"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

20 apr 2023

IL METAL NON RIDE - III. L'"ALCOHOLIC METAL" DEI TANKARD

 


Ogni tanto è bello riscoprire la teutonicità

I teutonici hanno una sorta di istinto per la dimensione pubblica, cioè riescono a concepire le proprie azioni in funzione di una loro accettabilità e approvazione sociale. Chiedi ad un tedesco di costruire una macchina: lui tira fuori la Volkswagen, la macchina “del popolo”, concepita per rispondere ad esigenze di resistenza, solidità, economia. I tedeschi probabilmente costruiscono bulloni di qualche millimetro in più di spessore per questo senso della decenza e del rispetto degli altri, a cui non rifilano prodotti scadenti solo perché possono farlo. Ne va della loro dignità. 

Anche nel metal è così. Gruppi di giovinastri che da un giorno all'altro imbracciavano gli strumenti e – per questa forma di magia teutonica – sapevano suonare in maniera compatta, metronomica, coordinata.

I Tankard appartengono di fatto all'ondata thrash teutonica degli anni '80, ma sono considerati dei minori. Motivo: hanno puntato sul più debole dei loro connotati, ovvero la comicità. Io stesso sono stato riluttante ad ascoltarli per anni e anni, credendoli una specie di tristissima compagnia di goliardi birraioli con una produzione trascurabile (Tankard è il boccalone di birra, quello grosso). Non che mi fossi sbagliato ma il punto è che la musica funziona, e molto bene. I Tankard hanno un loro stile, ricordano a tratti quello di diversi altri gruppi contemporanei ma in particolare stupisce l'elemento thrash propriamente detto. La batteria riesce a pestare in maniera ostinata e sostenuta, con una regolarità da drum-machine ma con una vibrazione decisamente umana che fa percepire il gesto muscolare in ogni colpo.

Ogni manciata di pezzi piazzano anche delle canzoni che potrebbero essere inni del metal, una per tutte “Metal Cash Mashine”, dall'ultimo "Pavlov's Dawgs" (si, il gioco di parole è sia nel titolo della canzone che dell'album...). Quasi epica.

Eppure per loro tutto lo sforzo è ripagato dal divertimento che provano nello scherzare, per lo più sulla birra. E dietro alla birra battute di grana grossissima su questo o quello. Ovviamente non molto sesso: non siamo in Italia, non sono i Tossic. Ad esempio, la succitata "Metal Cash Mashine" è una canzone che ironizza sul pubblico metallaro che butta i suoi soldi nel comprarsi magliette, toppe e abbigliamento d'ordinanza. E il tutto si chiude nella totale comicità quando i nostri immaginano di uscirsene sul mercato con una loro linea di indumenti già puzzolenti, a cui evidentemente il metallaro medio è abituato e di cui si prevede sia entusiasta. Risate a profusione (probabilmente entro i confini teutonici).

Risultato: un grandissimo brano completamente rovinato. Ormai inservibile. Ma questa tendenza teutonica a valorizzare l'aspetto più grossolano e impresentabile come fosse il tocco di genio che rende unico il tuo lavoro...beh, è incoercibile. Quando il teutonico deve esprimersi individualmente, non ce la fa. Guarda in faccia gli altri, si mette d'accordo su cosa sia divertente e ci ride all'unisono. Se mai notate una comitiva di teutonici allegri ad un tavolo di ristorante, fateci caso. Lo descrive bene anche Curzio Malaparte ne "La Pelle" (1949): i tedeschi ridono anche per il loro vicino di tavolo, ridono sempre per qualcun altro, non possono ridere a titolo personale. Questo rende la comicità alla Tankard qualcosa di estremamente “minimale”, ridotto al puro oggetto che fa ridere, alla trovata basica che rende la risata senz'altro condivisibile, ma sciapa. Per questo c'è la birra, perché con l'alcol si ride insieme, e si ride di niente, fino a divenire indisponenti. Sedetevi vicino ad un ubriaco che vi fa una battuta e entro cinque minuti avrà insistito così tanto che o non ne potrete più voi, o lui si metterà in testa che ce l'avete con lui perché non state ridendo abbastanza delle sue facezie (che si scorda di avervi già detto).

