Sfatiamo la convinzione secondo cui l’atmospheric black metal sarebbe un genere (anzi, un sotto-genere) necessariamente ostico. L’atmospheric black metal può anche essere avvincente e di facile fruizione: ce lo dimostrano gli austriaci Summoning, di cui parleremo oggi in seno alla nostra rassegna.
Attivi fin dalla metà degli anni novanta, i viennesi furono fra i primi nel black metal a far prevalere in modo netto e definitivo la componente atmosferica su tutto il resto, divenendo inaspettatamente i pionieri di sonorità che un giorno sarebbero state catalogate a parte, come genere a sé stante. Di sicuro essi offrono il sentiero meno accidentato per colui che voglia addentrarsi, per la prima volta, nei meandri dell'atmospheric black metal...
Partiamo dal presupposto che Protector e Silenius sono due pagliacci, ma sono dei pagliacci con in mano una formula: la classica formula che o funziona o non funziona. E la loro ha funzionato.
Brani lunghi, poche idee melodiche ma vincenti, l’impiego di drum-machine programmate rigorosamente su tempi lenti e marziali. Non era, quest’ultima, una necessità, bensì una scelta voluta per accrescere il pathos: con il tempo la drum-machine sarebbe divenuta un marchio, un tratto distintivo per la band ed uno standard nell’atmospheric black metal tutto.
Da un lato, dunque, l’indiscutibile maestosità dei paesaggi sonori ritratti con efficacia tramite mezzi assai poveri; dall’altra una eccessiva staticità dovuta a schemi compositivi che divenivano presto prevedibili. I Summoning erano, e lo sono tutt’ora, la classica band che parte sbilanciata per non sbilanciarsi più: tutta la loro carriera sarebbe stata una accomodante variazione sullo stesso tema, con il risultato che la più bella canzone dei Summoning non è poi così dissimile da quella più brutta. Impossibile sbagliare, del resto, quando una formula viene applicata ogni volta con rigore matematico. Una certezza per alcuni, dunque, una noia mortale per gli altri.
Da estimatore del black metal fin dagli anni novanta, da parte mia posso dire che i Nostri erano indubbiamente considerati con interesse, ma più come una curiosità, costituendo essi una realtà inevitabilmente minore nell’effervescente mondo del black metal, che nella seconda metà degli anni novanta stava raggiungendo l’apice della sua popolarità.
Realtà minore, certo, ma indubbiamente originale: stava alla sensibilità del singolo decidere se i Summoning erano geniali o semplicemente noiosi. Di sicuro i Nostri potevano contare su un certo appeal nei confronti degli appassionati di narrativa fantasy, che da sempre popolano il pianeta metal: elemento, questo, che ha sicuramente giocato a loro favore, facendo loro guadagnare un'accresciuta popolarità fra le generazioni di ascoltatori del nuovo millennio, le quali sembravano subire più che mai il fascino di tematiche “fiabesche” e saghe fantastiche. Contribuivano l’effetto-traino operato in quegli anni dal symphonic power metal e, più in generale, il successo planetario della trilogia filmica de “Il Signore degli Anelli” (erano gli anni 2001-2002), visto che i Summoning proprio di J. R. R. Tolkien ci parlavano.
I Nostri, di fatto, furono anche incensati con l’onorificenza di iniziatori del cosiddetto Tolkien-metal, cosa che, personalmente parlando, suscita in me ancora oggi qualche perplessità: per quanto evocativa, la musica dei Summoning non sembra, a mio parere, rispecchiare fedelmente gli umori che si respirano nelle superbe pagine dello scrittore. Troppo piatte e monotone risultano essere le composizioni degli austriaci per descrivere adeguatamente una scrittura così complessa, ricca di rimandi e dai molteplici piani di lettura.
Ma torniamo alla musica. Fatta eccezione per il debutto “Lugburz” (1995), che vedeva ancora una formazione a tre ed una proposta ancora assimilabile ad un black metal assai canonico, il Summoning-sound come oggi lo conosciamo iniziò a modellarsi con i successivi “Minas Morgul” (1995) e “Dol Guldur” (1997). La progressione fu notevole e il black metal atmosferico dei Nostri ebbe modo di solidificarsi intono al nucleo composto da Protector (voce, chitarre, tastiere e drum-machine) e Silenius (voce, tastiere e basso): non erano costoro dei virtuosi, ma seppero con il tempo affinarsi, migliorando soprattutto sul fronte degli arrangiamenti e dei suoni. Quei suoni incerti, con quella drum-machine che proprio non andava giù e quelle trombette che sembravano prodotte con una pianolina per bambini, sarebbero stati meglio definiti in seguito, conferendo maggiore credibilità alla musica del duo, ma soprattutto permettendo ai Nostri di guardare oltre i confini del black metal.
