Sarà stato un bene che ad un certo punto nella storia degli Anathema Darren White se ne sia andato?
Mi sento di rispondere di sì, se il risultato della scissione fra gli Anathema e il loro primo cantante è stato l'abbandono degli ultimi retaggi di metal estremo e la genesi di lavori superlativi come “The Silent Enigma”, “Eternity”, “Alternative 4” e così via fino ai giorni nostri: tasselli in cui la visione artistica della band di Liverpool si è affrancata dalle asperità doom-death degli esordi per svilupparsi prima nella direzione della psichedelia pinkfloydiana, poi in quella della introspezione radioheadiana, per infine approdare alle raffinatezze neo-progressive dei lavori dell'ultimo decennio.
Bravi, bravissimi, in particolare Vincent Cavanagh che dietro al microfono ha dimostrato doti vocali inaspettate, evolvendo di disco in disco, adattandosi ad una proposta sempre più sofisticata e lontana dalle efferatezze dell'universo metal. Bravi, bravissimi, eppure fra i picchi di maggiore intensità emotiva offerti dagli Anathema nel corso della loro mirabolante carriera, dovremmo citare per forza brani-capolavoro come "Kingdom" e "We, The Gods" contenuti nell’EP “Pentecost III”, ultima prova in studio con Darren White dietro al microfono.