18 ago 2023

BLACKIE LAWLESS E PIRANDELLO: LA RICERCA DELL'IDENTITA' OLTRE L'IDOLO CREMISI E IL DIO AL NEON

 




Blackie Lawless è da sempre ossessionato dal tema dell'identità. In una fase iniziale dissimula o, meglio, ci si avvicina per gradi, tramite il tema collaterale della maschera. I personaggi di Lawless coniugano la figura del rocker motociclista d'assalto a quella dell'erotomane sado-maso

Di necessità virtù: il profilo di Lawless non fa pensare né a quello di un motociclista legnoso e misantropo, né a quello di un sex symbol; e allora ci butta sopra un bel po' di salsa grottesca, circense. Il suo personaggio è un motociclista con il pisello di fuori che passa attraverso un tunnel degli orrori. Quale messaggio potrebbe veicolare un simile teatrino? Nessuno, nella comune percezione. 

Ma l'inquietudine concettuale di Lawless già ribolle in questo calderone anni '80, fin dall'opener dell'esordio omonimo (1984): "I Wanna Be Somebody". Prima ancora di decidere come presentarsi, la maschera carnevalesca di Lawless pone la sua istanza, sotto l'apparenza del classico inno “wanna-be” delle giovani generazioni ribelli e inquiete. Il sospetto poteva venire perché, subito dopo questa dichiarazione di intenti, si susseguono una teoria di personaggi un po' tutti uguali che in realtà sembrano non voler divenire proprio nessuno, nel nulla di una consumazione di una fuga continua da ogni vincolo e placcaggio da parte della società. Le maschere di Lawless sono innanzitutto travestimenti della natura fondamentale: un uomo ossessionato da un'identità definitiva.

Il bambino selvaggio, lo zingaro che non si ferma mai, il cattivone (mean man), e così via...sono solo finzioni nella finzione. Fa l'occhiolino invece il “Rebel in the FDG”, ovvero “il ribelle di questa dannata generazione di decadenti”. Per chi conosce poi l'evoluzione di Lawless, con rappresentazioni dal taglio sempre più politico e spirituale, già qui si vede la vera posizione di partenza del nostro: non un ribelle contro la società dei benpensanti “e basta”, ma un ribelle, semmai, contro la società costituita sia dai benpensanti bigotti che dai decadenti che fanno il bagno nella propria natura carnale, senza viverla mai fino in fondo, cioè fino allo spirito. Blackie si cala nei panni di chi brucia di vita, ma è proprio da questa posizione che poi si rivela per quello che è: mentre gli altri bruciano nel fuoco, lui lo attraversa e si pone il problema di quale sia la giusta fiamma.

"The Headless Children" (1989), disco si svolta, è un sermone sul mondo che ha perso la bussola. Il mondo che si nutre di se stesso, che alimenta un mostro di distruzione, dal basso (droga, violenza diffusa, mito del denaro) all'alto (lotta tra nazioni, guerra nucleare).

Blackie arriva quindi dove voleva arrivare: al “romanzo” psicologico. Protagonista è un uomo che si sente “invisibile” (il bambino che solo lo specchio riesce a vedere) e vive con un desiderio più grande di tutti gli altri, quello di diventare qualcuno. Anzi, più precisamente l'idolo cremisi dai mille occhi. Si sente l'eco di Chuck Shuldiner e del suo vivere nella pupilla di un migliaio di occhi ("1000 Eyes"). Il bambino cresce e diventa un cantante di successo, anziché un fallito, complice la profezia di una zingara (che lo avvisa, pirandellianamente: attenzione a ciò che desideri, poiché potrebbe avverarsi), e un losco agente che lo spinge sul mercato discografico. Blackie adesso è sempre invisibile in realtà, ma è “uno” e lo grida di fronte alle folle in adorazione. La rincorsa di questa identità rischia di schiacciarlo: i milioni di occhi gli tolgono identità ancora di più, senza che lui se ne renda conto. Prima di precipitare nel nulla, comprende finalmente che il padre era “l'idolo”, lui non lo è mai stato, ha solo veicolato l'ossessione del fallimento e della nullità, tramite una maschera che a lui non interessava, pagando pegno alla paura di essere ignorato. Sarà infine il suo riscatto, o almeno così fa capire il brano conclusivo e ricapitolativo I grandi fraintendimenti su di me

