10 apr 2022

VIAGGIO NEL FUNERAL DOOM: TYRANNY

 


Settima puntata: Tyranny - "Tides of Awakening" (2005) 

Non è facile parlare di funeral doom, genere non solo ostico nella fruizione, ma anche spigoloso come oggetto di dissertazione. Con certe band le parole proprio non vengono fuori, come fossero sassi acuminati stretti in gola; altre volte verrebbe da utilizzare espressioni e veicolare concetti che possono valere per il genere intero, con il rischio di perdere di vista le specificità del singolo progetto. 

Nel caso dei Tyranny le cose sono più semplici, tanto che ci potremmo limitare all'impiego di un solo aggettivo per descrivere il loro suono: mostruoso. E potremmo anche fermarci qui, perché con tutti i giri di parole a cui potremmo ricorrere per presentare il loro operato, alla fine mostruoso è l’appellativo che più di ogni altro si rivelerebbe calzante. E qua, al contrario, la sfida per la nostra penna è di raggranellare un numero sufficiente di frasi per poter confezionare uno scritto che si possa dire di senso compiuto. 

Ancora Finlandia, a cui torniamo come una pallina da pingpong per la quarta volta, dopo Thergothon, Skepticism e Shape of Despair. Ma questa volta la pallina è caduta in un abisso più profondo del solito, anzi, proprio in fondo all'oceano, ma procediamo con ordine. 

I Tyranny, tanto per iniziare, hanno un approccio che si avvicina molto al metodo di concepimento-composizione-realizzazione utilizzato di solito nell'ambito del black metal atmosferico: un metodo volto a tessere suggestioni, creare atmosfera, appunto, immergere l'ascoltatore in un certo stato mentale. Per questo aspetto si distanziano da quella dimensione di "band vera e propria" che è quota maggioritaria nell'area del funeral doom, altresì popolata da musicisti dotati di una discreta tecnica e da ensamble affiatati. 

I Tyranny invece sono un duo, assetto che evoca una prestigiosa entità del black metal atmosferico: i Summoning. E come i Summoning i Nostri optano per una drum-machine, avendo capito che per andare lenti non è indispensabile un batterista in carne ed ossa. Matti Mäkelä e Lauri Lindqvist si spartiscono così in parti eguali la faccenda, il primo a dedicarsi a chitarre e campionamenti, il secondo a basso e tastiere, entrambi a darsi il cambio dietro al microfono. Che poi nei Tyranny la voce è più una "perturbazione", un toneggiare temporalesco, un rombar nel cielo su un paesaggio dominato dal caos e da entità mostruose. 

Già, perché al centro della visione musicale dei Nostri campeggia la mitologia scaturita dalla fervida mente di  Howard Philips Lovecraft. Sai che novità, direte voi che vi sorbite da eoni la manfrina dei Grandi Antichi, ma bisogna riconoscere che in questo caso la rappresentazione allestita dal duo finlandese è assai calzante all'Orrore espresso dagli scritti dell'autore americano, tanto che potremmo affermare che i Tyranny stanno a H.P. Lovecraft come i Summoning stanno a J.R.R. Tolkien

Chiudete gli occhi e figuratevi nella mitica città di R'Iyeh, luogo sommerso ove dimorano i Grandi Antichi, fra cui il più famoso di tutti, il temibile Cthulhu, che dorme da tempo immemore un sonno profondo in attesa della congiunzione astrale che determinerà il suo risveglio. Un sonno attivo, in verità, denso di sogni tramite i quali costui può entrare in contatto con gli umani (da qui il famigerato richiamo): un sonno, dunque, che è tutt'altro che quieto ristoro, bensì una sorta di modalità in stand-by (che cosa brutta che ho scritto!) e minaccia latente pronta ad esplodere se condizioni specifiche si verificano. 

Essere enorme, dalle fattezze antropoidi, con la testa simile a quella di un polpo, Cthulhu è propria 'na schifezza. "La pelle è elastica e traspare da essa l'interno osceno del suo corpo. Il colore interno è una sintesi di tutti i colori cadaverici mentre l'odore che emana è un concentrato dei più pestilenziali e putridi miasmi marini. La testa è contornata da tentacoli. I tentacoli finiscono con una specie di bocca nel cui interno si trovano tre denti acuminati. Tra i tentacoli si spalancano occhi fissi che osservano il tutto e il niente. Il corpo è dotato di ali membranose e le braccia hanno mani dotate di poderosi artigli." Da questa descrizione, che ho comodamente preso in prestito da Wikipedia, potremmo partire per parlare della musica contenuta in "Tides of Awakening", anno di grazia 2005, primo full-lenght della band, la quale aveva esordito l'anno precedente con l'EP "Bleak Vistae". 

