È mai possibile entrare nella
Storia del Metal Underground con all’attivo, praticamente, appena 17 minuti (dico-diciassette!)
di musica?!
La risposta che, di getto, ci
verrebbe da dare sarebbe, ovviamente, ‘NO’ ma gli svedesi Liers in Wait potrebbero
farci ricredere.
Agganciandomi all’omaggio che il nostro Dottore ha recentemente dedicato a Tomas ‘Tompa’ Lindberg, in cui i Liers In Wait sono giustamente citati, ho deciso di rispolverare per la nostra rubrica “Fondi di Discografia”, il mitico EP del 1992 della band di Gothenburg: “Spiritually Uncontrolled Art”. Di fatto, la loro unica pubblicazione riconosciuta (ci sarebbe anche un full lenght titolato “Deserts of Rebirth” ma non ci risulta di effettiva pubblicazione).
Parlare dei Liers In Wait vuol dire ri-immergersi
con tutte le scarpe nel favoloso mondo dello swedish death metal, su cui MM vi
ha ampiamente relazionato tempo fa. I Nostri, infatti, sono diretta emanazione
dei mitici Grotesque che inserimmo tra le band seminali di quel
movimento, in particolare grazie alla loro storica demo di debutto “Ripped
from the Cross” (toh, anche in quel caso 17’ di durata…). Con i Grotesque,
si misero in luce sia, come accennato sopra, la buonanima del Tompa sia Kristian
Wålhin che, prima di diventare il richiestissimo illustratore di copertine
di album metal che tutti conosciamo, fu innanzitutto valente polistrumentista e
riff-maker di primo livello.
Ebbene, chiusa l’esperienza dei
Grotesque nel 1990 con l’EP “Incantation”, Kristian fonda i Liers In Wait e si lancia in
questa avventura che durerà, però, appena fino al 1995 (Wålhin e Nillson
fonderanno poi i più fortunati Diabolique, progetto gothic/doom autori
di ben 3 LP e 2 EP). In questi cinque anni, le porte della sala prove della band devono essere state più ‘girevoli’ di quelle dell’IKEA, posto che l'elenco di ex membri che hanno gravitato in formazione è chilometrico (tra questi pure Christoffer
Johnsson, futuro fondatore dei Therion e Alf Svensson, che accompagnerà
Lindberg poi negli At the Gates). E questo fu uno dei motivi principali della loro
breve esistenza.
Ma torniamo all’EP in oggetto:
Wålhin si fa affiancare da Mattias Gustavsson al basso e Hans Nillson
al drum-kit e tira fuori 5 brani (in realtà 4 + un outro conclusivo,
“Gateways”) che sono l’essenza della brutalità dello swedish death, sulla scia
di quanto era già stato composto coi Grotesque. Una violenza che è figlia
diretta dell’influenza, e importazione, degli stilemi death floridiani
dell’epoca (Morbid Angel e Decide in primis); influenza che si denota anche
nell’uso della voce. Questa base è ibridata ovviamente dal tipico “mastichìo”
della scena svedese di quel periodo, denso e maligno come Entombed&co. avevano insegnato. La produzione, grezza ‘il giusto’, non intaccava
la resa sonora e, anzi, esaltava la complessità della scrittura dei brani,
ricchi di cambi di tempo, accelerazioni e rallentamenti, in cui è la chitarra
di Kristian assoluta protagonista, inanellando un riff dietro l’altro ad assoli
torcicollo ma non privi di una certo gusto melodico. Non mancavano poi certe finezze più
“atmosferiche”, come nell’apertura dell’ottima “Maleficient Dreamvoid”, brano
più lungo del lotto, che è introdotto da mezzo minuto di tastiere che, da un
lato stemperano la tensione accumulata, e dall’altra ci introducono alla
seconda metà dell’EP, altrettanto brutale della prima. Giusto citare anche
la successiva “Liers in Wait”, probabilmente il brano meglio strutturato e nel
quale le tastiere di Wålhin giocano un ruolo più ‘strutturale’ rispetto a
“Maleficient Dreamvoid”.
Un plauso, infine, anche ai
testi, concepiti sempre dall’oscura mente di Wålhin e che rivelano una spiccata
sensibilità verso l’Oltre (sia esso cosmico o ‘abissale’). Ma su questo
argomento il nostro Dottore sarebbe sicuramente più preciso.
Un death metal, quello dei Liers
in Wait, da ricordare in quanto rifuggiva da stilemi minimalisti e/o monotoni,
per abbracciare una complessità e una ricercatezza che, per quanto ancora per
certi versi immatura (i brani sembrano sempre sul punto di deragliare dai
binari e la sessione ritmica fa fatica a riportare sui binari l’esuberanza
chitarristica di Wålhin), evidenziava idee brillanti e consapevolezza
artistica.
“Spiritually Uncontrolled Art”, visto anche in retrospettiva, è, nonostante la sua breve durata, il punto di raccordo perfetto tra il death metal americano più ‘classico’ e quel Gothenburg sound che verrà, portato alla ribalta e successo internazionale dalla sacra triade At the Gates / In Flames / Dark Tranquillity.
A cura di Morningrise(vedi gli altri Fondi)