Questo concept, “The Crimson Idol", richiama sicuramente due altri lavori similari. Il primo è il contemporaneo “Streets” dei Savatage, che è però più incentrato sull'amore, sulla ricerca di uno scopo e di una finalità superiore, che non sull'identità. L'altro è "Tommy" (1969) degli Who. Gli Wasp avevano fatto già una cover di un brano degli Who dedicato all'identità, cioè “The Real Me”, e anche in "Tommy" si parte da uno specchio. Tommy assiste, bambino, ad un fatto di sangue in famiglia, ma gli si intima il silenzio. Quando i tuoi genitori ti impongono di non esprimerti, è come se la tua identità fosse sospesa, e così Tommy diventa apparentemente chiuso alla vista, all'udito e alla parola, mentre l'immagine dell'omicidio, vista nello specchio, è la sua unica verità interiore, anch'essa sospesa, simmetricamente, senza poter essere rivelata. La vita di Tommy è infelice e piena di soprusi, ma un medico crede di intuire che egli possa ritornare a comunicare proprio tramite gli specchi, l'unica interfaccia di cui si fida, ma che gli è vietata (perché contiene il ricordo da celare). La madre, per istinto, rompe gli specchi, perché l'identità di Tommy e la verità che deve rimanere sepolta sono intimamente legate. Così facendo però si rompe la prigione che tiene chiusa l'identità, e Tommy guarisce. Lo specchio sequestra l'identità, e lo specchio restituisce l'identità rompendosi, per Tommy come per il Jonathan di “The Crimson Idol”. Tommy diventa cieco e Jonathan vive negli occhi degli altri come se i suoi, fondamentalmente, non vedessero niente: lui non vive di ciò che vede, ma di come gli altri lo vedono, ed è quindi un paio di occhi ciechi di fronte ad una platea di milioni di occhi avidi di lui.

Se Tommy è più psicanalitico (il disturbo “da conversione”, con una finta disabilità veicolata da un trauma che crea un nodo sull'Io), Crimson Idol è pirandelliano, cioè incentrato sull'assenza dell'oggetto. Esistono solo soggetti che vedono gli altri, non oggetti visti. L'oggetto si disperde nell'occhio di chi guarda che non è uno, ma potenzialmente infiniti, e quindi sostanzialmente nessuno. Io so che sono qualcuno per ciascuna delle persone che conosco, ma non so chi, perché non esiste comunicazione tra individuo e individuo di questa soggettività, se non tramite oggettualizzazioni che non sono, in ultima analisi, né ciò che l'altro vede soggettivamente, né ciò che io vedo della visione dell'altro. E anche se io vedessi davvero la visione dell'altro, senza rappresentazioni intermedie, comunque non corrisponderebbe a ciò che lui vede: la sua visione di me e la mia visione della sua visione sarebbero comunque diverse. Questa vertigine senza soluzione in effetti ipnotizza il nostro Blackie, che da allora non esce più dal dilemma, anche musicalmente.

Mentre scrivo, mi viene in mente di aver omesso un altro importante concept, affine anche per area stilistica, e cioè “Operation: Mindcrime”. Mi viene da pensare che il concept stesso come forma narrativa sia qualcosa che ruota intorno al problema dell'identità. Val la pena comunque menzionarlo anche per il ricorrere dell'immagine degli occhi, quando nel finale il protagonista, dopo esser passato dalla fase dell'illusione e a quella della disillusione, approda ad una consapevolezza amara e non definitiva vedendo finalmente la donna amata con uno sguardo che risulta, infine, a lui sconosciuto. Il concept dei Queensryche è più tragico, laddove Blackie si mostra più possibilista sull'esistenza di una vera identità a cui approdare, o riapprodare.

