Viaggio nel metal 'tolkieniano' - 2) BARROQUEJON - "Concerning the Quest, the Bearer and the Ring" (2003)
“Have hopes for a better quest / take care of
yourself / and dare the Black Lord / and destroy the One Ring / […] Farewell,
friend, don’t forget to return…Someday” (taken from “Hopes for a Better
Quest”)
E chi minchia sono i BarroQuejón?!? Mai sentiti, dai!
Si, vero. Mai sentiti. Prima…
Quando mi sono imbattuto nel loro nome, durante lo studio e la ricerca svolte per stilare questa Rassegna, non mi sarei mai aspettato di poter includere una sconosciuta band cilena. E invece…le vie del tolkienianesimo sono infinite. Anche fuori dal metal (ma liminari ad esso, come in questo caso).
E così eccoci qui a trattare
quest’incredibile opera di progressive rock di stampo orchestrale,
creazione della fervida mente del compositore e musicista David Hanus,
ahinoi scomparso recentemente, colpito da un brutto male.
In realtà questo “Concerning
the Quest, the Bearer & the Ring” (gran titolo, ragazzi!) doveva essere
la prima di una serie di album collegati tra loro a livello tematico/lirico. Ma
rimase un’opera unica.
50 minuti scarsi nei quali il
Nostro (che si occupa di tutti gli strumenti, compresa la voce) ripercorre
tutte le tappe principali de “Il Signore degli Anelli”. Dalla formazione, e poi
rottura, della Compagnia dell’Anello, fino al climax in quel di Monte
Fato e il ritorno nella Contea da parte degli hobbit protagonisti.
La strumentale title track che
apre l’album ci immerge da subito in un’ambientazione medievale veicolata da
una grandeur orchestrale che fa facilmente breccia nei nostri
fragili cuori. Al netto di un missaggio gioco-forza rivedibile, l’album
prosegue in modo mirabile, con chiari rimandi sia ai Queen che ai concept
orchestrali di un Don Airey (penso al suo capolavoro “K2 – Tales of
Triumph and Tragedy”) o del Clive Nolan di “Alchemy”. L’utilizzo di
diversi strumenti a fiato, all’unisono con la magniloquenza dei synth, danno al
tutto un senso cinematografico che ci proietta direttamente alla trilogia
jacksoniana.
Ma la motivazione profonda
della nostra scelta non risiede nella pur ottima proposta musicale. Ma anche
nella centralità nel disco di un tema fondamentale della poetica mitica
e fantasy. Che anche Tolkien riprese pienamente. E che, a livello mainstream, è
spesso trascurata nell’analisi della sua narrativa. E cioè quella della quest.
L’elemento è dirimente, tanto
più che, per decenni, qui in Italia abbiamo letto “Lo Hobbit” con il fuorviante
sottotitolo dell’edizione Adelphi del 1973 (dalla pessima traduzione): o la
Riconquista del Tesoro. Mentre nell’originale l’opera ha il sottotitolo or
there and back again. Cioè, andata e ritorno. Differenza
non da poco. Anzi, fondamentale.
Perché la quest (che potremmo
tradurre con ricerca) è un topos letterario che ha
antichissime origini. Origini che affondano nel mito e nella tradizione
popolare. Una quest primigenia è quella collegata al vello d’oro del
mito greco; cosi come il viaggio che Dante compie nella Divina Commedia.
O ancora, il celeberrimo Graal della tradizione medievale. E, ancora,
per rimanere in secoli più recenti, la disperata ricerca del Capitano Ahab in
“Moby Dick”.
Quindi la quest non è una
semplice ricerca di un oggetto o il mero espletamento di un compito, bensì è
una necessità: quella che l’Uomo pone come scopo alle proprie azioni, nel breve
come nel lungo termine. Attiene, perciò, al raggiungimento della propria
autenticità. E, da essa, della felicità e/o piena realizzazione personale. Una
ricerca, quindi, che porta con sé consapevolezza, crescita, cambiamento. Perché
per Tolkien, l’eroe è tale solo se torna dal viaggio portando con sé tutti
questi elementi.
Ed è cio che, esattamente,
accade a Bilbo prima e a Frodo dopo: il loro viaggio inaspettato li mette alla
prova non soltanto perché devono affrontare numerosi pericoli ma perché li
costringe ad una crescita personale che li trasformerà, al termine della quest,
da pavidi borghesi senza grandi interessi e scopi nella vita, a hobbit
consapevoli. E problematicamente saggi.
I BarroQuejón trasportano
tutti questi elementi nella loro opera, a partire dall’ottima opener cantata “Hopes
for a Better Quest” (di cui potete leggere un toccante stralcio in esergo), nella quale Bilbo dà, a Gran Burrone, un commiato
sentito a Frodo (il bearer del titolo dell’opera) prima che
questi si metta in marcia, con la Compagnia, per andare verso Monte Fato per
distruggere l’Unico Anello; fino alla chiosa dell’album affidata all'orchestrale
“The Quest: There and Back Again”, leggiadra e commovente.
Un titolo, quest’ultimo, che
riassume perfettamente il senso del viaggio di questi due comuni, ordinari
mezz’uomini.
Un senso del viaggio che
riguarda la vita di ognuno di noi.
Muchas gracias, David. R.I.P.