13 feb 2024

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: LEVIATHAN


Diciassettesima puntata: Leviathan - "The Tenth Sub Level of Suicide" (2003) 

Il black metal era stato un "fatto esclusivamente europeo", almeno nel corso degli anni novanta. Qualcosa tuttavia ha iniziato a muoversi anche al di là dell'oceano, negli Stati Uniti, con nomi come Judas IscariotI Shalt Become e Weakling, relegati alla nicchia degli appassionati delle sonorità più oscure ed affliggenti. 
 
Nessuno però si sarebbe aspettato una esplosione di nomi americani capaci di conquistare il palcoscenico del black metal del nuovo millennioAgallochWolves in the Throne RoomMare Cognitum e Panopticon sul versante atmosferico; Nachtmystium, Twilight, Deafheaven per quanto riguarda il versante post-metal e derivati; Leviathan e Xasthur per il depressive
 
E proprio a questi ultimi due nomi dedicheremo i prossimi capitoli della nostra rassegna...
E' sicuramente riduttivo costringere l'estro artistico di Wrest (all'anagrafe Jef Stuart Whitehead) entro i confini del depressive black metal. Probabilmente solo l'esordio "The Tenth Sub Level of Suicide" (che come si evincerà dal titolo ha come tema centrale il suicidio) è riconducibile a questo filone del black metal. Per ampiezza di visione e capacità realizzative il Nostro è infatti più vicino alla dimensione del post-black metal, ed affermo questo avendo in mente non soltanto i Leviathan, ma anche altri suoi progetti come Lurker of Chalice o i sopra citati Twilight, nonché collaborazioni eccellenti come quella con i Sunn O))).
 
Pubblicato nel 2003, "The Tenth Sub Level of Suicide" è il primo full-lenght ufficiale uscito a nome Leviathan, summa definitiva dell'arte di Wrest dopo una lunghissima sequela di demo rilasciate fra il 2000 e il 2003 (fatto che evidenzia la natura underground del progetto).

Essendo Wrest un valido poli-strumentista ed anche un vero batterista, v'è da dire che la sua musica porta con sé un dinamismo ed una solidità che le permettono di articolarsi in diverse direzioni, coniugando elementi mutuati dal black metal, dal post-rock, dal dark-ambient, dalla musica industriale. Finalmente un musicista!, potremmo esclamare. E con questo non voglio dire che il DBM sia popolato da incompetenti che si limitano a singhiozzare sul microfono ed ammassare riff ed arpeggi in modo scriteriato. Anzi, si è visto nelle puntate precedenti della nostra rassegna che in certi casi la caratura artistica può essere di una certa levatura. Ma qui abbiamo a che fare con un musicista completo, produttore, ma soprattutto autore visionario capace di assemblare suoni e suggestioni ad un livello di complessità sconosciuto a molti mestieranti di questo sotto-genere. 

Del black metal Wrest sembra apprezzare sia gli aspetti più ferali che quelli più atmosferici, costituendo la sua musica un continuo alternarsi di assalti frontali (con un riffing corrosivo ereditato principalmente dal thrash e dal death), epici mid-tempo e passaggi meditativi fatti di arpeggi, feedback e fumosa elettricità. Il black metal dei Leviathan è selvaggio, sadico, perverso e in esso si esprime tutto l'odio e il disprezzo che il suo autore può voler esprimere nei confronti del resto dell'umanità.

In certi casi, quando il pragmatismo/materialismo del metal estremo si sfalda in un caos furibondo di suoni impalpabili, il passo dal black metal al post-rock può esser breve. Prendete con le pinze quanto sto per dire, ma più di un passaggio in "The Tenth Sub Level of Suicide" sembra possedere la vocazione descrittiva che è tipica di certo post-rock strumentale: in questi momenti l'intensità delle chitarre si fa debordante, le melodie prendono per mano l'ascoltatore e lo conducono verso orizzonti non preventivati. Non voglio usare l'aggettivo "progressivo", però è palese una creatività che travalica i confini del black metal. Per una chiara comprensione di quello che voglio intendere, consiglio direttamente l'ascolto in stretta successione delle tracce "Scenic Solitude and Leprosy" e "He Whom Shadows Move Towards". 

