"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

27 ago 2018

DIECI ALBUM PER CAPIRE IL POST-INDUSTRIAL: LUSTMORD, "HERESY"


Quarta puntata: Lustmord 

Spostiamoci in Galles, anzi, torniamo a Londra, dove Brian Williams, originario del Galles (appunto), si formò artisticamente. 

Proprio a Londra, all’inizio degli anni ottanta, Williams incontrava Chris Carter e Cosey Fanni Tutti dei Throbbing Gristle, i quali, fiutato il talento, lo avrebbero incoraggiato ad avviare la sua carriera come musicista. Dietro al monicker Lustmord realizzò così le prime registrazioni, imboccando una strada che nell’anno 1990 lo avrebbe portato al capolavoro “Heresy”, pietra miliare del dark-ambient, di cui egli è considerato il padre. 

Diversi anni prima un altro Brian, il ben più noto Eno, aveva teorizzato la musica ambient: l’intenzione era di “costruire un catalogo di musica d’ambiente adatta ad un’ampia varietà di stati d’animo e di atmosfere”. Quelle composizioni, che da un punto di vista stilistico facevano leva su certe intuizioni di autori classici quali Erik Satie e John Cage (senza sminuire l’importanza della neonata kosmische music teutonica – la collaborazione fra Eno e i Cluster nel 1977 non era stata affatto casuale), erano pensate originariamente per ambienti specifici. 

Con questo spirito uscì nel 1978 “Ambient 1 - Music for Airports”: quattro lunghe suite per pianoforte e sintetizzatori predisposte per le grandi hall degli aeroporti, dove la musica non pretendeva l’attenzione dell’ascoltatore, bensì diveniva elemento d’atmosfera, uno fra i tanti nella complessa interazione fra ambiente e soggettività dell’ascoltatore, che avrebbe potuto persino anche ignorarla. 

Con “Ambient 4 – On Lands”, pubblicato quattro anni dopo, l'intreccio fra mondo esteriore ed interiorità dell'ascoltatore sarebbe divenuto più fitto e ricco di implicazioni, laddove la descrizione del paesaggio esterno diveniva specchio degli stati d’animo di chi vi si immerge. Nell’ambient si veniva a favorire quella fusione fra opera ed ascoltatore che avrebbe portato l'ascoltatore stesso a vivere una esperienza sensoriale totale, avvolto e penetrato dalle spire di questa musica impalpabile.

Il dark-ambient non sarebbe stato altro che la variante oscura (gotica, orrorifica, esoterica, apocalittica, deprimente – descrivetela come meglio credete!) della musica ambient. Ancor più che per l’ambient classico, tuttavia, il dark-ambient avrebbe finito per perdere il contatto con gli spazi concreti della realtà fisica, fino ad assumere veri e propri connotati psicoanalitici e divenire il medium ideale per una ricerca interiore protratta nelle tenebre. 

L'oscurità, dunque, vista come qualcosa di pre-esistente alla luce, qualcosa di più antico e profondo: uno scrigno di verità nascoste in cui rinvenire l'essenza delle cose, lontano dalla luce, che invece distrae in quanto fonte di confusione e fraintendimenti. La conoscenza, infine, intesa non tanto come evidenza, ma come processo di acquisizione. Non necessariamente raggiungibile tramite la mediazione della sfera razionale, anzi... 

Verso tale “era di pre-esistenza” sembra invitarci la copertina di “Heresy”, raffigurante un universo in via di formazione, sconvolto dalla furia di turbolenze ed energie cozzanti. Ma non è un universo meramente fisico, quello descritto da Lustmord, bensì uno spazio simbolico, già pervaso dai concetti di Bene e Male, Maledizione e Condanna, come ci suggerisce il titolo. Il richiamo a certe atmosfere mediorientali, offuscate dai fraseggi vischiosi delle tastiere, da tumulti sottocutanei e da gemiti non ben definiti, oltre che a tingere di tragedia biblica il tutto (siamo dalle parti della Genesi), non fa altro che ribadire il clima minaccioso e inquietante che pervade l’intera opera: un coacervo di forze primordiali che si mischiano sotto l’egida di oscuri burattinai.

