19 giu 2023

I THE OCEAN E "HOLOCENE": MORTE E RESURREZIONE DEL POST-METAL


Una domanda ci sorge spontanea: perché quasi nessuno si fila i The Ocean? Perché la band teutonica non riempie, con decine di migliaia di astanti, teatri, palazzetti e arene all’aperto? Perché non occupano le prime pagine delle riviste e delle webzine?

Sbagliano qualcosa nella comunicazione? Non sono abbastanza cool come le band metalcore che fanno impazzire le nuove generazioni di metalheads? Sono troppo concettuali? Non pubblicano singoli che piacciono al primo ascolto come fanno i Ghost? Ad allontanare i curiosi sono sti cazzo di titoli di periodi geologici che manco a un corso di Scienze Naturali?

O sarà mica per il monicker, un po’ fuorviante rispetto alla proposta musicale? 

Eppure…eppure poche, pochissime band possono vantare una lunga discografia, oramai ventennale, dello stesso livello qualitativo. Sarò pure di parte, essendo Staps&co. i miei artisti metal preferiti assieme a Devin Townsend, ma ci sentiamo oggi ancor più giustificati a scrivere quanto espresso già 3 anni fa in occasione del commento sui due tomi di Phanerozoic: “[…] i The Ocean sono capaci di rileggere, a quasi 25 anni di distanza, le lezioni impartite dai maestri Neurosis, sia quelli della fase più tellurica (mi riferisco al magico trittico “Enemy of the Sun” – “Through Silver in Blood” – “Times of Grace”), sia di quelli più “illuminati” da “A Sun That Never Sets” in poi. E rileggerle sapendo incorporare nel proprio sound i mille rivoli che il Metallo pe(n)sante ha saputo accogliere nel Terzo Millennio”.

Pensavo che dopo quel viaggio, tematico e musicale, non ci fosse altro da scrivere sui The Ocean: i migliori, semplicemente.

E invece.

E invece “Holocene”, che chiude la narrazione concettuale cominciata con “Precambrian” (2007) trattando l’era geologica in cui stiamo vivendo ancor oggi, l’Olocene (che parte da ‘appena’ 12.000 anni fa circa, cioè dall’ultimo periodo glaciale della Terra), si discosta in modo consistente da quanto fatto in passato dai tedeschi. 

E quindi: abbandono quasi totale del (post) post-hardcore e, per lunghi tratti, soprattutto nella prima parte del platter, del metal tout court. Per abbracciare una libertà compositiva a 360°. Una sorta di prog rock che ingloba l’elettronica, fa largo uso dei synth e degli strumenti a fiato (corno, tromba, trombone), del pianoforte e di un paio di diverse voci femminili (da brividi l’interpretazione della norvegese Karin Park in “Unconformities”, il brano più lungo, e tra i più belli, del lotto).

Attenzione: questo corso della band non è incoerente con quanto realizzato fin’ora perchè la perfezione di un sottogenere raggiunta dai The Ocean con le precedenti uscite sfocia, nell’ambito della sua evoluzione, in modo totalmente naturale in questo “Holocene”. E’ tutto credibile, è tutto “100% The Ocean”, anche quando alcuni brani paiono vicini al trip hop (eresia!). E l’ascolto è cosi appagante, così ‘pieno’ nonostante l’assenza delle bordate metalliche che, quando queste arrivano, ci colgono quasi alla sprovvista. In tal senso non aiuta il fry scream di Rossetti che, per la verità, non ha mai troppo entusiasmato, facendosi preferire il singer svizzero sui registri puliti.

Inezie, tranquilli. Dettagli che non inficiano minimamente la resa complessiva di un album che, ci scommettiamo, potrà essere di qui in avanti considerato standard e punto di riferimento per tutto quel metal che,  come già scrisse correttamente il nostro mementomori in tempi non sospetti, procedendo dalle lezioni di NeurosisIsis e Cult of Luna (con un occhio sempre agli imprescindibili Tool), vorrà superarli per arrivare a qualcosa di ‘altro’.

Insomma, 30 anni sono passati da quel capolavoro che fu “Enemy of the Sun” dei Neurosis, a buon diritto il disco che potremmo considerare come il punto alfa di tutto il filone post-hardcore metal. I The Ocean, con questo “Holocene”, arrivano a comporre l'omega, e al contempo immaginiamo una 'nuova alfa', di una parabola evolutiva che, proprio in quel 1993, con un sound che mai come prima aveva dipinto in modo così primitivo e potente sommovimenti tellurici, oceani in tempesta ed eruzioni vulcaniche, sembrava impossibile potesse finire così. E per così intendo la quieta analisi, sotto una volta celeste attraversata dal gelo dei synth e dal ritmo di beat elettronici, delle piccole e grandi miserie umane.

Solo i The Ocean, oggi, in una forma così fine e intelligente, potevano esprimere questo passaggio e renderlo da impossibile a reale.  

Infiniti...

Voto: 8,5

Canzone(i) top: “Sea of Reeds”, “Atlantic”, "Unconformities"

Momento top: l’immaginifico intreccio di fiati, chitarre e synth in “Parabiosis”

Canzone flop: nessuna

Etichetta: Pelagic Rec.

Dati: 8 canzoni, 52’

A cura di Morningrise