Sebbene nel corso degli ultimi
quindici anni il mio interesse per i Therion
sia andato scemando progressivamente, non potevo esimermi da andare a vedere
dal vivo coloro che, ormai più di venti anni fa, sono stati degli autentici
eroi della mia gioventù metallica.
Il "circo" del buon Christofer Johnsson è in città per
promuovere il nuovo di zecca "Beloved
Antichrist", mastodontica rock-opera che nelle ambizioni del
suo autore verrà un giorno rappresentata in teatro con tanto di orchestra, coro
ed attori. Ma non sarà una faccenda di stasera (fortunatamente, aggiungo io!), visto che il tour appena intrapreso dagli svedesi sarà impostato su una
scaletta composta in parte da brani nuovi e in parte dagli immancabili classici
della band.
Amanti del symphonic metal, fatevi avanti!
Maledetti
Nightwish: questo è quello che vien da pensare assistendo all'esibizione dei Midnight Eternal. Gli americani, tanto per cominciare, si ritrovano costretti a muoversi
nei pochi metri quadrati lasciati liberi dagli strumenti altrui. La minuta Raine Hilai (agghindata in modo
dozzinale in stile burlesque con
abiti da due soldi che la fanno assomigliare a Biancaneve) pare dotata di una voce discreta, cosa che però non si
può dire per il carisma, data la scarsa personalità sfoggiata sulle assi.
Non aiutano i signori che si
trova accanto (fra l'altro di una certa età), uno in gonnella, l'altro con un
cilindro in capo. Il colpo d'occhio offerto, l'avrete intuito, non è dei
migliori, e certo non giova ad una proposta assai poco entusiasmante: non altro
che il tipico power metal sinfonico di
marca Kamelot e Nightwish, come espresso ormai fuori tempo massimo nel loro omonimo
debutto del 2016. E nonostante i quattro offrano una prestazione di cuore, ad
applaudirli sotto il palco sono veramente in pochi.
Ahimè, dobbiamo con amarezza
constatare che stasera l'Islington
Assembly Hall sarà lontano dal registrare il tutto esaurito, cosa che
invece mi sarei aspettato considerato un nome storico come quello dei Therion in
testa al bill. La qualità del
pubblico sembra andare di pari passo con la quantità, visto che non si ha certo l’impressione di essere circondati
da gente entusiasmante. Quel parterre
di personaggi bislacchi e fascinose dark-lady
assicurato da ogni concerto black metal che si rispetti, qua è sostituto da
figuri mestamente ordinari, certi di essi anche di età elevata (intendo sopra i
cinquanta!), sebbene lo zoccolo duro sia composto da giovanissimi, in
prevalenza nerd, con picchi di
sub-normalità che rasenta situazioni da assistenza sociale. Un esempio su
tutti: quella coppia di gioiosi pachidermi (lei persino nelle svolazzanti vesti
da fata) che, saltando all'unisono, fanno oscillare in modo molesto il
pavimento di legno (non scherzo: per un paio di volte mi sono visto costretto a
cambiare posizione per via del mal di mare procuratomi dai sobbalzi dei due).
I Null Positiv si preparano sul palco e già tutto sembra più
professionale, a partire dal logo che campeggia sullo sfondo e il look "cyber-dark" dei componenti, nero-vestiti con mascherine nere
pitturate sul volto intorno agli occhi. L'ingresso della carismatica leader Elli Berlin è persino impressionante, sarà perché è alta almeno il
doppio di chi l'ha preceduta. Il growl sfoderato
dalla gentil donzella all'incipit del primo brano è però una spiacevole
sorpresa per il sottoscritto, che già si era preparato a sorbirsi tre quarti
d'ora di scialbo emo-metal (ma si chiama così questa musica?).
Con i brani successivi la
Nostra avrà modo di tornare su grintosi registri puliti, sfiorando quello spleen di malinconia mischiato a sentimenti
di ribellione che è tanto in voga negli ambienti metal-core, ma sinceramente parlando non mi entusiasmano nemmeno i
Null Positiv, portatori di sonorità che già non mi facevano impazzire venti
anni fa, figuriamoci oggi. Rimane apprezzabile il fatto che Sepultura e Tool sono divenuti cemento rappreso nelle fondamenta di queste
nuove leve. Mi domando però come mai siano stati inclusi in questa tournée, visto che rispetto al profilo
rigorosamente symphonic della serata
ci incastrano come i cavoli a merenda: se non fosse stato per l'eccellente
presenza di quella splendida stangona teutonica sul palco, non so in quanti
avrebbero seguito con interesse l'esibizione.
In perfetta linea con gli
umori della serata saranno invece i russi Imperial
Age, che offriranno al pubblico pane per i propri denti. A supportare un sound orchestrale e pomposo più che
mai, vengono impiegate ben tre ugole: quella del leader Alexander Osipov
(dotato di una profonda voce da tenore, ma anche di una presenza scenica poco
credibile), e quelle di Alexandra
Sidorova (soprano) ed Evgeniya
Odintsova (mezzo soprano e tastiere), due gran bei pezzi di figliole che, attirando costantemente
l'attenzione sulle proprie grazie, hanno scongiurato l'inevitabile effetto pagliacciata suscitato da cinque
uomini vestiti in abiti da cosacchi. C'è inoltre da aggiungere che i Nostri si
dimostreranno affabili e ben disposti ad interagire con il pubblico, peccando a
tratti di ingenuità, ma arrivando con cuore e passione laddove non arrivano con
tecnica e maturità.
