Da sempre sono affetto da una malattia che in parte mi pregiudica la libera e spontanea fruizione della musica, metal o meno che sia.
Spesso
mi fisso su come vorrei che fosse un'opera, non accettando come essa
effettivamente sia nella realtà. Mi spiego meglio. Proprio quando un album mi
piace molto, sono propenso a non tollerare il dettaglio per me
"sbagliato", quello che secondo la mia sensibilità è "fuori
posto" e dunque "rovina" il quadro d'insieme: “Se quel
ritornello in quella canzone fosse stato diverso...", "se quel
tal brano non si fosse troncato così all'improvviso...", "se
quella traccia di merda non vi fosse proprio stata...", "se i
suoni fossero stati migliori...", "se vi fosse stato un altro
cantante..." ecc.
Quesiti
di questo tipo a volte non mi danno pace, ma fortunatamente ne sto uscendo,
lentamente: il tempo e la vecchiaia mi hanno insegnato che certe tal opere
“devono essere come sono”. Da un lato è stato importante imparare a comprendere
e rispettare le scelte dell'artista; dall'altro rendersi conto che l'opera non
è sbagliata, ma sbagliato è il mio approccio, perché sono io che magari non
capisco. Ed infatti oggi mi dico: menomale che quelle opere non sono come le
avrei cambiate io, magari quando avevo sedici anni e certe scelte stilistiche
non potevo comprenderle per mia immaturità, incompetenza musicale o chiusura
mentale.
Tuttavia,
nonostante il lavoro che sto facendo su me stesso per superare questi miei
limiti, c'è un album in particolare che per me continua ad essere un grande cruccio,
un "qualcosa di irrisolto", un'opera che, per quanto adori, non
riesco ad accettare fino in fondo: "De Mysteriis dom Sathanas"
degli amici Mayhem.
Capolavoro
assoluto, senza se e senza ma. Ma in quell'album avrebbe
dovuto cantarci Dead, non il suo “rimpiazzo” Attila Csihar. Senza
togliere nulla al buon ungherese ed alla sua ugola marcia (un cantante dal
"timbro" unico, con capacità espressive mostruose -in tutti i sensi-
e un carisma inarrivabile in ambito estremo), Dead doveva di diritto cantare
su quel disco. Per due ragioni. La prima, più leziosa, è che sarebbe stato
storicamente importante poter ascoltare Euronymous e Dead insieme su un
album ufficiale dei Mayhem. E che album: con la sua formazione
"storica" "De Mysteriis..." sarebbe stato ancora più
leggendario, considerato il grande contributo che il cantante, proveniente
dalla vicina Svezia, aveva fornito alla formazione di Euronymous, sia a livello
stilistico che a livello di attitudine, approccio alla musica e filosofia black
metal. La seconda ragione, più di sostanza, è che Dead era un cantante
fenomenale e solo lui avrebbe potuto rendere al meglio i testi da lui stesso
scritti.
Ci
si può però consolare con "Live in Leipzig", dove troviamo i
Mayhem nel loro assetto migliore di sempre: Euronymous ovviamente alla
chitarra, Dead alla voce, Hellhammer alla batteria e Necrobutcher
al basso. Da notare la data di registrazione: 26 novembre 1990. Ripeto:
26 novembre 1990, "dettaglio" che rende questo documento una dei
lasciti più seminali che si abbia mai avuto in ambito di metal estremo.
Suonare
come suonavano i Mayhem nel 1990 era una cosa impensabile per chiunque allora.
Come abbiamo potuto constatare grazie alla nostra classifica sui migliori
album death metal usciti nell'anno 1991, mentre i Mayhem suonavano quella
sera all'Eiskeller Club di Lipsia, il mondo dell'estremo era dominato
dall'ascesa prepotente del death-metal, genere che a sua volta doveva ancora
completare il suo processo di maturazione definitiva. Il gothic metal doveva
persino nascere, mentre i Mayhem inventavano il black metal come oggi lo
conosciamo: non dunque come lo avevano interpretato prima di loro gli avi Venom,
Celtic Frost e Bathory. Ma non si può certo dire che sia tutto
merito di Euronymous, leader del gruppo e figura centrale dell'intero
black metal norvegese: in questo formidabile "laboratorio" si
riveleranno fondamentali il drumming tempestoso di Hellhammer e il
nichilismo vocale di Dead, che potremmo definire (almeno a livello iconografico
e filosofico) l'anima stessa del black metal.
