"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

25 feb 2022

VIAGGIO NEL FUNERAL DOOM: SKEPTICISM

 


Terza puntata: Skepticism - “Stormcrowfleet” (1995) 

Dopo aver trattato Thergothon ed Esoteric passiamo agli Skepticism, terzo fondamentale pilastro del Gran Triunvirato del Funeral Doom
 
Quando si dice che il funeral doom nasce in Finlandia lo si dice a ragion veduta. In Finlandia, già di per sé terra prediletta per il metal estremo, e di quello più losco, presero forma le mostruose visioni degli Unholy, anticipatori dell'intero movimento. Poi nel 1994, sempre in Finlandia, vedeva la luce “Stream from the Heavens” dei Thergothon, considerato il primo album di funeral doom della storia. Ed ancora la Finlandia, appena un anno dopo, dava i natali a “Stormcrowfleet” degli Skepticism, che andavano a consolidare gli stilemi introdotti dai Thergothon: uno schiacciante uno-due che non poteva non costituire la base per l’avvio di un nuovo genere. 

Entrambe le opere, infatti, brillavano per una grande originalità, ma se i Thergothon ancora erano riconducibili al filone del gothic-doom in voga all’epoca, con gli Skepticism si andava decisamente oltre. In altre parole: se i Thergothon accesero la miccia, gli Skepticism appiccarono l’incendio

Tanto per iniziare gli Skepticism venivano dal death metal e nel momento in cui decisero di staccare il piede dall’acceleratore e dedicarsi ad umori lugubri seppero confezionare una proposta tanto particolare da non poter essere accostata a nessun altro nome dell'epoca. Essi inoltre forgiavano il loro suono attraverso un diverso modus operandi rispetto a quello utilizzato dai Thergothon che avevano operato per sottrazione, puntando su un profilo minimale ed andando ad esasperare le lezioni dei maestri del gothic doom. Nel fare questo i Thergothon mostravano un bagaglio tecnico essenziale e in parte il carattere innovativo della loro proposta era imputabile a questo aspetto (si pensi al drumming senza cambi di tempo di Jori Sjoroos, che la batteria proprio non la sapeva suonare). 
 
Gli Skepticism, invece, disponevano di capacità tecniche sopra la media, cosa che permise loro di sviluppare un sound intrinsecamente dinamico, nonostante la lentezza/pesantezza programmatica che ci si imponeva. Paragonandoli ai Thergothon, i Nostri ci appaiono persino pomposi e magniloquenti nel confezionare brani tanto imponenti quanto costruiti con perizia e poggiando sull’alchimia naturale di musicisti che sarebbero rimasti insieme per tutto il resto della loro carriera. Fatto curioso, questo, se si pensa che il funeral doom ha conosciuto ottime band che sono andate incontro ad un precoce scioglimento, magari anche appena dopo aver rilasciato l'opera di debutto (si veda gli stessi Thergothon), mentre gli Skepticism arrivano ai nostri giorni con i quattro medesimi musicisti che si unirono nel lontano 1991.

Lasse Pelkonen non si sbilancia dietro alle pelli, ma le legnate che tira sui piatti rendono bene quella sensazione di lotta-contro-la-tormenta che il suo spossante drumming ispira. Jani Kekarainen è uno che non si prodiga certo in assoli e che sembra persino schifare certi passaggi melodici tipici dell’universo gotico, tuttavia la sua chitarra, tarata su un riffing che sembra privilegiare i temi ricorsivi del black metal, colpisce con straordinaria efficacia. Vi è poi il growl brutale di Matti Tilaeus, che ben poche variazioni saprà offrire e che sembra piuttosto voler fungere da ulteriore strato di pesantezza sonora al fine di valorizzare certi passaggi o cambi di tema (del resto manca il bassista). Ma la vera parola d’ordine per comprendere il suono degli Skepticism è “organo”: quello suonato con cognizione di causa dal tastierista Eero Poyry. L'impiego copioso dell'organo, abbinato ad orchestrazioni di vario tipo, conferiscono un tono sacrale ed al tempo stesso trionfale al doom funereo degli Skepticism e questa, più di ogni altra, è la caratteristica che rende così unica la loro proposta.   

