23 gen 2023

IL NOME DELLA ROSA: IL METAL NON RIDE - VIAGGIO NEL METAL UMORISTICO



"Il Nome della Rosa", romanzo (1980) e film (1986), raccontano la storia di un ispettore della Santa Sede che deve far luce su una serie di delitti all’interno di un convento. Religiosi che si ammazzano tra di loro, probabilmente. Dietro questo giallo ci sono divergenze aspre sul futuro del movimento, un po’ come nelle vicende che ruotavano intorno all’Helvete di Oslo. Forse anche royalties non pagate per qualche copia di testi con miniature di pregio, chi può saperlo.

Attenzione: spoiler! Alla fine si scopre che i delitti del convento sono legati all’intento di tener nascosta una verità teologica fondamentale. La propalazione di quella verità avrebbe causato un cambio di rotta teologico dietro cui, forse, sarebbe franata l’intera istituzione ecclesiastica. D’altronde era epoca di Chiesa cupa e severa, che non scherzava e con cui non si scherzava, altro che la bonarietà del Papa Buono, le freddure di Giovanni Paolo II o l’umorismo 'da Rai1' di Papa Francesco. Altra epoca, altre esigenze. I religiosi avevano scoperto che un libro legittimava in qualche modo il riso come attributo divino, e  se ciò fosse stato vero, Dio sarebbe risultato colui che ride fondamentalmente di sé. Questa verità era talmente rivoluzionaria da non poter essere discussa, men che meno a partire dall’autore, Aristotele, la cui autorevolezza era fuori discussione. Il riso non è espressione accettabile, né ciò che lo produce può essere considerato favorevole a Dio. Dio è innanzitutto timore, e non si ride del timore, altrimenti non sarebbe più tale. Per questo, nella storia, il libro era stato intriso di veleno, e tutti coloro che per caso lo avessero sfogliato sarebbero morti.

Scoprendomi orgoglioso della mia impostazione reazionaria, dirò che lo stesso accade nel metal. Il metal non ride

Gli Dei del Metal, di cui i Manowar parlano come di entità dall’assodata esistenza, non ridono. I Manowar stessi mai hanno riso parlando del true metal. Gli spadoni, i reggipalle d’acciaio con fodera di pelle di cervo, non fanno ridere. Abbiamo avuto mille occasioni di ridere di metal, ma ci siamo ben guardati nel nostro percorso di avvicinamento. Sarebbe ad esempio fin troppo facile scoppiare a ridere guardando un retrocopertina di un disco di thrash tedesco anni 80, buttiamo lì per esempio i Paradox, disco omonimo. Fa ridere un omaccione baffuto che si piazza a gambe larghe mostrando la chitarra Flying V come fosse una foglia di fico in una posa inspiegabile? Neanche sbirciando dietro al tizio con pantaloni attillati a strisce verticali e stivaletti da passeggiatrice? Insomma volendo è chiaro che ci sono mille occasioni di ridere di una religione. 

Ma il credente non ride.

Neanche l’eretico ride, come infatti diceva l’Abate nel "Nome della Rosa". L’eretico è preso da quisquilie interne su questioni che si risolvono da sole e con polemiche suicide che non hanno futuro. Filoni stilistici, rivoli in cui si fa leva sulla novità, sul cambiamento di uno stilema, ma poi alla fine sono tutti destinati a riconfluire, con le buone o con le cattive. Insomma, i Priest provarono a fare del metal elettrico da discoteca con "Turbo", ma è poi durata la cosa? Gli Stryper lanciavano bibbie sul pubblico a fine anni 80, e infatti di lì a poco nasce il black metal. Non c’è neanche bisogno di contrastarle queste derive, sono velleitarie.

Ma quello del riso è un rischio concreto, contro cui forse ci vorrebbe più consapevolezza. Anche perché i gruppi che lo propongono hanno la caratteristica non secondaria di essere tecnicamente preparati. Attenzione, qui non parliamo del cosiddetto happy metal, cioè metal dall’impronta gioviale e dal messaggio solare, sostanzialmente un filone del power. Le perversioni le accettiamo, in un mondo in cui la normalità è l’oscuro, il mostruoso e il depressivo. Il problema è quando il metal ride di se stesso, si fa l'auto-parodia, si prende poco sul serio nei suoi assiomi, al punto da presentarli in maniera irriverente.