Loro lo chiamano alcoholic metal, ma secondo me non è questo il punto. E' humour teutonico applicato all'alcol applicato al metal.

Ricordo bene la mia lettura del "Mein Kampf", un testo in cui Hitler racconta la sua faticosa ascesa al potere tramite la raccolta, passo passo, del consenso popolare con il suo Partito dei Lavoratori. Dopo qualche decina di pagine, aspettandomi un libro ideologico, mi fermai, e mi chiesi che c'entrava quella serie di descrizioni di serate nelle birrerie di Monaco. C'è anche l'ideologia, ma con una teoria di comizi in birreria. Perfino il nazismo, voglio dire, aveva bisogno di questa dimensione goliardica, con tutto che non si può certo considerarla un'ideologia che si prendeva poco sul serio.

Figuriamoci quindi cosa fanno i Tankard col metal. Il metal diventa un continuo darsi di gomito su quanto vada giù bene l'alcol, sul fatto che è sempre il momento per un altro goccio, e così via. Al punto che finiscono per "scherzare sullo scherzo". Quel che inquieta, se si analizzano le parole più spesso usate dai Tankard, non è la parola beer” che ricorre per ben 179 volte, ma il fatto che quella metal ricorre 114 volte. Non siamo, insomma, di fronte a quattro beoni che con la scusa del metal parlano di alcol. Non siamo neanche di fronte a metallari che scherzano sull'alcol, per poi recuperare la dovuta serietà, come i Peste Noire in “Dans Ma Nuit”, che inizia con immagini di una mattina post-sbornia per evolvere in maniera grottesca verso una cupezza e seriosità “nerissime”. I Tankard sono invece un tentativo di rendere il metal una questione alcolica. Un tentativo di infiascarlo.

Nella loro evoluzione, un po' come i Sodom, i Tankard oscillano tra prove di discreta caratura thrash, ad altre in cui evidentemente si lasciano andare a ciò che pensano sia il loro lato più geniale, ovvero grossolano thrash and roll in cui il compiacimento goliardico raggiunge il suo apice. Siamo dalle parti delle gare di rutti, di sputi, o giù di lì. Per la precisione, i Tankard si soffermano a celebrare le loro “curregge maligne”, cioè dei peti al metano che inframezzano le pisciate di birra ("Myevilfart", dall'album "Thirst" del 2008).

In fin dei conti fare del buon thrash metal e condirlo con questi testi e questo tipo di humour è un po' come comprare tappeti persiani per poi farci cagare sopra il cane. Una famosa rivista tedesca, “Stern”, descrisse i Tankard come “un treno che deraglia carico di boccali di birra”, ed è verosimile che fosse un titolo da grassissime risate per il lettore teutonico. In verità i Tankard, peraltro longevi, si possono indicare come un ottimo gruppo thrash che per scelta religiosa vuole sprecare il proprio talento cercando di far ridere con facezie intorno al tema della birra. "A Girl Called Cerveza" (la birra come una donna di cui sei innamorato – uh, che buffo! - , "Beauty and the Beer" (uh – un gioco di parole inarrivabile), "The Morning After" (quando uno si sveglia dopo la sbronza della sera prima – uh, che ridere !). Chissà se anche "Mon Cheri", apparentemente canzone d'amore, è dedicata al ripieno dell'omonimo cioccolatino al liquore..?

Ma potremmo continuare con l'essere mostruoso Lohocla (anagramma), le isole Beermuda, i "Beerbarians", "R.I.B. (Rest In Beer)"....

Cento di questi boccali ai Tankard, ma giù le mani dal bancone del metal. Che è come il barman professionale: li guarda, li serve, ma non ride. E tra un po' li butta fuori a pedate.

A cura del Dottore

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