Quando è iniziata la seconda
parte della carriera dei Moonspell?
A guardar bene, ed escludendo
il dirompente mini-album di debutto
"Under The Moonspell", due
sono state le opere veramente significative nella storia del combo portoghese:
"Wolfheart" ed "Irreligious". Tramite questi due
lavori, rispettivamente del 1995 e del 1996, la band definirà la propria
identità nel panorama del metal estremo
degli anni novanta e diverrà presto un punto di riferimento imprescindibile
per il metal gotico che verrà.
Seguiranno degli album interlocutori
in cui Fernando Riberio e soci,
consolidando la loro fama di audaci sperimentatori, tenteranno varie strade,
senza però bissare le prodezze di quella formidabile "doppietta" di album. In "Sin/Pecado", abbandonato il growl e la violenza delle origini, si tenterà la carta del goth-rock
e dell’elettronica depechemodiana,
approdando ad un sound forse più
commerciale, ma dall'indubbio fascino (questa del resto era la tendenza del
periodo: si pensi ai colleghi Paradise
Lost e Tiamat). Con "The Butterfly Effect" si tornerà a
ruggire: recuperati certi stilemi del metal estremo, ma calati in un'ottica
sperimentale e modernista, si punterà sull'eclettismo e sull'effetto sorpresa,
stupendo per davvero a tratti, ma non convincendo fino in fondo, complice una
scrittura non sempre eccelsa e la perdita di importanti tratti identitari, fra
cui le fascinose ed erotiche ambientazioni da "Le Mille e una Notte".
In occasione di "Darkness and Hope"
si compirà dunque una parziale marcia indietro, recuperando gli umori
passionali e romantici di un tempo, con un album ancora un po' ibrido che da un lato strizza
l'occhio al gothic rock, ma dall’altro vorrebbe riesumare qualche efferatezza
del passato, disseminata qua e là senza convinzione.
Tre album che hanno
sicuramente confermato la leadership
di Ribeiro e soci nel tutt'altro che esaltante scenario gothic metal di
inizio millennio, ma che al tempo stesso hanno in parte appannato l'immagine dorata della band, seminando
perplessità e delusioni e facendo sì che la geografia dei sostenitori mutasse
di volta in volta a seconda delle mosse compiute dai lusitani. A preoccupare,
più che altro, era un calo di ispirazione che vedeva la band procedere sulla
via del "cambiamento a tutti i costi",
strada battuta con alterne fortune e senza un orizzonte chiaro a cui tendere.
Bisognava cambiare qualcosa in
questo approccio e l'antidoto a
questa fase (che possiamo definire tossica, "velenosa") fu proprio
"The Antidote", l'album
della restaurazione (in precedenza solo vagheggiata) e che riportava di
colpo i portoghesi alle sonorità del periodo d'oro
"Wolfheart"/"Irreligious". Basta evoluzioni, basta sperimentazioni azzardate, basta drastici cambi
di rotta: la band preferirà consolidare la propria identità e difendere il
proprio posizionamento sul mercato.
Mancanza
di idee? Mancanza di coraggio? O semplice onestà intellettuale? Consapevolezza
dei propri limiti e dei propri punti di forza?
Il popolo metallico,
inevitabilmente, si schiererà in due fazioni contrapposte: c'è chi saluterà con
sollievo, se non con esaltazione, questo cammino a ritroso, chi lo vedrà come
una mossa patetica volta a riconquistare i cuori dei supporter della prima ora. Con il solito approccio equilibrato ed
indagatore, Metal Mirror
ripercorrerà per voi questo ultimo controverso periodo di vita della band
lusitana.
"The
Antidote" (2003)
L'opener "In and Above
Men" mette subito le cose in chiaro: sound massiccio, drumming
tribale, ma soprattutto il growl
prepotente di Ribeiro che torna a spaziare in lungo e in largo. "From Lowering Skies" conserva
l'impeto tribale per portare avanti azzeccati fraseggi dark-wave, con un suggestivo recitato di Ribeiro (poi di nuovo
brutale nel ritornello) a rappresentare l'altra faccia dei Moonspell.
L'impressione, almeno per quanto riguarda il prodigioso poker di brani iniziali (da menzionare anche il bel singolo "Everything Invaded"), è che
la band sia tornata, senza tante seghe mentali, a fare quello che vuole fare.
C'è tanta rabbia, come se i Nostri (Ribeiro in prima fila) volessero finalmente
gridare e sfogare le frustrazioni accumulate in una evoluzione più dettata
dalla mente che dal cuore. Torna dunque la velocità, l'epicità bathoriana:
l'idea inoltre di puntare su suoni compressi, dissonanti, e la decisione di
lasciare in secondo piano le tastiere (da sempre uno dei principali trademark della band), sembrano azzeccate in
anni in cui la sporcizia sonora trionfa (vedi l'ascesa post-hardcore e
post-metal) e le leziosità soccombono. Peccato che presto l'album, che tutto
sommato era partito bene, si arenerà in una prolissa seconda parte dove
troveremo un Ribeiro in palese difficoltà ad adattare il suo pulito a tracce
inconcludenti e per niente memorabili. Inutile aggiungere che
"Wolfheart" risiede su un altro pianeta.
