28 mag 2022

RECENSIONE - "REVEL IN TIME" (STAR ONE)

 


‘To revel’ = gozzovigliare, fare baldoria

Cazzeggiare, insomma.

Il titolo scelto da Arjen Anthony Lucassen per il ritorno in scena dopo 12 anni dei suoi Star One non poteva essere più azzeccato. Perché il nostro beneamato 'lungagnone di Hilversum', questa volta, lascia da parte complicati concept di sua invenzione per trastullarsi, appunto, con il tema dei viaggi nel tempo. E questo ‘appoggiandosi’ liberamente a storie già narrate. E dove? In una pletora di film di fantascienza. Si va da una vecchia serie britannica (“Zaffiro e Acciaio” del 1979) fino ad autori di culto contemporanei, come il Christopher Nolan di ’”Interstellar” (2014). In mezzo a quest’ampio arco temporale, ritroviamo il riferimento a celebri pellicole (“Terminator”, “Ritorno al Futuro”, “Ricomincio da Capo”, “Donnie Darko”, “Frequency” “Source Code”) e ad altre meno conosciute al grande pubblico, come “Countdown Dimensione Zero”, “Primer” o “Bill&Ted’s Excellent Adventures”. Proprio a questa commedia del 1989, diretta dal regista americano Stephen Herek, è ispirata la title track nella quale gli Star One ci traghettano su e giù nel Tempo a far la conoscenza di tanti protagonisti della Storia: da Napoleone a Beethoven, da Genghis Khan ad Abramo Lincoln e da Socrate a Sigmund Freud. Che dire…una scelta concettuale coerente nel continuum artistico di Arjen.

Il quale deve aver visto gli Star One come un porto sicuro dopo il mezzo palso falso del “Transitus” targato Ayreon, dove aveva cambiato molto sia a livello di sonorità che di musicisti impiegati. Con risultati non certo mirabolanti, per quanto potenzialmente forieri di interessanti sviluppi.

Qui, invece, il Nostro torna a fare quello che gli riesce meglio: radunare un super-cast di cantanti e musicisti e ‘usarli’ per interpretare/eseguire le diverse canzoni che compongono l’album.

Del resto, lo abbiamo detto più volte: quando il Lucassen chiama, tutto il mondo metal risponde. E così ecco giungere alla sua Corte parte del fior fiore dei metal singers passati e presenti: Tony Martin e Roy Khan, Russell Allen e Damian Wilson, Jeff Scott Soto e Joey Lynn Turner. 

Non manca la presenza, dietro al microfono, neppure del gentil sesso: oltre alle fidatissime Marcela Bovio e le sorellone Jansen (Irene e Floor), troviamo una gradita sorpresa nella potente ed espressiva ugola di Brittney Slayes (singer della power metal band canadese Unleash the Archers) a cui tocca l’onere e l’onore di aprire le danze con la sostenuta “Fate of Man”, tra i brani più trascinanti del lotto.

Completano l’ensemble una pletora di ospiti di lusso, alle sei corde e alle tastiere: Michael Romeo, Steve Vai, Adrian Vanderberg, Jens Johansson. E questi quattro sono solo alcuni degli straordinari musicisti che portano il livello tecnico dell’album a vette vertiginose.

Stilisticamente siamo davanti al consueto mix di hard rock, riferimenti prog settantiani e progressive metal dalle tinte space. Nulla di nuovo quindi ma questo non è necessariamente un difetto. Anzi. A 62 anni, quello che ci aspettiamo da un disco di A.A. Lucassen è esattamente quello che “Revel in Time” contiene: leggerezza nell’ascolto, orecchiabilità, pregevoli suite (“28 Days”, “Lost Children of the Universe”), linee melodiche ispirate, numerosi momenti di pura pelle d’oca. Oltre ad esecuzione e produzione impeccabili.

Attenzione: ottenere tutto questo è ben lontano dall’essere facile o banale. Bisogna avere ispirazione e stoffa per realizzarlo. Se se ne è sprovvisti, il flop è dietro l’angolo. Invece gli Star One presentano, a partire dalla clamorosa cover di Jef Bertels, un lavoro impeccabile, valorizzato dalla fase di produzione, con una resa mirabile dei suoni e delle sue stratificazioni. Il rientro in formazione, poi, del fido Ed Warby, che guida il resto del gregge alla stregua di un can pastore, è quell’elemento dinamico in più che era così mancato in “Transitus”.

Se cotanta professionalità, a tratti, scade nel ‘mestiere’, pazienza. A Lucassen lo perdoniamo di buon grado dopo tutto quello che ci ha donato a livello di emozioni da “The Final Experiment” (1995) in avanti.

Per i suoi fan, come il sottoscritto, quindi, un’ora abbondante di goduria sonora.

Per chi invece avesse vissuto su Plutone negli ultimi tre decenni, e non lo conoscesse ancora, un accessibile portale dal quale entrare e scoprire la musica di questo pittoresco, amabile e geniale G.G.G. (Grande Gigante Gentile) del Metal…

Voto: 7,5

Canzone top: “Lost Children of the Universe”

Momenti top: l’intreccio vocale tra Ross Jennings e Mike Mills in “Prescient”; il tema portante di “Bridge of Life”; il refrain di “A Hand on the Clock”

Canzone flop: “Today Is Yesterday” (a volerla proprio trovare...)

Etichetta: InsideOut

Dati: 11 canzoni, 66' (X2), anno 2022

A cura di Morningrise