Riprendiamo il discorso. Ottenuto un buon successo col disco, Blackie non è pago di questa ricerca d'identità, come se dovesse ancora purificare la sua maschera, fino al punto da renderla il negativo perfetto di sé. Egli non è ancora abbastanza nero ("Still Not Black Enough", 1995), e a questo punto sembra ricominciare da capo, stilisticamente e liricamente, ma sempre dentro il guscio sonoro di Crimson Idol. Inanella una serie di dischi che riportano gli Wasp indietro di anni, anzi ancora più sguaiati e duri, comportandosi come se dovesse riscoprire se stesso alla luce di "The Crimson Idol", per approdare poi di nuovo a quella ricerca di verità, che questa volta si chiamerà “The Neon God”, in due parti. E' un reboot di Crimson Idol in salsa religiosa: la storia di un uomo in crisi trova la sua identità vincente come capo truffaldino di una setta, facendosi acclamare Messiah, per poi incappare in una crisi di coscienza e cercare la redenzione. Perché non sono nessuno? si dispera il protagonista, invocando la madre che lo ha abbandonato, negandogli così un'identità affettiva (essere voluto da qualcuno). Tutta la mia vita è come un sogno attraverso i miei occhi, un mondo che nessuno vede...Questo sembra un po' il punto morto a cui arriva Crimson Idol: già avere un sogno che si vede attraverso i propri occhi è un progresso rispetto a non vedere se stesso, ma come si fa ad arrivare addirittura a condividere la visione con qualcuno? Pirandello direbbe che...niente, non si può. E il fatto che si tratti di identità affettiva non cambia un mazza: a livello sensoriale, cognitivo o affettivo non possiamo conoscerci tra persone diverse. Forse l'unica eccezione è conoscere se stessi affettivamente, ma nel momento stesso in cui esistiamo come “affetto” ciò implica una corrispondenza, che sdoppia noi stessi e ci lascia con un partner affettivo da assegnare a noi stessi. Come la risolve Blackie? Buttandola sul religioso: esiste una volontà di grazia, che ti dona l'identità riconoscendo il tuo bisogno di consolazione (come direbbe Stig Dagermann). Il Dio al Neon è un alter ego di questo Dio amorevole, che gli arriva e lo redime dal bisogno di rubare al prossimo l'affetto che non ha.

Grazie al ciufolo, Blackie. Così ci riescono tutti a risolvere gli enigmi logici. Direi che è meglio Pirandello nella sua teoria della non comunicabilità, che però poi diviene ottimistica con un po' di buon senso. L'uomo non può conoscere l'altro, ma può gestire in maniera brillante le sue illusioni.

Nella fase “Neon God” (2004) non si può non vedere un parallelo con un percorso di ricerca di identità di Blackie, che si avvicina, evidentemente tramite l'Arte, a ciò che sarà poi la sua dichiarata svolta ideologica di reborn christian. Il protagonista di "Neon God", per rigenerarsi, non fa altro che impersonare fino in fondo la sua maschera di Messia, invitando i fedeli a tradirlo, rinnegarlo e crocifiggerlo, perché solo così lui potrà donar loro vita:

Prendetemi, coprite il mio nome d'infamia con le vostre lingue / …/ Mi offro in pasto a voi, Odiatemi, Assassinatemi, togliete la mia pericolosa effige dai vostri muri. Prendetemi, cambiatemi, non sono altro che una corona di spine dentro i vostri cuori. Potete cambiarmi, salvarmi...Vorreste magari amarmi, inchiodato alla vostra croce, se io muoio la mia vita avrà avuto un valore / Donatemi la verità, avrà mai un significato ? se muoio per voi morirò per migliaia di altri, se io muoio per voi, avrò mai il vostro ricordo?. Un Cristo pirandelliano, che sul punto di immolarsi si fa prendere da dubbi laceranti sull'effettiva “universalità” del suo sacrificio: varrà per tutti, in eterno e metastoricamente, o sarà solo un bischero che ha voluto lanciare un messaggio a tre discepoli che poi magari se ne scorderanno in capo a un mese?

Torniamo indietro a quando Blackie indossava la maschera del Casanova sadico e glamour, nel suo circo elettrico (1986): in "Wild Child" si leggono dei versi non banali: dimmi, dimmi le bugie che racconti a lui quando vieni da me...perché sono sicuro che lui soffre quando sa che tu lo abbandoni per correre da me...Il Casanova è un esiliato dell'amore (my heart is in exile) che vive rubando l'amore ad altri o alla sua preda, ma in bilico sul ciglio di un vuoto di identità. Non sono occhi, e sono bocche, ma è lo stesso. Questa condizione non è né più né meno di quella del credente in cerca di perdono, che non vive per ciò che fa ma nel perdono: i suoi atti sono ciò che Dio ha perdonato. Egli vive, insomma, nella grande pupilla di Dio anziché nel milione di occhi umani. Ma la sua identità di individuo è sempre e comunque un mistero irrisolto.

C'è differenza tra il buio e la disperazione di “Still Not Black Enough”, che imprigionano Blackie nell'assenza di riferimenti chiari, e l'accecamento fideistico di "The Neon Idol", in cui a sparire è la tenebra, più che comparire i riferimenti. 

In fin dei conti, potremmo forse dire che la fede in Dio è più forte nella pervicacia e cecità con cui gli uomini paiono tornare, ciclicamente, a credere nelle proprie illusioni amorose, di realizzazione o di dominio?

A cura del Dottore