13 nov 2021

I MIGLIORI ALBUM DI ATMOSPHERIC BLACK METAL - PANOPTICON: "AUTUMN ETERNAL" (2014)



Se dico "Panopticon", molti di voi penseranno subito al capolavoro rilasciato nel 2004 dagli Isis, pietra miliare del post-metal. Panopticon, in verità, è anche il nome di una one-man band, sempre americana, ed è di loro che parleremo oggi nella nostra rassegna sull'atmospheric black metal

Gioiranno della nostra scelta gli ammiratori di Agalloch e Wolves in the Throne Room, perché proprio a quel filone di US Black Metal si riconduce la visione artistica di Austin Lunn, anima e corpo del progetto. 

In un certo senso i lavori dei Panopticon sono il compimento di un percorso scaturito dalla scommessa, poi vinta, di quel manipolo di visionari americani che, per primi, tentarono di adattare i moduli del black metal scandinavo alla loro terra natia. Una terra che si era resa celebre per il thrash metal prima e per il death metal dopo. Il black metal non aveva attecchito più di tanto, probabilmente per motivi di natura culturale, ma qualcosa con il tempo cambiò, e con il terzo millennio sarebbero stati proprio gli Stati Uniti a divenire gli interpreti più credibili del metallo nero, laddove in Europa il fenomeno aveva perso parte del suo splendore. 

Un’operazione che sembrava impossibile, ma che invece adesso sembra il passaggio più naturale di questo mondo: creare un ponte fra Nord Europa e Stati Uniti attraverso una ricerca volta alla riscoperta delle proprie radici, nelle tradizioni pagane come nell’imponente natura che entrambi i luoghi, lontani geograficamente, condividono. 

Dimenticatevi dunque le megalopoli, i grattacieli, McDonald’s o il Kentucky Fried Chicken, anzi, no, quello lasciamolo stare, visto che proprio dal Kentucky provengono i Panopticon. Svoltiamo dalla tangenziale, si diceva, e deviamo per le campagne sconfinate, lungo le infinite highways, ed arriviamo ai piedi delle catene montuose, accediamo dunque entro quelle aree di indomita natura di cui il Nord America è famoso, e da lì ripartiamo, attraverso riff in tremolo ed un pizzico di folk americano. 

Ecco, prendiamo “Tamarack’s Gold Returns”, “americana” allo stato puro, con corde pizzicate, chitarre slide, violini: l'America rurale è alle porte ed è in un brano di questo tipo che si può intuire il passo compiuto dai Panopticon, ossia la definitiva sostituzione del folclore nord-europeo con quello più tipicamente americano, a sancire la definitiva “americanizzazione” della formula scandinava, con l’ululato di un lupo, all’inizio, a suggellare un fondamentale punto di contatto fra i due mondi. 

Il connubio fra stilemi black metal e musica bluegrass verranno sublimati nell’incredibile doppio-album “The Scars of Man on the Once Nameless Wilderness I and II”, per metà efferato black metal, per metà una raccolta di folk-song di puro cantautorato. Questo sarebbe accaduto nel 2018, ma oggi ci fermiamo due anni prima, a quell’ “Autumn Eternal” di cui la sopra citata “Tamarack’s Gold Returns” è la suggestiva opener

Scemate le magie acustiche nello scrosciare quieto della pioggia, “Into the North Woods” apre le “danze elettriche” mostrando subito un sound caloroso e decisamente agallochiano, sapore di foglie umide ed autunno. Ad imprimere ulteriore umanità a queste note vibranti vi è il fatto che il buon Lunn è pure un bravo batterista e che dunque non affidi la sezione ritmica ad una drum-machine
 
La produzione grezza è una carezza confortevole che mette in primo piano le chitarre, responsabili di un lavoro egregio, fra riff ispirati e refrain melodici di grande pregio. I timidi interventi di tastiere sono funzionali a dare profondità alle pause riflessive, sporadiche tutto sommato. La voce è un grido incomprensibile, impalpabile, uno screaming dilaniante con sfumature hardcore, come spesso capita in certo black metal di ultima generazione. 

Prevalgono tempi medi e cadenzati, ma la batteria non esita, quando necessario, ad inasprirsi in improvvisi blast-beat, come quello che apre la title-track, che sa annettere anche coinvolgenti fraseggi di metal classico. Anche la successiva “Oaks Ablaze” si apre violentissima, con furia quasi death-metal, ma pure in questo caso vi sarà spazio per evoluzioni inaspettate a sancire una dimensione compositiva che privilegia la via tortuosa piuttosto che quella lineare: quella del cuore piuttosto che quella del raziocinio. 

I brani partono in un modo e continuano in un altro, mostrando sistematicamente sviluppi inattesi, pur rimanendo ampiamente entro i confini di un suono che mette le emozioni al primo posto. Lunn non ne sbaglia una, ed è difficile annoiarsi in questi 61 minuti di musica. Le tracce (otto per l'esattezza) si reggono in piedi grazie ad un equilibrio che sgorga spontaneamente dall'impeto creativo e che non viene raggiunto seguendo schemi precostituiti: il trucco sta nel rispondere sempre ad esigenze interiori, solo cosi il Nostro è risultato in grado di sfornare capolavori su capolavori, non cedendo a compromessi con il mercato discografico, ma al tempo stesso sapendo quando dare lo "zuccherino" all'ascoltatore, inserendo un interludio acustico, un’apertura di eteree tastiere, un contributo di voce pulita. 

Da segnalare la variegata “Sleep to the Sound of the Waves Crushing”, che vede al suo interno incursioni di chitarra acustica ed archi, nonché una imperdibile coda dove, in stretta successione, avremo pioggia e vento, violini, ancora sfuriate, un hammond spettrale a chiudere il tutto: una estraniante oasi ambient a cui si attaccherà la micidiale partenza di “Pale Ghosts”, con melodie che richiamano struggenti ricami shoegaze, ma sparati a mille all’ora, evocando i grandi Alcest. Un brano, questo, che tiene tutto il tempo la barra dritta su coordinate post-black metal, finendo per avvicinarsi ai lidi battuti dai connazionali Deafhaven

Irresistibili i mid-tempo con cui si apre “A Superior Lament”,  dall'alto dei suoi undici minuti il brano più lungo. La partenza ha un bel tiro e da movenze simil goth-rock si passa con scioltezza a sognanti partiture post-rock; come ciliegina sulla torta, una carezzevole voce pulita, quella dell’ospite Petri Eskelinen. La strumentale “The Winds Farewell” si apre con un incipit folk per poi concludere l’album con delizie agallochiane, altri otto minuti di immaginifica poesia black metal. 

“Autumn Eternal”, quasi mi dimenticavo, è la terza ed ultima parte di una trilogia di album iniziata con “Kentucky” (2012) e proseguita con “Roads to North” (2014), chissà, forse a rispecchiare, geograficamente, il viaggio personale che lo stesso Lunn ha affrontato, lasciando il natio Kentucky per trasferirsi in Minnesota, non saprei dirlo con certezza. Di sicuro l’Autunno Eterno è l'immagine ideale per descrivere la malinconia di queste note, scaturite dal cuore ispirato di un autore la cui vena compositiva, dopo quasi dieci album, non accenna ad indebolirsi.