Non
più attitudine e mascara quindi, ma mascara (Dead è ritenuto l'iniziatore del corpse-painting
nel black metal, più minimale rispetto a quello di King Diamond, che
ancora guardava ad Alice Cooper e Kiss), topi crocifissi,
sniffate di corvi morti, vestiti sotterrati e dissepolti prima dei concerti per
apparire "più morti", autolesionismo "live" con coltelli e
bottiglie rotte, teste di maiale lanciate sul pubblico e revolverate nella
testa con tanto di biglietto con scritto "scusate per il sangue".
Un folle. Ma anche un cantante unico, la cui breve esistenza su questo
mondo non ha permesso di poter incidere la sua voce su un album ufficiale dei
Mayhem: oltre alle registrazioni effettuate con i Morbid (la sua
precedente band), gli unici documenti che possediamo del cantante svedese sono
infatti questo live (dato alle stampe nel 1993), il bootleg
"Dawn of the Black Hearts", lo split Morbid/Mayhem
"A Tribute to the Black Emperors" e la raccolta "Out
from the Dark", tutte pubblicazioni postume che il più delle volte si
sono rivelate non altro che bieche operazioni commerciali volte a battere il
ferro finché caldo.
Non
è però il caso di questo "Live in Leipzig", che si
rivela un efficace best of per una band già seminale nonostante la giovane
età (all'epoca i Mayhem avevano all'attivo solo due demo, un EP ed un album
ancora in lavorazione).
La
differenza fra i vecchi Mayhem e quelli nuovi (con Hellhammer
alle pelli e Dead al microfono) è palpabile e si evince misurando l'abisso che
divide i brani più datati da quelli più recenti. Da un lato la veterana "Pure
Fucking Armageddon" (presente nel demo del 1986 che porta lo stesso
nome) e gli episodi tratti dal mitico "Deathcrush" (del 1987):
tutti ancora fortemente thrash-oriented. Dall'altro le composizioni che erano state
scritte per "De Mysteriis..." (dato alle stampe nel 1994 per i motivi
che tutti conosciamo): brani che possiamo definire "compiutamente"
black metal, almeno due anni prima che il fenomeno esplodesse con i lavori di Darkthrone,
Burzum ed Immortal.
Per
quanto riguarda la prima schiera di brani, sebbene non sia da disdegnare il
latrato da cane scuoiato di Maniac (che aveva cantato sullo storico EP),
c'è da ammettere che Dead con il suo carisma riesce a dare un nuovo aspetto a quegli
episodi. Per non parlare dell'apporto del drumming tecnico e preciso di
Hellhammer. "Deathcrush" con il suo proverbiale riff;
"Necrolust" con la sua introduzione incespicante e
l'accelerazione devastante nel finale; la stessa "Pure Fucking
Armageddon", sublime massacro sonoro a cui viene affidato il compito
di chiudere l'esibizione (giusto per citare le tre più significative, perché
poi ci sarebbero anche "Carnage" e "Chainsaw Gutsfuck"):
sono tutti pezzi leggendari che, pur nella veste artigianale di questa
registrazione, guadagnano in intensità e pathos rispetto alle versioni
originali.
Già,
i suoni: logico che non ci si può aspettare una produzione linda ed
immacolata, ma c'è da dire che siamo ampiamente all'interno dei confini
dell'accettabilità. Non solo: le varie sbavature in fase di esecuzione, i
fischi di chitarra prima dell'inizio e dopo la fine dei brani, il basso
iperdistorto e sporchissimo di Necrobutcher (che funge praticamente da seconda
chitarra, conferendo profondità al tutto), il vociare della gente e i secchi
applausi dei pochi astanti, tutto questo conferisce un accattivante profilo underground
al prodotto, accrescendone di non poco il fascino.