Dal paesaggio dell'anima all'ambient il passo è altrettanto breve: eccoci dunque alle spettrali tastiere della strumentale "Submersed", che non è certo l'unico momento in cui la deriva sonica dei Leviathan approda a lidi ambientali. Tutto l'album è percorso da un filo rosso, una tensione perenne che può esplodere in furioso black metal come stemperarsi in un ribollire sotterraneo di tastiere e rumori gorgoglianti. 
 
Se poi ho tirato in ballo anche la musica industriale è per l'impiego significativo che si fa della effettistica e dei processi manipolatori: in particolare la voce viene continuamente trattata e deformata con il risultato che il digrignare malefico di Wrest si smaterializza spesso in mille echi e riverberi, cosa che ne accentua l'indole agonizzante. Si tenga presente che la produzione sporchissima e metallica ama crogiolarsi nella pura cacofonia, ma nonostante questo tutti gli strumenti sono ben udibili, incluso un basso carismatico che riesce a ritagliarsi diversi momenti di protagonismo nel marasma sonoro delle dieci tracce. 
 
Il modus operandi sembrerebbe, infine, quello sbrigativo del "buona la prima", ma tutto quadra troppo perfettamente per essere il frutto esclusivo di guizzi estemporanei. E' lecito pensare invece che il Nostro abbia architettato con attenzione e mestiere un suono così cinicamente volto a scoperchiare sensazioni negative e dunque ad infierire sull'ascoltatore. 

"The Tenth Sub Level of Suicide" emerge dunque come una matassa di sonorità che va dal rabbioso all'angosciante: uno strisciare nel buio ben rappresentato dalla copertina, la quale potrebbe avere come didascalia la frase che inaugura il disco "There is no light for you....at the end of the tunnel". Questo insieme di cose, come si sarà capito, concorre a creare scenari di una mestizia assoluta, gironi infernali da attraversare con rassegnazione senza neanche lo sforzo di cercar di indovinare quale saranno gli incontri che si presenteranno lungo la via. Perché un'altra cosa che caratterizza il buon Wrest è l'imprevedibilità della sua musica, caratterizzata da una catena entusiasmante di passaggi azzeccati, colpi di scena e momenti memorabili. 

Questa vivacità artistica - se così la vogliamo chiamare - non deve tuttavia allontanare l'ascoltatore in cerca di duro e puro degrado emotivo. Wrest ha spiegato che l'opera intende descrivere le fasi/i livelli di contemplazione di una specifica azione, quella che conduce all'auto-distruzione. E che tutti i brani, fatta eccezione per il secondo, riguardano in un modo o nell'altro il suicidio. Un intento, questo, che sta alla base della stesura dell'opera e che rende di conseguenza le dieci tracce un cammino di claustrofobia crescente. 
 
Il senso di baratro, beninteso, è palpabile già dal minuto zero, ma la sensazione di angoscia è destinata a crescere nel corso dei settantun minuti del disco e a raggiungere il climax nella infinita title-track: un quarto d'ora di agonia che ha l'onore di chiudere le danze fra assalti lanciati a velocità insostenibili, sfiancanti passaggi di ossessiva ed insistita recrudescenza sonora ed assenze in cui i cattivi presagi serpeggiano vischiosi in pozze putride di stasi ambientale. 

La quantità va di pari passo con la qualità nei Leviathan, di cui consigliamo anche il successivo "Tentacles of Whorror" (2004), a nostro parere persino superiore a questa opera prima. "The Tenth Sub Level of Suicide" rimane tuttavia il portale migliore per accedere al perverso universo sonoro di Wrest, colui che in altre circostanze abbiamo descritto come un genio, ma che qui, per pudore, ci limiteremo ad indicare semplicemente come un musicista. Che non è poco...