La loro proposta risente
indubbiamente degli influssi culturali della terra di origine, e certo questo
aspetto conferisce sfumature peculiari ad un suono che è pervaso dai cliché tipici del symphonic power metal, ma che cerca una via di differenziazione
puntando più sull'atmosfera che sulla velocità. Quelli che escono dalle casse
sono brani meno "speed" e maggiormente pregni di pathos e di maestosa
epicità, vivacizzati continuamente dalle tre voci che si accavallano o si danno
il cambio: proprio come insegnato dai maestri Therion.
Passiamo dunque al piatto
forte della serata. L'evento clou sta
per arrivare, ma sotto il palco si sta ancora piuttosto larghi: caro Christofer,
ho paura che dovrai abbandonare le ambizioni di portare in un teatro la tua opera
rock, perché il rischio è che, a conti fatti, vi siano più musicisti ed attori in
scena che spettatori in platea. E, poi, detto fra di noi, era così necessario un triplo album, tre ore e passa di musica,
quarantasei canzoni, ventinove cantanti?
Meglio allora limitarsi ai sette
musicisti sul palco di questa sera, ossia Christofer
Johnsson e coloro che (più o meno) costituiscono i suoi compagni di viaggio
da dieci anni a questa parte. Dietro al microfono troviamo Thomas Vikstrom, Linnea
Vikstrom e Chiara Malvestiti,
mentre nelle retrovie registriamo la presenza degli immarcescibili Christian Vidal alla chitarra, Nalle Pahlsson al basso e Johan Koleberg alla batteria. Gli
ultimi due offrono una solida base ritmica, mentre il virtuoso ed ispirato Vidal
si occupa dei ritocchi, visto che Johnsson rimarrà saldo nel ruolo di chitarrista
ritmico.
Soffermiamoci sulla figura di
quest'ultimo, armato di gilet, completo,
cilindro ed occhialini tondi: mi spiace doverlo ammettere, considerata la stima
incondizionata che riserbo per così tanto geniale autore, ma a vederlo cosi
conciato sembra per davvero un povero coglione. Non solo per l'aspetto, ma
anche per l'atteggiamento, dispensando spesso siparietti evitabili e pose da guitar-hero da quattro soldi. Ma come del resto non voler bene all'autore
di album come "Theli" e
"Vovin"??
E
come non rimanere affascinati da una carrellata di venti splendidi brani
chiamati a rappresentare venti anni di storia della band? Per
quanto non abbia più di tanto apprezzato la "svolta power" intrapresa
nel corso degli anni zero, devo
ammettere che i Therion non hanno
mai smesso (salvo in anni recenti) di rilasciare prodotti più che buoni. E il
canzoniere da cui oggi i Nostri possono attingere è sicuramente portentoso,
basti pensare ad episodi come "The
Blood of Kingu", "The Son
of the Sun", The Khlysti
Evangelist", "Der Mitternachtslowe"
e "Son of the Staves of Time".
Omesso giustamente il passo falso costituito dall'esperimento "Les Fleurs du Mal", la succulenta
e ben farcita scaletta di stasera ha comprensibilmente un occhio di riguardo
per i nuovi brani, i quali non sembrano smuovere di una virgola il
caratteristico sound professato dalla
band nelle ultime due decadi.
Da un punto di vista esecutivo
non si registrano cali di tensione, essendo la band in palla e il range di sonorità da cui pescare molto
vario: dal prog all’hard-rock, dal metal classico a quello estremo, dal folk alla
musica classica. Menzione d'onore per la sempre coinvolgente "Typhon" (con la Vikstrom sugli
scudi convincente anche sul fronte del growl) e la bellissima "Lemuria"
(con la Malvestiti in primo piano) che ha saputo ricreare un'atmosfera da
sogno, complice un uso sapiente delle luci. Vikstrom non è un cantante
impeccabile, ma sa obiettivamente tenere il palco: tronfio con la sua livrea piena di galloni entra ed esce come se fosse nel suo salotto, elargendo smancerie alle dame, peraltro succinte in vesti sobrie e pudiche. I musicisti, invece, sia nel look che nell'atteggiamento, manterranno un profilo fottutamente heavy metal.
Personalmente parlando, quello
di cui io godo internamente (ma sono consapevole che si tratta di una
impressione solo mia) è notare come sotto il pomposo guscio sinfonico
sopravviva la "Svezia estrema degli anni novanta", quella dei riff
grassi di Entombed e Tiamat (quando ancora suonavano metal).
E' logico dunque che ad un fan della
prima ora come me gli occhi brillino principalmente per i pezzi più datati,
quelli più densi di ricordi ed emozioni personali, quelli di "Theli" e "Vovin". Quest'ultimo viene
rappresentato da ben tre episodi: "Wine
of Aluqah" (vera svolta della serata), "Birth of Venus Illegitima" (per me momento top) e la maestosa
"The Rise of Sodom and Gomorrah",
che dal vivo rende decisamente meglio che su disco. Il magico "Theli"
viene invece portato sul palco con la grandiosa "Cults of the "Shadow" (un concentrato di pura
genialità compositiva) e l'immancabile "To Mega Therion" a cui è affidato il gran finale (bello, di
traverso, risentire il caratteristico growl
di Johnsson, a cui Vikstrom porte gentilmente il microfono durante il
ritornello).
Strano pensare che la band sia
cresciuta sotto l'insegna del gothic
(ambito usualmente ombroso) quanto oggi invece, ed in particolare sul palco, essa
sembra voler incarnare la positività
di certo "happy metal" e, più in generale, poggiare sulle certezze confortanti e sulle energie vive dell'hard-rock degli anni
settanta e del metal degli anni ottanta. E' stata, in definitiva, una serata
gioiosa, divertente, una di quelle serate che ti mette felicità e ti lascia con
un sorriso ebete sulle labbra.
E
di questi tempi non è cosa da poco…