5 ago 2018

DIECI ALBUM PER CAPIRE IL POST-INDUSTRIAL: CURRENT 93, "DOGS BLOOD RISING"


Seconda puntata: Current 93 

I nostri lettori già conoscono i Current 93 grazie alla rassegna da noi dedicata al folk apocalittico. In quella circostanza parlammo primariamente di “Thunder Perfect Mind” (1992), capolavoro della maturità che apriva una radiosa stagione per la creatura di David Tibet, approdato ai suggestivi lidi del folk: un cammino che avrebbe fruttato perle di assoluta bellezza come “Of Ruine or some Blazing Starre” (1994), “Pretty Little Horses” (1996), il gioiello “da camera” “Soft Black Stars” (1998), il sofferto requiem "Sleep Has His House" (2000) e il più recente “Black Ships Ate the Sky” (2006), solo per fare qualche titolo.

Accennammo anche al fatto che in origine i Current 93 suonavano decisamente diversi, emergendo dal fosco scenario dei primi anni ottanta come i cantori più neri del verbo industriale. I Current 93 seppero dare al genere una connotazione diversa, riconducendo, come si diceva in sede di prefazione, la ruggine e il gelo delle macchine ai languori dell’anima. Con i Current 93 l'industrial diveniva per davvero post-industrial, avventurandosi per gli impervi sentieri dello spirito, aprendo di fatto un portale che avrebbe condotto ad un filone dal radioso futuro (con interferenze significative anche nell’universo metal): quello dell’industrial di matrice esoterica (o esoteric-industrial, che dir si voglia...). 

Fattosi le ossa in formazioni quali Nurse with Wound e Psychic TV, David Michael Bunting (ribattezzato Tibet nientemeno che dal guru dell’industrial Genesis P-Orridge), decise nel 1982 di fondare un suo progetto personale, i Current 93, partendo dai rituali della magia sessuale di Aleister Crowley. Ci sentiamo di affermare che la scelta di questi presupposti “filosofici” fu probabilmente figlia dell'ingenuità giovanile del Nostro, in quanto il travagliato percorso spirituale raccontato attraverso le successive opere della Corrente avrebbe nel tempo accantonato la dottrina crowleyana (che fra l'altro fungeva in parallelo da spunto anche per certi approfondimenti tematici cari al metal), finendo per rappresentare qualcosa di maggiormente complesso, sfaccettato, personale e legato alla visione poetica del suo autore. L’idea tuttavia di ispirarsi alla “Novantatreesima Corrente”, l’utilizzo di campionamenti di rituali magici, fu una importante dichiarazione d’intenti, laddove l’occultismo negli ambienti della musica industriale veniva spesso trattato superficialmente, impiegato principalmente per il suo potenziale traumatico nei confronti dell'ascoltatore. 

Questo nuovo progetto esordiva discograficamente nel 1984 con l’EP “LAShTAL”, seguito a stretto giro dai full-lenghtNature Unveiled” e “Dogs Blood Rising”, pubblicati nel corso del medesimo anno. “Nature Unveiled” consisteva in due suite cacofoniche dalla durata di quasi venti minuti ciascuna. In particolare la prima, “Ach Golgotha (Maldoror is Dead)” (da sottolineare il riferimento ai “Canti di Maldoror” dello scrittore francese Lautréamont - altro pilastro del Tibet-pensiero di questo primo periodo), si impose come uno degli esperimenti più scioccanti mai tentati in musica. O cultori dell’Estremo, se volete vivere delle emozioni forti, per favore raggiungeteci in questo groviglio di cori gregoriani, pianoforti ottenebranti, echi, riverberi e, in mezzo a tutto, il terrificante latrato di Tibet, destrutturato, deformato e moltiplicato dalle macchine. "Nature Unveiled" è la musicazione di un incubo da cui non si riesce a fuggire, un esperimento che non trova eguali dentro o fuori i confini dell’industrial, genere che, con tutta la sua audacia, non aveva mai osato spingersi così a fondo negli abissi dell'Orrore