(Voto:
5,5)
"Memorial"
(2006)
Se "The Antidote"
era stato un monolite oscuro e minaccioso, "Memorial" (di certo non meno violento) mostra un sound più vario e multiforme, a tratti
persino pervaso di sfumature progressive, complice il ritorno in pompa magna
delle tastiere che permeano ogni frangente delle composizioni (con tanto di
vari intermezzi strumentali a fare atmosfera). I portoghesi, dunque, rinunciano
ad ogni velleità evolutiva (altra scelta che farà discutere) per riappropriarsi
della loro pelle, tornando a correre (in tutti i sensi) in quella zona che sta
fra "Wolfheart" ed "Irreligious". Insomma, si guarda indietro ma con convinzione e chiarezza d'intenti: "Finisterra" e "Memento
Mori" sono delle vere mazzate (bestiale il growl di Ribeiro), in "Upon
The Blood of Men" i Nostri sembrano Bathory al cubo, epici e battaglieri più che mai, con una furia
iconoclasta che va ben oltre le consuetudini dei languori gothic. In "Sanguine" e "Luna" (ballata con tanto di voce
femminile nel ritornello - la migliore del lotto) il pensiero va invece dritto
ai momenti più soft di
"Irreligious". A questi Moonspell potremmo criticare la mancanza di
coraggio, ma di certo "Memorial" rappresenta una fiera
riappropriazione di identità: un credibile ritorno alle origini, coronato da
una veste professionale e da una padronanza dei mezzi che è propria dei primi
della classe.
(Voto:
6,5)
"Night
Eternal" (2008)
Formula vincente non si
cambia: questo sembra essere l'intento che ha mosso i portoghesi in questa
nuova release discografica, che
prosegue sulla scia dell'album precedente, partendo dai suoi punti di forza e
lavorando laddove vi erano dei margini di miglioramento. Se possibile "Night Eternal" (minaccioso fin dal
titolo!) estremizza ulteriormente le peculiarità della band, premendo
sull'acceleratore, ma non perdendo di vista la melodia e l'atmosfera. Si torna
a parlare il linguaggio del black metal
(melodico), con chitarre ispirate, tastiere avvolgenti ed un titanico Ribeiro
capace, con il suo growl espressivo e
versatile, di fare il buono e cattivo tempo di un'opera che non ammette
cedimenti e che, stilisticamente, costituisce l'anello di congiunzione ideale fra "Wolfheart" e
"Irreligious". E pazienza se gli influssi mediterranei vengono a
questo giro lasciati ai margini. A simboleggiare i due volti dei Moonspell
citiamo la durissima title-track e l'ottima ballata
"Dreamless (Lucifer and Lilith)"
condotta da un Ribeiro da pelle d'oca. In mezzo, a rappresentare il lato più
epico e maestoso dei lusitani, la conclusiva "First Light", che mette il sigillo finale su un lavoro
perfettamente bilanciato e curato nei minimi dettagli (non a caso la
pre-produzione era stata curata da Waldemar
Sorichta, l'artefice dei capolavori della band). Da segnalare, infine,
l'ospitata di lusso di Anneke Van
Giersbergen in "Scorpion Flower",
tanto per aggiungere gloria alla gloria.
(Voto:
7)
"Alpha
Noir"/"Omega White" (2012)
Tronfi dei buoni riscontri da
parte di critica e pubblico, i Nostri se ne tornano sul mercato discografico
con un doppio-album i cui due tomi, concepiti specularmente, dovrebbero
andare a rappresentare le due anime della band, una metal ed arcigna, l'altra
gotica e sensuale. L'idea di sdoppiare la propria "personalità
artistica" in due tronconi omogenei e più canonici era già stata messa in
atto dagli Opeth col l'accoppiata
"Deliverance"/"Damnation",
ma noi rimaniamo dell'avviso che questo non sia il migliore modo per rendere
giustizia ad un sound complesso e
multiforme. In più dobbiamo considerare che i Moonspell non sono più una band
al top dell'ispirazione, ma dei
navigati mestieranti che cercano di difendere il loro spazio vitale nella
giungla del mercato discografico del terzo millennio. Una scelta dunque necessaria e dettata da una reale urgenza
comunicativa? O solo un escamotage per creare appeal sulla nuova uscita di una
band sostanzialmente a corto di idee? L'ascolto sembrerebbe far propendere
per il secondo punto di vista. "AN"
sfoggia un sound muscolare, nutrito a
questo giro da forti influenze thrash-metal,
tanto che i Nostri finiscono per somigliare a Sepultura e Fear Factory (la title-track "Alpha Noir" è eloquente al riguardo).