Immaginate un boato, una ola travolgente che si propaga da un capo all'altro dello stadio - il tripudio per una rete decisiva - e prolungatelo all'infinito, o almeno per molto tempo: questa è la sensazione che restituiscono gli Skepticism nel loro debutto "Stormcrowfleet". L’openerSign of the Storm” attacca in medias res come se avessimo premuto play dopo aver messo in pausa il brano. Colpi marziali e tronfie orchestrazioni sintetiche danno un'enfasi che sembra il culmine di una lunga suite e che invece ne costituisce solo l’inizio: ennesima conferma che il funeral doom è un genere atemporale, senza inizio e senza fine. Proseguono dieci emblematici minuti che ben spiegano il significato più profondo del termine funeral doom: riff elefantiaci e solenni tastiere, momenti di apparente quiete e spiazzanti ripartenze ove si alternano passaggi maestosi e discese nell'asfissia più totale. 

L'incipit baldanzoso della successiva "Pouring" riattizza gli animi e fa ben sperare per il prosieguo dell'ascolto: la doppia cassa tradisce i trascorsi death metal della band e il brillante riffing di Kekarainen sembrerebbe voler tributare più l’epica bathoriana che qualsiasi altra doom band. Peccato che ben presto ci renderemo conto che niente sarà facile in "Stormcrowfleet", in esso non vi sarà nessuna concessione per l'ascoltatore distratto: o segui con attenzione o muori. Del resto per gli Skepticism il funeral doom è una faccenda seria da affrontare senza divagazioni, senza concessioni, senza armistizi. 

Sei lunghi brani (tre di essi sopra i dieci minuti) si estendono per un’ora di durata complessiva dove i guizzi vanno cercati con il lanternino, in un contesto in cui è facile perdere la bussola e difficile capire dove finisce una traccia e dove inizia quella successiva. Anche perché i brani sono articolati in blocchi che vengono spesso intramezzati dalle sole tastiere, scelta stilistica che in effetti può disorientare l'ascoltatore. Non aspettatevi dunque grandi diversivi, gli Skepticism suonano in due modalità: o lentamente o molto lentamente. Quando vanno lenti potrebbero sembrare una band sinfonica che decelera il passo per individuare il giusto pathos. Quando invece vanno molto lenti, allora armatevi di pazienza e interrogatevi se vi piace o meno il funeral doom come genere. Non aiuta una produzione ovattata che mescola i diversi strumenti e mal si associa al suono denso degli Skepticism. L’impressione generale è quella di avere l’acqua nelle orecchie con suoni fluttuanti che giungono come immagini sfocate.  

No,  "Stormcrowfleet” non è affatto di facile ascolto, anzi, potrei definirla una delle esperienze più faticose della mia esistenza musicale: quante volte ho perso il filo del discorso, e quante volte non l'ho ritrovato, ma l'ascolto ripaga con il tempo, perché la scrittura dei brani non è banale ed abbisogna di svariati passaggi nel lettore per poter essere apprezzata.  Anche scrivere questa recensione mi costa una fatica tremenda, nonostante voglia ostentare disinvoltura ad ogni piè sospinto. Ho sudato le famigerate sette camicie nell'analisi di questo album, ma ecco che vi elargisco una chicca che non troverete in nessun altra recensione: la chitarra acustica lontana, lontanissima, impercettibile (quasi uno sfregar di plettro sulle corde) alla fine di "The Gallant Crow". Sfido chiunque a scovare questo dettaglio prima del quarto ascolto. 

Il funeral doom, si diceva, è un genere atemporale, anche perché può capitare di perdere la cognizione del trascorrere del tempo durante l'ascolto di un album. La conclusiva e lentissima (più lenta del solito) "Everdarkgreen", per esempio, sembra durare ore quando invece dura "solo" dodici minuti. Poi, quando finalmente lo strazio sembra essere finito, inaspettatamente l'incubo riprende corpo ed un'epica coda riparte in pompa magna per poi sfumare in dissolvenza. Ecco che l'ascolto si conclude come era iniziato: con il sapore dell'Infinito

I Nostri dimostreranno una serietà ed una professionalità straordinarie nel portate avanti la loro missione, sfornando sempre lavori di elevata qualità (un nome su tutti: "Farmakon" del 2003). Sei album in quasi trenta anni di carriera dimostrano che i Nostri non hanno campato solo di musica (a meno che, come i Rolling Stones, i finlandesi siano stati impegnati in infiniti tour mondiali fra una release discografica e l'altra, ma non credo proprio). Si lavora duro per portare il pane a casa, poi si prendono due settimane di ferie, si dà un bacio in fronte ai figli e si va a fare qualche concerto, ci si toglie la tuta da magazziniere e ci si mette l'abito da sera, perché -  altro fatto curioso - i Nostri sono soliti indossare giacca e cravatta quando suonano dal vivo, una scelta inspiegabile considerando la musica che suonano.  

Misteri del funeral doom...