Mare Cognitum ci riporta nello spazio, altra dimensione privilegiata per le esplorazioni sonore compiute dall’atmospheric black metal: ambientazioni che vengono approcciate con il medesimo spirito con cui altri, all’interno di questo sotto-genere del black metal, guardano alla natura, al paesaggio, alla cultura della propria terra, all’introspezione in generale.
La musica proposta dalla one-man band americana rappresenta il lato più violento della variante atmosferica del black metal: una efferatezza, tuttavia, illuminata da un grande talento melodico. Emperor meet Alcest, potremmo dire, descrivendo quello che è il black metal che tutti noi avremmo voluto da piccoli…
La visione artistica di Jacob Buczarski, mastermind del progetto, presenta molte analogie con quella di Ayloss dei già trattati Spectral Lore: i due autori, oltre a condividere approccio, metodologia, sonorità, atmosfere, reciproca stima e probabilmente amicizia, hanno lavorato insieme in ben due split-album, “Sol”, del 2013, e “Wanderers: Astrology of the Nine”, dell’anno scorso, di cui abbiamo avuto modo di parlare anche sulle pagine del nostro blog.
Rispetto al collega greco, Buczarski offre un suono decisamente più compatto e meno dispersivo, sempre sviluppato entro il modulo del brano lungo, ma senza spaziare più di tanto a livello di range espressivo. Non è difficile descrivere il suono di Mare Cognitum: una drum-machine programmata divinamente supporta in modo chirurgico chitarre fantasiose che tessono trame melodiche di indubbio fascino…astrale.
Un ribollire dinamico, dunque, che oscilla continuamente fra l’impetuosità di certo symphonic black metal e la poesia struggente del blackgaze, il tutto supportato da una ispirazione prodigiosa che rende accattivanti brani di non facile fruizione che si aggirano sistematicamente intorno ai dieci minuti di durata.
Brani che non mollano la presa per un istante; c'è poca dispersione nella scrittura pragmatica di Buczarski, preoccupato piuttosto a dare un equilibrio alle sue moltissime idee. Idee: quelle strane cose che una volta dovevi ricercare con il lanternino e che invece adesso ti vedi spiattellate con nonchalance una dopo l’altra, senza nemmeno il tempo di elaborarle, da un “giovincello qualunque”. E’ il metal estremo del terzo millennio, bellezza!
Il progetto, avviato nel 2011, conta ad oggi cinque album ufficiali, più o meno con le stesse caratteristiche, a confermare intenzioni chiare fin dai primi passi. Difficile dire quale sia il migliore, considerata l’elevata qualità che caratterizza l'intera produzione discografica del Nostro. Difficile dirlo anche per i limiti che caratterizzano tutte le uscite, visto che le coordinate stilistiche nel tempo non sono variate di molto, conservando anche qualche vizio di fondo mai del tutto rettificato.
Per esempio si ha a volte l’impressione che il Nostro prema troppo sull’acceleratore: un elemento, quello della velocità snervante, che, se abbinato a certa claustrofobia indotta dalle atmosfere, dai suoni saturi, dalla scarsità di reali momenti di distensione, può creare seri problemi a chi non si trova nella giusta predisposizione per un ascolto di questo tipo. Ma se siete in vena di qualcosa che possa spappolarvi il cervello ed al tempo stesso procurarvi sublimi visioni, allora eccovi servito il miglior black metal possibile.
Non nego di avere un debole per Mare Cognitum, che posso tranquillamente indicare fra i miei favoriti in ambito di atmospheric black metal. E “Phobos Monolith”, terzo full-lengh edito nel 2014, centra in pieno il bersaglio, rappresentando senz'altro un equilibrio soddisfacente fra parti tirate e momenti riflessivi.
Questo equilibrio si esprime in modo perfetto nella traccia di apertura “Weaving the Thread of Trascendence”, che nei suoi tredici minuti sa offrire passaggi rarefatti e mazzate nei denti. Le chitarre arpeggiate dell’incipit, fra vibrante elettricità, sinuosi tappeti di tastiere e tempi solenni, sono il miglior biglietto da visita possibile: emozioni a gravità zero che lanciano l’ascoltatore verso le magie dell’Universo sconosciuto. Una questione solo di qualche minuto, però, prima che il volto più feroce di Buczarski si sveli con ritmiche insostenibili per qualsiasi batterista in carne d'ossa, intrecci di chitarre da brividi ed un raggelante screaming.
Quattro brani, cinquanta minuti: anche qui ricadiamo negli stardard classici dell’atmospheric black metal. Le componenti che vanno a cementarsi nella imperdibile opener verranno riproposte, in diverse dosi, nelle tre tracce successive: gli otto minuti di “Entropic Hallucinations” offrono il momento più tirato del lotto; fanno loro da contraltare i tredici minuti della sognante “Noumenon”, mid-tempo immaginifico in cui finisce per prevalere il lato shoegaze dell’estro di Buczarski. Nel quarto d’ora della conclusiva “Ephemeral Eternities”, summa definitiva del Mare Cognitum pensiero, si rimescola tutto, con influenze mutuate anche dal death metal (si guardi ai fraseggi iniziali).
Un death metal affatto fuori luogo, considerato che Mare Cognitum è artefice di un sound solido, potente, massiccio, con i colpi della drum-machine che misurano al millimetro le evoluzioni delle asce. A stupire è la fluidità delle sei corde, che disegnano paesaggi siderali degni dei Voivod più annichilenti, con aperture screziate che invece ricordano gli Emperor che amavano viaggiare fra le stelle: uno spazio che odora di metafisica, come si diceva all’inizio; una esplorazione, quella compiuta da Buczarski, che si tinge di connotati esistenziali, psicoanalitici e filosofici. Un viaggio, dunque, che guarda oltre la volta celeste ma che finisce per penetrare dentro noi stessi.
La connotazione trascendentale che non viene ottenuta attraverso suoni confusi ed impastati. Ci si tolga dalla testa le visioni sfocate ed allucinogene dei Darkspace, e si smetta anche di sperare nel movimento ambient o nel ricorso ai suggerimenti offerti dalla musica cosmica, come si è visto con i Midnight Odissey: le tastiere, ben presenti, raramente sono lasciate da sole, semmai vanno ad ispessire il lavoro infaticabile delle chitarre, apportando colori, sfumature sbilenche, al micidiale wall of sound architettato dal virtuoso Buczarski.
Quanto alla produzione, essa non poteva essere più precisa e puntuale nel valorizzare ogni dettaglio, ogni singolo ticchettio dei cassa, ogni minuto riverbero della chitarra. Tutto è pianificato nel minimo aspetto e non si ha quasi mai l’idea che vi sia un guizzo non preventivato in queste maestosi cattedrali soniche, o un momento di improvvisazione. E forse anche questo è un limite di Mare Cognitum (un limite, in verità, di tutte le one-man band). Ma è ancor più vero che le solide intelaiature di una mente pianificatrice vengono riempite con una scrittura esuberante che conferisce significato ad ogni passaggio.
Mare Cognitum, con i suoi vizi e con le sue virtù, rimane indissolubilmente uno degli interpreti più ispirati dell'atmospheric black metal, e questo "Phobos Monolith" è solo uno dei tanti ingressi al suo fascinoso universo: fatevi avanti, non rimarrete delusi...