Quasi settanta minuti (e che vi aspettavate, una durata diversa?) suddivisi in cinque tracce, di cui l'ultima è da considerare più un outro che altro. Gli altri quattro brani, quelli (ehm...) cantati, costituiscono il corpus principale dell'opera, con durate che oscillano fra gli undici e i diciassette minuti. L'album, in verità, andrebbe vissuto come un'unica esperienza, con le diverse tracce che sfumano una nell'altra non concedendo un attimo di respiro all'ascoltatore. 

Il sound dei Tyranny è presto descritto: lenti e solenni battiti di drum-machine, imponenti riff di chitarra,  tesi tappeti di tastiera ad avvolgere un suono magmatico e ribollente di terribili visioni narrate da un profondissimo growl. Nonostante tutto, i suoni sono nitidi, si percepiscono bene i diversi strumenti, si ha un gran lavoro di post-produzione e la cosa giova ad un sound che cerca di dare l'impressione di evolversi, quando in realtà in questa musica non vi è né un punto di partenza né un punto di arrivo. Quando si ha la sensazione che qualcosa stia mutando, in verità è solo Cthulhu che sta cambiando impercettibilmente la propria posizione nel suo tormentato sonno. 

I brani attingono dalla medesima palette di colori (una gamma assai limitata che va dal nero al nerissimo passando per sfumature di verde scuro), finendo per assomigliarsi, ma del resto la band non ha ambizioni di diversificazione, semmai ci tiene a schiacciare l'ascoltatore con visioni ottenebranti che si ripetono in una logica perversa, con brevi rincorse che poi si spengono sistematicamente nel nulla. Se i Tyranny sono bravi in qualcosa, è nell'aver messo a punto un tipo di suono che genera tensione costante pur non evolvendosi nella sostanza. 

A tratti la centralità della scena viene occupata dalle chitarre che, con suoni saturi e iper-distorti, ammaestrano melodie tanto minacciose quanto maestose, andando ad estremizzare quel linguaggio che si era originato nei solchi della tradizione del doom classico. Si prendono in prestito, ogni tanto, spunti dal black metal, come il tema melodico nella seconda parte di "Sonorous Howl from Beyond the Stars" che sembra echeggiare la ricorsività da "Eterno Ritorno" del Burzum di "Filosofem". 

In altri momenti, invece, le chitarre fungono da poderosa impalcatura lasciando che le tastiere salgano in cattedra, delineando scenari da incubo. E quando i due growl si accavallano, c'è davvero da aver paura! 

Ogni tanto qualche piccola scarica di cassa conferisce quel senso di slancio di cui si diceva sopra, ma è veramente una questione di pochi istanti, in quanto subito dopo una colata lavica di elettricità spingerà le orecchie dell'ascoltatore negli abissi più putridi dell'oceano. 

Perché al netto di tutte queste (lente e poche) variazioni, il suono dei Tyranny rimane costantemente denso di suoni, suoni indissolubilmente legati in un unico abbraccio mortale. La coda acustica di "Upon the War-Torn Shape of Cold Earth" (che giunge dopo quasi diciassette minuti che ti tolgono il sonno) è quasi sorprendente, tanto che ti chiedi se su YouTube sia scattato qualche giulivo inserto pubblicitario. Ma questa sarà l'unica concessione all'orecchiabilità, fatta eccezione per "Entreaties to the Primaeval Chaos", irrequieta e ribollente traccia dark-ambient, degna conclusione dell'opera, fra sgocciolii di ogni sorta ed oscuri rigurgiti gregoriani. 

Insomma, sarà chiaro a questo punto che "Tide of Awakening" è più che altro un'esperienza sensoriale da subire con sommo terrore piuttosto che una sequenza di composizioni da gustare tramite un ascolto attivo. Non è forse, questo, il funeral doom più tipico che si possa trovare in giro, ma del funeral doom i Tyranny sanno cogliere i tratti salienti ed estremizzarli ulteriormente, cosa non da poco. Cosa veramente non da poco...