L’avevamo fugacemente citato nell’incipit
del nostro post sui Blue Murder, facendo riferimento a quel gruppo di chitarristi fenomenali tutti nati nella
seconda metà degli anni ’50.
Ma proprio in questi giorni (sto
scrivendo che è ancora il mese di maggio, nda) c’è la possibilità
di parlarne più diffusamente. L’occasione per farlo ci è data dal quarantennale
dell’uscita di quel discone pauroso che risponde al nome di “No Heavy Petting”, release del maggio 1976 dei grandissimi UFO del talentuoso cantante Phil Mogg.
A cura di Morningrise
E, conseguentemente, in molti
avranno già capito che il personaggio cui ci stiamo riferendo è Michael Schenker. Un chitarrista, a mio
modesto avviso, assolutamente straordinario e che ha avuto da un lato la
fortuna, ma dall’altro anche la “sfortuna”, di avere un fratello maggiore, Rudolf, se non più “geniale” a livello
tecnico e compositivo, sicuramente più di successo. Infatti se nel mondo del Rock
buttiamo lì il cognome Schenker credo che al 95% degli interpellati la band che
gli verrà subito associata saranno gli Scorpions. E questo è comprensibile, per
carità, dato lo status di assolute star planetarie acquisito nel corse di una carriera folgorante dai componenti del combo
tedesco.
Del resto anche Michael, trascinato da Rudolf, comincerà la sua carriera proprio con gli Scorpioni di Hannover suonando, appena diciassettenne, nel non memorabile debutto “Lonesome crow”.
Del resto anche Michael, trascinato da Rudolf, comincerà la sua carriera proprio con gli Scorpioni di Hannover suonando, appena diciassettenne, nel non memorabile debutto “Lonesome crow”.
Ma poi, come abbiamo già visto più volte anche in ambito metal, le “sliding doors” della vita professionale
sono strane e fanno imboccare vie imprevedibili.
Che accade quindi al
biondocrinito giovincello? Accade che gli Scorpions fanno un tour di spalla
agli Ufo, che proprio in quell’anno (eravamo nel 1972), avevano pubblicato la
loro seconda fatica, “Flying”; e accade
che gli inglesi hanno un posto scoperto alla chitarra; e succede che, guarda un
po’, proprio Michael si proponga per quel posto e, da quella che poteva/doveva
essere una semplice collaborazione, nascerà
invece uno dei sodalizi più fecondi e artisticamente fortunati degli anni
settanta: quello tra gli UFO, appunto, e il giovane Michael.
Dall’hard/space rock non troppo
ispirato degli esordi, la carriera degli inglesi decollerà da quel momento in
avanti verso un potente hard n’ heavy di
qualità che troverà riscontro commerciale non solo nei mercati di “bocca
buona” (Giappone e Germania), ma anche in patria, nella severa Inghilterra. E
l’artefice principale di questo cambio di rotta stilistica, e del relativo
successo che ne seguì, fu proprio il blonde bomber tedesco.
Certo nascere, crescere e dare i
migliori frutti in un periodo in cui Zeppelin, Deep Purple, Sabbath, Rainbow,
Queen e compagnia la facevano da padroni, non consentì agli UFO di sfondare
nelle masse di kids inglesi dell’epoca, più concentrati nel seguire le gesta delle icone
rock su elencate. Ma ciò non toglie che gli album pubblicati dal ’74 in poi dagli
Ufo sono uno più bello, e imprescindibile, dell’altro. Da “Phenomenon”
a “Lights out” fino a “Obsession”. Ma l'apice rimane per chi scrive, assieme a “Force it” uscito appena l'anno prima, proprio “No
Heavy Petting”, che presenta una band al top dell’ispirazione e
dell’affiatamento e nel quale ogni musicista, grazie anche a una produzione per
l’epoca molto bilanciata e pulita, mette in risalto le enormi qualità tecniche
ed esecutive in possesso.
NHP si apre con “Natural thing”
un hard rock fumante che, nonostante non viaggi su livelli elevati di velocità, riesce ad essere particolarmente trascinante, rivelandosi un’ottima opening
track. Ma è già con la successiva “I’m a loser” che gli UFO “fanno il botto” e
sorprendono per inventiva e gusto di scrittura. La song, che si apre come una
dolce ballata semiacustica, si riveste di elettricità lasciando poi spazio ai
duetti impressionanti tra la sei corde di Schenker e le tastiere di Danny Peyronel. Duetto che ritroveremo
anche nella successiva, iper-purpleiana “Can you roll her”, in cui si fanno
largo, con un lavoro davvero enorme, anche il basso di Pete Way e la voce, adesso gillaniana, di un Mogg in stato di
grazia.
Il resto del disco viaggia su
livelli qualitativi altrettanto elevati, tra cazzuti mid tempo (ad esempio “On
with the action” con un iniziale riff sabbathiano che mette ancora adesso i
brividi lungo la schiena) e brani spiccatamente proto-metal (“Reasons love”,
“Highway lady”) in cui gli assoli di Schenker, mai ridondanti, presuntuosi o
eccessivi, impreziosiscono la già alta qualità degli stessi.
E se Michael dimostra di essere
un fenomenale compositore nei pezzi più tirati, non di meno dimostra la sua
verve creativa in quelli più calmi e compassati, data l’assoluta qualità delle
power ballad presenti sul platter (dalla già citata “I’m a loser” a
“Belladonna”), brani dolci ma che mantengono un “tiro” notevole.
Ma permettetemi di dare un po’ di
spazio al capolavoro nel capolavoro: la conclusiva “Martian Landscape”, brano
interamente scritto dalla seconda mente degli UFO a livello di songwriting, e
cioè il succitato tastierista Danny Peyronel. Un brano perfetto nel suo
bilanciare parti calme ad altre graffianti: un inizio cullato da leggiadre note
di piano, su cui la voce di Mogg emoziona nelle strofe prima dell’ingresso in
scena di una discreta elettricità che ci guida verso stacchi e cambi di ritmo
da pelle d’oca, prima che il chorus esploda nella sua epicità e la chitarra di
Schenker torni protagonista a marchiare a fuoco il brano nel finale, con fraseggi di grande gusto.
Un album, quindi, che si porta
benissimo i suoi 40anni, cosa non semplice, visto che il mood generale del
disco è tipicamente settantiano e questo potrebbe tenere a distanza un giovane
ascoltatore dell’ultima ora; ma la carica impressa nelle note è ancora tutta
lì, intatta.
E non è un caso che questo platter, come i suoi predecessori e
successori di quella fortunata decade, siano stati una fonte di ispirazione
straordinaria per tanto metal a venire. A partire non solo dalle band
conterranee che di lì a poco avrebbero dato vita alla N.W.O.B.H.M., ma anche
per futuri gruppi d’oltreoceano dediti a generi ben più pesanti (Metallica e
Voivod, ad esempio).
Ciò detto, è evidente come la storia degli Ufo sia una dimostrazione
ulteriore di come numerose band del sottobosco hard rock / hard n’ heavy
degli anni settanta siano state determinanti per l’ispirazione di tanti Mostri Sacri a
venire (Maiden in primis).
Una band, gli UFO, che non ha mai raccolto
quanto avrebbe meritato e che dovrà subire un brutto colpo dalla dipartita
dello stesso Schenker che, venuto ai ferri corti proprio con Mogg (il ragazzo
pare avesse un caratterino alquanto istrionico…), deciderà di formare nel
1979-80 una band tutta sua e che porterà persino il suo nome, il Michael Schenker Group.