Il groove (di taglio modernista, e
non a caso a venire in mente in più di un frangente è "The Butterfly
Effect") prende il sopravvento su tutto il resto, togliendo spazio alle
tastiere (che avranno un ruolo di mero contorno), alle divagazioni
folcloristiche (praticamente azzerate) e al carisma vocale di Ribeiro
(costretto nei ranghi del suo pur carismatico growl): un atto di
spersonalizzazione che francamente ci suona incomprensibile. Ma a deludere
sono principalmente i brani: brevi, piatti, arroccati dietro ad un prevedibile
formato strofa/ritornello e portatori di un sound
freddo, non voglio dire commerciale, ma decisamente "piacione": i
Moonspell, indubbiamente, vogliono piacere e guardano alle nuove generazioni.
"OW", che in realtà viene
presentato come una appendice del primo tomo, si muove in direzione contraria
ed ambirebbe a recuperare l'atmosfera, il calore, l'intimismo sacrificati nella
prima metà della release. Brutto (e
strano) dirlo, ma qui i Nostri sapranno fare di peggio, confezionando una
raccolta di brani ancora più insipidi: tolto il paravento del groove, quello che rimane è il desolante
scenario di una band incredibilmente stanca e priva di idee. Si sprecano i
richiami a band come Sisters of Mercy
(periodo "Floodland") e Type O Negative (il brano "New Tears Eve", fra l'altro, è
dedicato alla memoria di Peter Steele,
deceduto due anni prima), ambiti in cui i Nostri dovrebbero eccellere. Ed
invece, brutto (e strano) dirlo, in questo frangente oso affermare che si tocca
il punto più basso nella carriera dei lusitani, con brani fiacchi, privi di
mordente e che richiamano i peggiori Tiamat.
L'unico momento degno di nota in questo mortorio
è la vivace "Herodisiac",
che rimane comunque lontana dagli standard
a cui ci ha abituato la band anche in tempi recenti. Ad ascolto terminato, diviene palese come i due tomi,
nella loro intrinseca debolezza, si sorreggano a vicenda, l'uno la stampella
dall'altro.
(Voto:
5)
"Extinct"
(2015)
Ribeiro e soci tornano al
formato unico, ma l'eredità della precedente operazione si fa comunque sentire.
Dopo tre album che hanno riscoperto la furia originaria ed un doppio che invece
aveva guardato con indulgenza ad un pubblico più ampio, la band decide di
perseguire questa seconda via, ma lo fa con maggiore convinzione.
Premendo play si capisce
immediatamente che la musica è cambiata: si respira un maggiore dinamismo,
energie vive, una fantasia compositiva che non si era percepita per un solo
istante nel piatto predecessore. Ben vengano quindi questi nuovi brani
scoppiettanti, spesso sorretti da ritmi sostenuti e da un discreto lavoro di
chitarre e tastiere. Ma soprattutto condotti da un Ribeiro superlativo che, salvo
qualche significativa eccezione, si assesta su un bel pulito che non annoia
mai. La coinvolgente title-track è esemplificativa di
tutto questo, ma tutti gli episodi sono degni di nota, con in testa una ottima
"Malignia", che osa
evocare l'inarrivabile "Vampiria",
ed una atipica "La Baphomette",
che scivola con credibilità nel cabaret.
Darkwave (con ancora i Sisters of
Mercy a fungere da riferimento primo) e goth-metal
(le analogie con i Paradise Lost
dell'età di mezzo sono molte, senza
sminuire il valore dei Moonspell stessi, che pescano a piene mani dal loro
repertorio ed in particolare dal periodo "Irreligious"/"Sin
Pecado"): questi gli assi portanti di un album che segna il ritorno
dell'ispirazione in casa Moonspell.
(Voto:
6,5)
Chiariamoci: i Moonspell sono
un grandissimo gruppo, con un'identità marcata, classe da vendere, un bel range di sonorità da esplorare e oramai
in possesso di quel mestiere che impedisce loro di combinare veri disastri. A
novembre uscirà il loro nuovo album
e tutto sommato è lecito essere ottimisti, visto che negli ultimi quindici anni
di carriera le luci sono state più delle ombre. Magari ci auguriamo che per lo
meno la copertina sia un poco migliore, visto che le ultime cinque sembrano il
medesimo pastrocchio digitale ripetuto di volta in volta con qualche dettaglio
diverso.
Scherzi a parte, è alla musica
che siamo principalmente interessati. Come consueto, anche per i portoghesi
vorremo stilare la scaletta dei brani
che andrebbero a comporre l'album ideale nato dall'unione degli ultimi cinque.
Lo facciamo però con l'intento di mostrare un quadro riassuntivo di quello che i Nostri hanno saputo combinare in
tre lustri, più che stilare un vero e proprio best of, visto che di ottimi brani i portoghesi ne hanno saputi realizzare
molti, sicuramente più di dieci.
"Night Eternal" ("Night Eternal")
"Extinct" ("Extinct")
"Upon The Blood of Men"
("Memorial")
"Dreamless (Lucifer and Lilith)"
("Night Eternal")
"Alpha Noir" ("Alpha Noir")
"From Lowering Skies" ("The
Antidote")
"Herodisiac" ("Omega White")
"Malignia" ("Extinct")
"Luna" ("Memorial")
"Everything Invaded" ("The
Antidote")