28 lug 2020

THE BEGINNING OF THE END: "MOTLEY CRUE" (MOTLEY CRUE)



Anni fa mi imbattei in un libro di Nikki Sixx sulla sua esperienza di tossicodipendenza (che poi che ne so, mica gliel'ho diagnosticata) o, insomma, il suo problema con l'eroina. "The Heroin Diaries" mi pare, che non ho letto, anche perché con i Motley ho una questione in sospeso. Questi tizi incarnavano in maniera imbarazzante (in positivo) quella zona grigia che giustificava l'apparentamento del glam rock con il metal. Nati come gruppo rock, tentano la carta dell'exploitation e se la giocano bene: parrucconi, vestiti da carnevale, manifesti ribellistici che inneggiano alla gioventù satanica trombante, e naturalmente il minimo sindacale della trasgressione: la droga.

La cornice era la città metropolitana di Los Angeles, e la sua costellazione di club, di localacci di strip-tease. In quegli anni i rischi più totali sembravano alla portata di tutti, e l'autodistruzione delle giovani generazioni era finanziata e organizzata in maniera scoppiettante. I genitori della classe media, nel terrore che i loro figli frequentassero cattive compagnie, mettevano loro in tasca banconote perché si rovinassero con quelle buone.


Tutto questo mondo di mezzo ha un nome, ed è “Girls Girls Girls” (1987), apice stilistico quasi senza esito compositivo. Dello stesso periodo ci sono dischi di gruppi glam molto migliori e compiuti, ma meno famosi, come i Faster Pussycat. Apice commerciale fu invece il seguente "Dr. Feelgood" (1989), due dischi diametralmente opposti in termini di intossicazione: drogatissimi nel primo, appena disintossicati nel secondo. Ma sempre di droghe si parla comunque, i nostri hanno tanti argomenti quanti le dita della mano di un monco. Ma su questo piano trovano una concorrenza insostenibile, quella dei Guns n' Roses in ascesa e consacrazione. Più giovani e meno compromessi col metal.

Quando un gruppo si trova in imbarazzo, per motivi che magari nessuna sa, fa alcune cose che sono sempre quelle. Una è cambiare logo e farne uno semplificato, sobrio, magari anonimo. L'altra è fare un album che porta il proprio nome, così, improvvisamente dopo lavori con un titolo. Quando si aggiunge la terza c'è da tremare, e cioè fare la copertina con il logo anonimo, sobrio e semplificato piazzato lì in versione gigante. Da scappare subito a gambe levate.

Eppure vedete, come nella regola del The Beginning of the End, la china discendente era già iniziata, e questo è il primo tassello di una certa dimensione. Il primo in assoluto fu invece una coppia di pezzi che avrebbero dovuto anticipare un nuovo corso, cioè "Primal Scream" e "Anarchy in the UK" in "Decade of Decadence" (1991). Buoni pezzi, perfino la cover è una delle poche cover fatte con fantasia. Però Primal Scream che vorrebbe indurci a credere? Che questo “urlo primordiale”sia un urlo di rinascita, una specie di nuovo big-bang? E perché, per una band che è stata per 114 settimane al numero 1 di Billboard? Evidentemente le cose stanno andando a scatafascio. E la cover? Come per cadere sul morbido di un brano già caro al pubblico metal per la cover già fatta dai Megadeth, con successo. In più, il solito problema del disco che dovrebbe essere un “Best of” fatto con versioni live, remix e versioni originali, più pochi inediti e cover. Non un cofanetto sostanzioso, un disco di quelli interlocutori, che tradisce una specie di imbarazzo discografico.

