentario espressivo di cui dispone la band è assai ricco, oscillando fra il doom più asfissiante e il gothic più arioso (e scusate l'apparente contraddizione). Ascoltando "Ea", verranno in mente i Mournful Congregation, sebbene gli australiani rimangano su un altro pianeta quanto a capacità realizzativa ed abilità nell’edificare sensazioni complesse tramite l’ostica materia del funeral doom.
La base ritmica (presumibilmente frutto di una drum-machine) rivela un certo dinamismo atipico per il genere, concedendosi, senza abusarne, accelerazioni, porzioni di doppia-cassa e cambi di tempo. Le tastiere (per lo più mimanti cori apocalittici ed organi funerei) non mancano, ma raramente sono lasciate ad operare da sole. Alle chitarre, invece, spetta il ruolo di protagoniste: l'ossatura dell'album si compone infatti di ottenebranti riff e melodiosi intrecci degni della Sposa Morente (si pensi al bellissimo tema principale, che sentiremo spesso durante la riproduzione del disco). Frequenti sono gli interventi delle chitarre acustiche, a volte si ricorrerà a rumori d’ambiente e ad un certo punto si registrerà persino l’intervento fugace di una voce femminile (minuto ventisei, non perdetevelo!).
Particolarmente suggestivi sono quegli spiragli che si aprono all'improvviso dove tastiere dal suono cristallino fanno da tappeto a dolenti arpeggi e fluide chitarre soliste si ergono a tratteggiare landscape sonori di sicura suggestione: momenti di quiete, questi, che si alternano a passaggi sicuramente più cruenti, in una dialettica fra sacrificio e purificazione che odora di rituale, viaggio iniziatico o cammino spirituale.
Ovviamente umori, lentezza, growl (con qualche sporadica impennata di screaming) ci ricordano continuamente che è di funeral doom che si sta parlando. Ma è davvero un bel funeral doom, quello degli Ea, ben costruito e sviluppato. Ahimè, ancora non del tutto esente da ingenuità: si pensi a certe variazioni ritmiche un po’ legnose o alla non del tutto riuscita successione di certi passaggi melodici. Fortunatamente ad ogni scivolone la band è in grado di recuperare immediatamente terreno, riportando le cose in ordine prima che l'ascoltatore possa iniziare a spazientirsi.
Forse gli Ea non saranno mai un gruppo di prima fascia, visto che sono arrivati a cinque album ma senza rilasciare alcun vero capolavoro. Tutte le loro creazioni, in forma e quantità diverse, conservano i limiti e difetti di una visione artistica che, a questo punto, non penso potrà mutare di molto. Il funeral doom, degli Ea, tuttavia, sa intrattenere e può offrire delle "buone" sensazioni all'appassionato del genere. Senza snaturarsi, i Nostri non temono di compromettersi con la melodia, anche perché la loro è una componente melodica che solo in pochi possono permettersi di padroneggiare.
Quindi per una volta non diffidate di chi cela la propria identità: per una volta, infatti, si tratta di una scelta coerente con il carattere misterioso ed inafferrabile che caratterizza la creazione artistica stessa.