La parodia di solito valorizza la fonte originale, e anzi vive del prestigio della fonte originale, come un imitatore. Ma se un imitatore dice più del soggetto imitato, e lo supera quindi, che cosa rimane alla fine dell’originale? Il rischio è quindi questo, e cioè che gruppi parodistici riescano ad essere così incisivi da oscurare i modelli originali, imponendo una versione autoironica del metal. Una pietra tombale.

La stessa nascita del metal è segnata dal rifiuto dell’umorismo e della dissacrazione. I nomi del metal sono autocelebrativi, epici, evocano la tradizione della letteratura o del cinema gotico. La psichedelia che incontra il metal diviene automaticamente chiusa, cupa, riflessiva ma non progressista, bensì reazionaria...e ne nasce il doom. Il rock d’intrattenimento che serve a ballare e a scuotere le chiappe diventa metal, e subito le luci in sala si abbassano, l’aria si fa spessa, le danze cessano. Le Campane dell’Inferno degli AC/DC sono la morte dello spirito rock autentico e segnano lo spartiacque con il metal rock. Il gatto nero fa la sua comparsa sulla scena e si piazza su un lato del palco, senza muoversi. I nomi del gruppi, fatto salvo qualche residuo anni settanta, sono gotici, macabri o aggressivi, recano suggestioni maligne o maledette, senza aperture; vengono meno gli addentellati con la realtà, con le sue evoluzioni, le sue illusioni o i suoi elementi popolari. Si capisce già dal nome che i Black Sabbath hanno a che fare col metal, e i Vanilla Fudge no. I Judas Priest si, e i Jefferson Airplane no. 

I Necrodeath sì, e non la Premiata Forneria Marconi. 

Le “porte della percezione” si chiudono. Il metal non guarda fuori, non vive i suoi limiti come qualcosa da superare all’istante stesso in cui si definiscono, o da ripetere in maniera divertita. Li vive come assiomi, come giuramenti, come missione. Il prog-metal esiste, ma è come la differenza tra lo zoo di Pistoia e lo zoo di Tirrenia (quando esisteva): gabbie più grandi, ambienti più vari, dentro anche costruzioni ad hoc per muoversi, stare in alto o in basso, ma sempre in relativa cattività. La porta della gabbia è in verità aperta, ma oltre i confini si è fuori. Nel Metal, la gabbia è vita.

Almeno fino ad oggi, tutti i casi in cui il metal ha provato il registro comico ne è risultato un messaggio dalla vita breve, divertente giusto per provare. Ma non ignoriamo il fatto che il rischio c’è e che quindi la realtà del metal ironico, parodistico e umoristico vada esaminata per esserne consapevoli. Abbiamo quindi preso in esame una galleria di esempi, di vari filoni: il semplice divertimento iconico e testuale, l'uso del riso o del sorriso per far riflettere, la dissacrazione estesa anche alla parola di chi dissacra, la parodia e le cover ridicole, l'umorismo sul cliché; e infine il tentativo di comporre testi divertenti, in parte parodistici, utilizzando la carica autoironica di alcuni generi.

Ma che la consegna rimanga quella di sempre: il metal non ride. Vediamo allora di passare in rassegna quei progetti musicali che "prendono in giro" il genere e i suoi stereotipi, facendolo davvero e non solamente per quel finto atteggiamento autoironico di molti artisti che si auto-celebrano tramite critiche o ironie con la retrocarica. Un Vaffanculo di Masini, un Addio di Guccini, un Cantautore / Sono solo canzonette di Bennato sono soltanto soluzioni retoriche per consolidare se stessi in posizione autorevole, contro il fraintendimento della propria figura o le eccessive responsabilizzazioni.

1. Immortadell

2. Tossic

3. Umorismo da pub: Tankard 

4. I giochi di parole degli Skyclad

5. Il vero vizio dei Cradle of Filth 

6. Lordi

7. L'auto rubata dei Gwar

8. Nanowar of Steel

9. Gli Helloween e l'"happy metal"

10. Faith No More: meteore del "nonsolometal"

Epilogo: la comicità involontaria

A cura del Dottore