"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 apr 2023

TESTIMONIANZE DI VITA: LE FRONTWOMEN NEL METAL

 


8 donne per un’ora e mezza di documentario. 8 frontwomen tra le più famose del mondo metallaro. Anzi: le più famose. Il ‘range’ anagrafico coperto è ampio, quasi un quarto di secolo: si va dall’inossidabile Doro Pesch (classe ’64) alla canadese Kobra Paige (classe ’88 e singer dei Kobra and the Lotus).

Sono le loro testimonianze di vita che ci propone il regista canadese Mark Harwood, autore, nel 2015, di questo “Soaring Highs and Brutal Lows – The Voices of Women in Metal” (ma che bel titolo!). Un’opera la cui visione, caldamente, ci sentiamo di consigliare a tutti.

25 apr 2023

PRIMA DEL FUNERAL DOOM: AUTOPSY


Meno sette: Autopsy - "Mental Funeral" (1991) 

Seconda “boccata di ossigeno” in area death metal con gli Autopsy. Nella scorsa puntata si era provato a dare una lettura diversa al tema del funeral doom: se davvero vogliamo vedere il funeral doom come l’unione di intenti fra doom e death metal, perché nell’analisi della sua genesi ci dovremmo limitare a considerare band con la vocazione del doom che hanno deciso di abbracciare le sonorità dell’Estremo e non viceversa? Ossia valutare l’operato di band death metal che invece hanno deciso di rallentare? In fondo, si diceva, i primi anni novanta sono stati un laboratorio in cui il metal estremo ha tentato tante strade prima di incanalarsi in determinati sotto-generi. 

Il death metal, dunque, ha contemplato passaggi più lenti ed atmosferici, questo lo abbiamo ritrovato, in misura diversa, in tutte le band del periodo e qualcuna, più di altre, ha persino imboccato la via imprecisata del death-doom, tanto la componente doom divenne per quelle band rilevante. Abbiamo così approcciato i temibilissimi Asphyx, e con il medesimo spirito andiamo oggi a dissertare sugli Autopsy. che abbiamo già trattato nella nostra rassegna sul death metal, ma che adesso andiamo ad analizzare in quanto anticipatori di certe suggestioni poi assorbite dal funeral doom.

20 apr 2023

IL METAL NON RIDE - III. L'"ALCOHOLIC METAL" DEI TANKARD

 


Ogni tanto è bello riscoprire la teutonicità

I teutonici hanno una sorta di istinto per la dimensione pubblica, cioè riescono a concepire le proprie azioni in funzione di una loro accettabilità e approvazione sociale. Chiedi ad un tedesco di costruire una macchina: lui tira fuori la Volkswagen, la macchina “del popolo”, concepita per rispondere ad esigenze di resistenza, solidità, economia. I tedeschi probabilmente costruiscono bulloni di qualche millimetro in più di spessore per questo senso della decenza e del rispetto degli altri, a cui non rifilano prodotti scadenti solo perché possono farlo. Ne va della loro dignità. 

Anche nel metal è così. Gruppi di giovinastri che da un giorno all'altro imbracciavano gli strumenti e – per questa forma di magia teutonica – sapevano suonare in maniera compatta, metronomica, coordinata.

15 apr 2023

PRIMA DEL FUNERAL DOOM: ASPHYX



Meno otto: Asphyx - "The Rack" (1991) 

Si era cercato di spiegare il funeral doom come l’incontro fra il doom e il death metal, ma sotto sotto si è più o meno insinuato, fatto intendere, che fosse il doom a prevalere geneticamente sul secondo, prendendone in prestito certi elementi, come la scorza brutale e il canto in growl. Nel pazzo scenario del metal estremo di inizio anni novanta, tuttavia, non è vietato neppure ipotizzare una visione più lineare in cui l’unione fra i due generi si sia compiuta a metà strada grazie ad un progressivo avvicinamento dell’uno verso l’altro. Se infatti è vero che il death metal all’epoca suonava come una estremizzazione del thrash ottantiano, tendendo a conservarne la velocità (o estremizzandola con persistenti up-tempo e blast-beat), non è falso affermare che diversi nomi di spicco del death metal contemplavano nel loro suono passaggi lenti: escamotage, il più delle volte, utilizzato per alimentare il lato macabro e morboso della propria proposta. 