A distanza di nemmeno un anno avrebbe visto la “luce” (si fa per dire) quello che, secondo molti, si sarebbe consegnato ai posteri come il capolavoro assoluto dei primi Current 93: "Dogs Blood Rising". La maturazione del collettivo è evidente e se in parte si perdono l’iconoclastia e il carattere estremo dell’inarrivabile lavoro precedente, si compiono al contempo importanti passi avanti nella razionalizzazione delle idee, sviluppate in modo più efficace grazie ad una maggiore sistematizzazione delle risorse a disposizione. Intanto sei brani invece che due: scelta che rende il prodotto maggiormente fruibile, sebbene non manchino episodi di durata superiore ai dieci minuti. Chiariamoci: di “musicale” nel senso canonico del termine c’è ben poco ed orecchie poco allenate potrebbero smarrirsi facilmente in questi gironi infernali infestati da lamenti di dannati e berci di demoni. 

L’impressione d’insieme che ci restituisce l’opera è quella di luoghi di perdizione e follia, dove le varie voci edificano scenari di mestizia assoluta, sortendo un effetto di forte estraneazione, un angosciante senso di smarrimento, come se per davvero ci si trovasse in dimensioni “Altre”, al di fuori delle categorie conosciute di spazio e di tempo: un qualcosa che non è poi così distante dagli esperimenti avanguardisti compiuti da Diamanda Galas nel medesimo periodo (ricordiamo che la cantante greco-americana aveva debuttato nel 1982 con il disturbante EP “The Litanies of Satan”). 

In questo coro da “fine del mondo” (fra cui troviamo le declamazioni “punk” di Steve Ignorant e persino la voce di una bambina che recita una filastrocca), svetta ovviamente il lamento manipolato di Tibet, oscuro sacerdote di un cerimoniale che trasforma la sua interiorità lacerata in un incubo collettivo: nenie recitate con ossessività, falsetti malati che salgono e scendono senza logica apparente, growl distorti che inneggiano all’Anticristo, sofferte preghiere che fanno da didascalia a landscape sonici di assoluta desolazione. Il Nostro non sembra volersi fermare innanzi a niente pur di esprimere le sue irrequietudini esistenziali, vero motore fondante della sua arte. Egli infatti non si è mai definito un musicista professionista (cosa che in effetti non è mai stato e mai lo sarebbe stato), compensando con il cuore e l'ispirazione le lacune tecniche. Nel corso della sua carriera, tuttavia, ha spesso potuto contare sul contributo di collaboratori eccezionali: uno di essi, determinante in questa prima fase (e fra i più longevi nella parte successiva del cammino artistico di Tibet), è Steven Stapleton, geniale sound-designer che mise al servizio delle visioni apocalittiche dell'amico/collega gli autistici collage sonori dei suoi Nurse with Wound

In questo tandem eccezionale si compie uno dei più proficui sodalizi artistici che il genere abbia conosciuto: un flusso sonoro che, tramite dense pennellate di rumore, esonda e si prosciuga nell’andamento anarcoide di lunghe suite ed ottenebranti intermezzi, fra la riproposizione in loop di autentici rituali, elettronica ambientale e rumorismi assortiti, tutto scandito dai cupi rintocchi delle percussioni (a cura del "prezzemolino" John Murphy) che richiamano la vocazione rituale dell’operazione.

"Dogs Blood Rising" è un rito post-moderno che sembra anticipare una imminente Apocalisse, un luogo mentale dove paure ancestrali confluiscono nelle nevrosi di fine millennio, un delirio espressionista di suoni farneticanti e voci artefatte. Se l’impatto è uno schiaffo tremendo per orecchie e psiche, il lavoro certosino che si ha a livello di produzione e post-produzione è eccelso: chi avrà il coraggio di assimilare con lentezza le innumerevoli soluzioni di cui si compongono le pareti di questo labirinto infernale, avrà da gioirne. 

Quanto a voi, o arditi Cultori del Metallo, siamo ancora all’inizio di questo temibile viaggio nelle cavità buie del lato oscuro della musica industriale.

Discografia essenziale (del filone industrial):

"Nature Unveiled" (1984)
"Dogs Blood Rising" (1984
"In Menstrual Night" (1986)
"Down" (1987)
"Imperium" (1987)
"Christ and the Pale Queens Mighty in Sorrow" (1988)
"I Have a Special Plan for This World" (2000)
"Faust" (2000)
"Bright Yellow Moon" (2001)