Da
sottolineare il fatto che, laddove Dead era solito aprire i concerti gridando
"Only black is true, only death is real", in "Live in
Liepzig" la prima parte della frase è stata accidentalmente tagliata (viva
l'approssimazione!), cosicché premendo il tasto play del nostro lettore cd, dopo un minuto tondo tondo di bisbigli e rutti del pubblico,
verremo bruscamente investiti, previa una improvvisa interruzione, dalla vociaccia di Dead che strepita
"ONLY DEATH IS REAL" (e poi attacca il riff di
“Deathcrush” – che goduria…): una frase che assume contorni realmente
inquietanti se si pensa alla patologia di cui era affetto Dead (il Nostro
soffriva della sindrome di Cotard, ossia era convinto di essere morto e
pensava di vivere in una sorta di sogno da cui si sarebbe presto risvegliato),
ma soprattutto se la si vuol leggere come oscuro presagio dei fatti
sanguinolenti che investiranno la band di lì a poco (il suicidio dello
stesso Dead, l'omicidio di Euronymous).
Del
resto Dead esprimeva il suo carisma anche interagendo con il pubblico:
proverbiali i suoi "C'mon Leipzig" e "Are you dead???".
Come si sarà capito, ogni "goccia di suono" di cui è composto questo
lavoro porta con sé l'alone della leggenda. Questo aspetto, tuttavia, non deve
offuscare il giudizio dell'ascoltatore, perché qua il valore sta principalmente
nella musica suonata da questi quattro ragazzi all'epoca poco più che ventenni.
Eccoci
dunque ai pezzi di "De Mysteriis..." che sono a mio parere il piatto
forte del platter (ben quattro: "Funeral Fog", "Freezing
Moon", "Buried by Time and Dust" e "Pagan
Fears" - già i titoli evidenziano la poetica malsana di Dead, la cui
penna si era allontanata dalle tematiche splatter degli esordi della
band per spostarsi verso l'atmosfera e i temi del satanismo, del paganesimo
e della depressione). Il ruggito frastornante di Dead, rispetto
all'inquietante sibilo di Attila, rende queste versioni ancora più selvagge di
quelle che troveranno spazio nel full-lenght. Mi soffermerei sui primi
due brani citati, classici per eccellenza dei Mayhem e di conseguenza del
genere intero.
A
farci capire che i Mayhem sono un'entità superiore, basta ascoltare quello che
accade nella parte centrale di "Funeral Fog", dove Euronymous
sprigiona dalle sue sei corde una serie di riff clamorosi che faranno
letteralmente la storia del metal estremo. E Dead ci si spalma sopra con epica
e demoniaca disperazione, sposandosi alla perfezione con il dinamismo di quel
ronzio metafisico intessuto dalla chitarra ispirata e supportato dalla batteria
lanciata a mille all'ora. In certi momenti vien da pensare a Dead come il
miglior cantante black metal della storia e a Euronymous come al miglior
chitarrista che abbia mai messo piede sulla faccia della terra (se non ci credete sentite l'urlo disumano allo scoccar del terzo minuto che evidenza il mitico cambio di riff).
Quanto
a "Freezing Moon", classico dei classici dei Mayhem, non c'è
bisogno di ulteriori commenti: ci basti segnalare il fatto che qui essa risulta
ancora più morbosa e macilenta dell'originale con un Dead che domina da vero titano
i suoi stessi versi. In tutto questo Euronymous alla chitarra esprime la
fantasia del creatore: dell'artista così creativo che le sue peculiarità
divengono cliché, standard assodati. Necrobutcher ci dà dentro
con il giro di basso più imitato del black metal, mentre Hellhammer dimostra di
non essere solo un grande "pestatore", ma di possedere quella
sensibilità che gli permetterà in futuro di districarsi anche in partiture più
complesse e di affrontare sfide più ardue nell'empireo della musica progressiva
e d'avanguardia (si consideri la sua militanza negli Arcturus).
Se
notoriamente il black non è un genere che rende al meglio nella dimensione
live (tant'è che molte band nemmeno suonano dal vivo), c'è da dire che i
Mayhem, anche sul palco, riescono nell'impresa di risultare all'altezza della
loro fama, senza perdere quel marciume, quell'alone malefico, quelle atmosfere
malsane che infestano i loro album più noti.
Per
quanto mi riguarda i Mayhem con Dead (e qui cito Robert Musil) finiscono
per ossessionare l'ascoltatore "come una poesia oscura, dove tutto è un
po' spostato e stravolto e rivela un senso che fluttua smembrato nel profondo
dell'animo."
"Non
sono un essere umano. Questo è solo un sogno e presto mi risveglierò."
(Dead,
1969 - 1991)