Classici esempi di questo tipo di death metal sono stati i Bolthrower e gli Obituary ma non credo che il funeral doom sia passato da quelle parti o perlomeno non direttamente. Una affiliazione più diretta, semmai, sembrerebbe esserci stata con le atmosfere asfissianti e pestilenziali messe in atto dagli olandesi Asphyx, il cui suono, indubbiamente, avrebbe mostrato una connessione più intima con il potenziale catartico del doom. Concediamoci dunque una boccata di ossigeno (espressione quanto mai fuori luogo in questo contesto...) con un po' di death metal d'annata prima di immergerci nuovamente nella lentezza più esasperante... 

10 apr 2023

LAMB OF GOD & KREATOR: "STATE OF UNREST" TOUR (LONDON, 21/03/2023)



Questa volta partirei da una domanda semplice semplice: ma che cazzo ci faccio io ad un concerto dei Lamb of God? Cioè, non sono loro fan, li ho sempre snobbati e, a dirla tutta, non ho mai ben digerito quelle loro sonorità che non saprei nemmeno definire con esattezza (deathcore? Thrash metal? Groove metal? New Wave of US Heavy Metal?). Ma di una cosa sono certo, e me ne sono reso conto chiaramente fin dalla prima volta che li ho ascoltati, seppur distrattamente: i Lamb of God spaccano il culo

Ed allora, ecco il motivo per cui mi trovo ad un concerto dei Lamb of God: essere colpito duramente, con la durezza di chi è esperto e ben equipaggiato, farmi frastornare a dovere in un vortice di metallo fumante da dei veri specialisti del settore. E chiariamo subito una cosa: siamo soliti bearci delle efferate esibizioni di band death e black metal in locali di dimensioni contenute, dove tutto è compresso, confuso ed amplificato, ma è tutt'altra sensazione quella di condividere un evento di metal estremo con una quantità di persone dieci volte più grande. 

5 apr 2023

PRIMA DEL FUNERAL DOOM: WINTER



Meno nove: Winter - "Into Darkness" (1990) 

Si diceva che i Paradise Lost, con il loro debutto targato febbraio 1990, si inserirono nel panorama del metal estremo del periodo come l’anello mancante fra doom e death metal. Ma ovviamente non erano gli unici che si proponevano come collante dei due universi sonori: il metal estremo a cavallo fra anni ottanta e novanta è stato un cantiere in grande fermento in cui generi e sotto-generi non erano ancora definiti al millimetro e le sperimentazioni andavano in molte direzioni. A volte queste sperimentazioni abortivano subito e la band sparivano dopo un paio di demo, altre volte i semi riuscivano ad attecchire e prendevano vita interi movimenti. La maggior parte degli sforzi andava verso la velocità di esecuzione, essendo ancora il thrash un punto di partenza importante, ma c’era anche chi privilegiava la lentezza. E i Paradise Lost, grazie ad uscite come “Gothic” (1991) e “Shades of God” (1992), avrebbero dato una grande visibilità alla corrente del doom-death, attirando (giustamente) su di loro tutte le attenzioni insieme ad altri protagonisti della fiorente scena albionica (i primissimi Cathedral, i soliti My Dying Bride ed Anathema). 

Ma dall’altra parte dell’oceano, più esattamente sul cielo di New York, una meteora solcò la volta celeste, sempre nell’anno di grazia 1990, smollando a terra un monolito di enorme pesantezza. Nonostante il tonfo, lì per lì l’asse terrestre non avrebbe cambiato inclinazione, solo successivamente quell’opera, così mostruosa ed estrema, sarebbe stata rivalutata dai morbosi cultori del doom più ferale. Parliamo dei Winter e della loro opera magna “Into Darkness”.