Seconda puntata: Current 93
I nostri lettori già conoscono i
Current 93 grazie alla rassegna da noi dedicata al
folk apocalittico. In quella circostanza parlammo primariamente di “
Thunder Perfect Mind” (1992), capolavoro della maturità che apriva una radiosa stagione per la creatura di
David Tibet, approdato ai suggestivi lidi del folk: un cammino che avrebbe fruttato perle di assoluta bellezza come “
Of Ruine or some Blazing Starre” (1994), “
Pretty Little Horses” (1996), il gioiello “da camera” “
Soft Black Stars” (1998), il sofferto requiem "
Sleep Has His House" (2000) e il più recente “
Black Ships Ate the Sky” (2006), solo per fare qualche titolo.
Accennammo anche al fatto che in origine i Current 93 suonavano decisamente diversi, emergendo dal fosco scenario dei primi anni ottanta come i cantori più neri del verbo industriale. I Current 93 seppero dare al genere una connotazione diversa, riconducendo, come si diceva in sede di prefazione, la ruggine e il gelo delle macchine ai languori dell’anima. Con i Current 93 l'industrial diveniva per davvero post-industrial, avventurandosi per gli impervi sentieri dello spirito, aprendo di fatto un portale che avrebbe condotto ad un filone dal radioso futuro (con interferenze significative anche nell’universo metal): quello dell’industrial di matrice esoterica (o esoteric-industrial, che dir si voglia...).