I Motley vivevano al di sopra delle loro possibilità, se non altro artisticamente. Pur abili nei loro ruoli, non c'è un solo disco che sia totalmente convincente, e soprattutto si ha non si rado l'impressione di una certa incuria, riempitivi o ritornelli legnosi, a fronte di sonorità che invece sono centrate e accattivanti, per non dire seducenti (quelle di Girls in particolare). Un passo falso può essere letale in questi casi, i fans sono pronti a non rivolgerti più la parola: quando ti hanno comprato e ricomprato solo per due o tre hit a disco, farne uno sbagliato è come rimanere senza munizioni. Sei fatto.

E i nostri si presentano al plotone di esecuzione con il nuovo cantante, il meno responsabile di tutti probabilmente, John Corabi ex The Scream. Si parte con “Power to the music”, come dice il titolo un brano mid-tempo di rara mosceria. Per chi ancora lo avesse su, si insiste con “Uncle Jack” e “Hooligan's holiday”. Forse è un gioco, uno scherzo, dei titoli cazzuti appositamente in contrasto con un andamento stanco e sudaticcio, uno stile che pare tener dovuto conto del grunge e del crossover tipo-Soundgarden senza alcuna buona ragione perché questo debba accadere ai Motley Crue. Tanto per capire quanto di significativo abbiano fatto da lì in poi, nel 2009 fecero i concerti del disco del 2008 riproponendo per intero Dr.Feelgood, con la scusa del ventesimo anniversario- E, sia ben chiaro, non è che fosse proprio da risentire per intero a distanza di 20 anni, tolta qualche hit. Ma mentalmente erano rimasti lì.

Ancora in grado di vendere come una band di medio successo, i fans non possono che rispettarli per le conquiste femminili inanellate, e pagano pegno a Tommy Lee per esser stato il marito della star Pamela Anderson, con tanto di filmatino amatoriale dato in pasto al pubblico. Io preferisco personalmente una ex moglie di Nikki Sixx, Heather Locklear, attrice celebre per "Melrose Place" ma soprattutto la serie poliziesca "TJ Hooker". Ma il più dritto fu Mick Mars, che zitto zitto si mise con una delle due coriste di "Wild Side".

L'inizio della fine però fu proprio l'apice. Il famoso “quarto disco, quello della maturità”. E quando maturarono, ahimé, il sapore iniziò ad andar via. Inizialmente supplì la tecnica, la cornice, la celebrazione internazionale, e perché-no anche le sonorità meno sporche e più adatte ad una stagione piena di passaggi radiofonici, inclusa una ballad di pronto consumo come “Without You”.

Il disco “drogato” era stato una mezza avventura per la casa discografica, pare che i brani fossero stati messi insieme sommariamente e senza far avanzare niente, anzi con bisogno di aggiungere episodi discutibili per fare un numero decente di tracce sulla carta. Ma questo era sdrogato...e quindi? Brani sicuramente più lavorati, più articolati forse, ma quanto a idee siamo sempre lì. Vince Neil cacciato poi per ricaduta nelle droghe, pare. E il risultato sarebbe quindi stato “Motley crue”...?

La sensazione retrospettiva di tutta questa storia somiglia a quella descritta da Tommy Lee quando descrive il cocktail di droghe che usava all'epoca di Girls: cocaina e triazolam (polvere zombie), con l'effetto di indurre un rilassamento muscolare estremo, unito ad un'eccitamento mentale altrettanto estremo. I dischi dei Motley sono un po' così: quando ti svegli credevi di aver macinato una storia infinita di brani memorabili, ma di quelli solo un paio a disco. E il resto del tempo e dello spazio dove sono finiti? In bocca ad un passato mai esistito. Uno spettacolo circense di cui i protagonisti non ricordano quasi nulla, come Lee stesso (per le ragioni che sappiamo) e molti ricordano più di quel che in effetti era.

I Motley sono come quelle relazioni in cui si sarebbe potuto fare così tanto di più, e meglio, con meno fretta, ma forse si deve essere contenti così. Perché se fossero andate avanti, non sarebbero state altro che tristi conferme dei limiti che avevano, soltanto con meno sale e meno pepe.

A cura del Dottore

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