Con “Stronghold”, del 1999, qualcosa accadde: da un lato si perse quello spirito autenticamente black metal che ancora aleggiava nei lavori precedenti, dall’altro si fece un discreto balzo in avanti a livello di capacità di realizzazione, cosa che rendeva l’esperienza nel complesso più accattivante. Se prima di questa release i Summoning accettavano, anzi si crogiolavano nel loro status di realtà di nicchia, con questo lavoro è come se i Nostri rompessero ogni indugio e volessero celebrare con rinnovata fierezza il proprio sound, elevandone all’ennesima potenza le peculiarità. In altre parole, sarebbe venuta meno la componente più raw: il black metal sopravviveva negli screaming di Protector e Silenius, in qualche chitarra ronzante, nelle ritmiche più sostenute in un paio di circostanze. Per il resto la musica dei Nostri si spostava verso una dimensione fatta di arrangiamenti sempre più pomposi, di parti sinfoniche e incursioni folk-medievali perfettamente integrate in trame che potremmo definire gothic-metal.
Anche a livello lirico subentrarono importanti novità: per la prima volta, infatti, la band si sarebbe emancipata dall’ispirazione magna di Tolkien, sugli scritti del quale i concept musicali dei Nostri si erano sempre incentrati. Certo, la penna di Tolkien è sempre ben presente, ma questa volta troveranno spazio anche altri autori come William Wordsworth, Robert Frost, Walter Scott e Dora Sigerson Shorter.
Gli esiti sono esaltanti, e pazienza se la proposta nel complesso si fa meno estrema che in passato: durata media dei brani leggermente ridimensionata, chitarra elettrica relegata in secondo piano (più volta a dare profondità al suono, inequivocabilmente dominato dalle tastiere), qualche ritornello più anthemico del solito e un maggiore sforzo di differenziazione fra un brano e l’altro (si pensi a “Where Hope and Daylight Die”, interamente cantata dal soprano Tania Borsky). Con l’aggiunta – altra novità – di campionamenti tratti da pellicole cinematografiche (“Legend” e “Braveheart”, per l’esattezza): scelta che riduce ulteriormente quel fascino artigianale che aveva caratterizzato i primi lavori, ma che arricchisce la tavolozza dei colori a disposizione dei due musicisti.
Si percepiscono inoltre, in certi incipit di tastiere e nella freddezza delle ritmiche, echi di darkwave ottantiana, riferimento per niente fuori luogo se si pensa a certe esperienze collaterali dei Nostri, come gli Ice Ages di Protector, dediti a sonorità EBM-electro-industrial.
Ma non si dispereranno i fan del duo viennese, che in “Stronghold” ritroveranno confermate le caratteristiche fondanti del Summoning-sound e, più in generale, un immutato approccio al song-writing. L’ora e passa di musica prodotta a questo giro si presenta come un fluido alternarsi di pause atmosferiche e fiere ripartenze, con la solita drum-machine a conferire al viaggio un passo che è tragico ed epico al tempo stesso. Sempre apprezzabile, inoltre, il passaggio di testimone fra le due ugole, ringhiosa quella di Protector, più bavosa ed agonizzante quella di Silenius.
Dall’iniziale “Rhun”, introduzione sinfonica pervasa da vibranti fremiti marziali, alla imponente traccia conclusiva (i quasi dieci minuti di “A Distant Flame Before the Sun”, con tanto di “cori da stadio” nella seconda metà ad innalzare ulteriormente il già elevato tasso epico), tutto l’album è un trionfale saggio di epicità trasposta in musica, attraverso lande spettacolari e gesta eroiche, fra intense linee di chitarra, tromboni baldanzosi ed orchestrazioni che trovano di sicuro ispirazione nella città di origine del progetto, Vienna.
Non tutto l’atmospheric black metal discenderà ovviamente da queste note, ma certo “Stronghold” è stata una bella vetrina che ha permesso di sdoganare certi suoni ed ispirare molti altri musicisti. Lugubre e ferale quanto basta, la musica dei Summoning, come si diceva in principio, si fa paradossalmente conciliante ed indulgente nei confronti dell'ascoltatore, muovendosi con grazia al di fuori di quelle zone dove il metal estremo si fa per davvero inquietante: territori ostili in cui la nostra rassegna si addentrerà senza timore alcuno...