Nelle note che corredano il libretto di “Heresy” si apprende che l’opera è il culmine di un lavoro portato avanti dal 1987 al 1989. Williams partì dalle cripte, dalle catacombe, dalle caverne, dalle miniere, dai rifugi sotterranei: una raccolta paziente, la sua, di suoni ambientali e risonanze, fruscii, vibrazioni, echi, poi sapientemente processati in studio. Già con diversi anni di gavetta alle spalle, Williams agiva da accorto artigiano, levigando le sfumature, componendo mosaici sopraffini, generando visioni spettrali, paura, incertezza. Tutto ciò sfruttando semplicemente le qualità intrinsecamente esoteriche della musica e il suo connaturato potere suggestionante. E' come se l’autore di queste sinfonie dell’abisso, sospese fra silenzio e sussulto, ci avvolgesse in un manto nero, ci conducesse altrove e al momento giusto squarciasse il velo con un coltello affilato, aprendo viste improvvise su altri mondi. 

“Heresy”, che supera l’ora di durata, si compone di sei movimenti, che vanno dai pochi minuti al quarto d’ora. L’esperienza, ovviamente, va vissuta nel complesso, considerando le singole tracce sezioni di un discorso più ampio, come del resto ci suggerisce la numerazione progressiva dei brani, intitolati semplicemente "Heresy I", "Heresy II" ecc. Il tempo stesso acquisisce una valenza relativa e proprio per questo diviene consigliabile gettarsi nell’ascolto in uno stato di dormiveglia, in modo da potenziare le suggestioni lanciate dall’opera, apprezzabili più nell’incoscienza che con la fredda lucidità: è fra le braccia di Morfeo che le montagne oscure dell'inconscio e i fantasmi interiori si elevano in tutta loro maestosità, i fiumi magmatici soffocano l’ascoltatore nei loro gorghi, le dense nubi di gas occludono la vista per far abituare gli occhi a visioni che non si fermino alla mera superficie degli oggetti. 

Se Williams sembra voler privilegiare il lato più astratto del dark ambient, concedendosi raramente immersioni nella pura melodia e preferendo esplorare le risonanze di una ricerca basata principalmente sul principio della suggestione, non si escludono altrove costruzioni sonore maggiormente compiute, come un’apertura improvvisa di tastiere o un crescendo dettato da percussioni. E’ il caso per esempio di un altro nome cardine del genere, lo svedese Peter Andersson, mastermind del rinomato progetto Raison D’Etre, che sfrutta il proprio estro per tingere di forti tinte melodiche la sua musica. Ed è così che dal nero magma ribollente delle spirali elettroniche si materializzano sospesi sul niente i minacciosi salmi gregoriani, gli inquietanti cori angelici, le suggestive aperture melodiche degli archi e delle tastiere: momenti di "estasi nera" che vanno a comporre una sorta di "new-age d'oltretomba". 

Tornando a noi, come tutti sanno il dark-ambient andrà d'accordo con le propaggini più ottenebranti e malsane del metal, quindi funeral doom e depressive black metal. La contaminazione, che in certi casi diverrà una continuità stilistica, sarà per lo più formale, in quanto per il metal l’ambient spesso equivale a dire “tastiere o droni che da soli durano per più di due minuti”, quando invece, abbiamo visto, la ricerca che sta dietro al dark-ambient di matrice industrial, affonda le radici nelle lezioni dei compositori del Novecento come in quelle dei grandi maestri dell’elettronica, in un contesto in cui lo studio di registrazione diviene luogo creativo a tutti gli effetti. 

Heresy”, per un neofita attirato da sonorità veramente oscure, può essere un ottimo portale d'ingresso... 

Discografia essenziale: 

“Paradise Disowned” (1984) 
“Heresy” (1990) 
“The Place Where the Black Stars Sang” (1994) 
“Stalker” (1995) 
“Pigs of the Roman Empire” (2004) 
“The Monstrous Soul” (2005) 
“Dark Matter” (2017)