"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

10 nov 2020

RECENSIONE: "PHANEROZOIC I & II" (THE OCEAN COLLECTIVE)

 


Per pigrizia. Per superficialità. E per una sottile, e stolta, sensazione di sfiducia.

Per questi ingiustificabili motivi non ho ascoltato “Phanerozoic” degli immensi The Ocean. Cioè, mi sono accontentato di ascoltare, supinamente, i due singoli usciti nel 2018 (e sui quali avevamo puntualmente relazionato).

E poi? Cosa mi ha spinto a non procurarmi l’album completo? Forse il fatto che fosse una Parte I? O che, appunto, non ritenessi che il Collettivo capitanato da Robin Staps e Paul Seidel potesse in ogni caso superare, o quantomeno bissare, i fasti di “Pelagial”?

In ogni caso, non ho scuse.

Per fortuna che esiste whatsapp. E’ infatti tramite quell’applicazione che la mattina di un’anonimo sabato autunnale mi arriva un sms del nostro Mementomori che esclama: “Mi è partita in automatico la riproduzione su Youtube dell’ultimo album dei The Ocean: dai primi dieci minuti parrebbe il disco dell’anno…”.

E’ stata una molla. Me lo vado a sentire anch’io, quella stessa mattina, “Phanerozoic II”. E, cazzo, già al primo ascolto si capisce che siamo davanti a qualcosa di nettamente superiore.

Ma voglio far le cose per bene. I The Ocean meritano, per tutte le gioie che ci hanno saputo regalare da 3 lustri a questa parte, che vengano ascoltati “per bene”. Mi procuro, perciò, tutte e due le parti. E comincio ad ascoltarle, quasi senza soluzione di continuità.

Non starò a descrivere dettagliatamente i due tomi (da avere assolutamente entrambi!) né a svolgere uno sterile track by track.

Quello che ci preme sottolineare, dopo ripetuti e attenti ascolti dei quasi 100’ di musica, sono essenzialmente due elementi:

1)   I The Ocean sono ormai i migliori alfieri di quello che potremmo definire il “post-post hardcore”. Capaci di rileggere, a quasi 25 anni di distanza, le lezioni impartite dai maestri Neurosis, sia quelli della fase più tellurica (mi riferisco al magico trittico “Enemy of the Sun” – “Through Silver in Blood” – “Times of Grace”), sia di quelli più “illuminati” di “A Sun that Never Sets”. E rileggerle sapendo incorporare nel proprio sound i mille rivoli che il Metallo pe(n)sante ha saputo accogliere nel Terzo Millennio. Dall’utilizzo di un’ampia e variegata strumentistica, che non si limita solo ad archi, fiati e svariati tipi di cordofoni e elettrofoni digitali; ad una gestione dei “pieni e dei “vuoti” sempre bilanciata e capace di creare un mood apocalittico di una tensione emotiva massimale; dal maneggiare come se nulla fosse cambi di tempo e umori anche distanti tra loro (noise&ambient, dark&death) all’incorporare persino trame sinfoniche degne di un ensemble operistico. Ma non allarmatevi: le esplosioni di metallo estremo sono ben presenti e frequenti, tali da immergerci con tutte le scarpe nei sommovimenti geologico-ambientali che cambiarono la forma dei continenti e delle forme di vita durante l’eone Farenozoico. Un viaggio di una mezza miliardata di anni circa per comprendere il quale non bisogna per forza essere fini geologi o paleontologi, visto che i concept targati The Ocean, da leggere sempre su piani concettuali diversi, sono sì scientificamente tecnici, ma anche delle splendide metafore spirituali e morali che riguardano l’uomo contemporaneo. 

Il risultato di tutto ciò è una musica raffinata, mai prolissa, coesa e bilanciata. Dove, alla fine dell’ascolto, la sensazione che proviamo in modo chiaro è quello di “pienezza e appagamento”. Per raggiungere i quali i The Ocean non devono neppure ricorrere a un minutaggio chissà quanto ampio, il che denota una capacità di sintesi e padronanza di scrittura da professionisti navigati. 

Il grado di eleganza raggiunto dalle vocals del fido Loic Rossetti è poi strabiliante. Ascoltare un brano come “Silurian: the Age of Sea Scorpions” è il non plus ultra di quello che delle vecchie orecchie da metallaro, avvezzo a qualsiasi tipo di sound e sperimentazione sonora, possano desiderare nel 2020. E arriviamo, detto questo, al secondo punto…

2)      “Phanerozoic”, signori, è la miglior risposta all’evoluzione del Metal dopo i 50 anni di vita, scoccati proprio lo scorso febbraio. E’ da anni che sul Blog cerchiamo di dare un’indicazione in merito a questo Grande Dilemma e, dopo aver ascoltato con grande interesse e apprezzamento le “risposte” che grandi band contemporanee hanno dato in quest’ultimo lustro (Haken, BTBAMLeprous, Inter ArmaObscuraNe Obliviscaris, ecc., per non parlare degli infiniti Tool), mi sento di affermare che il Metal composto dal collettivo tedesco è quella più coerente, sensato e credibile. E capace di darci emozioni nuove. Non dimentico il filone del post-post prog, e soprattutto quello del post-post black (che continua a sfornare album da brividi con soluzioni davvero entusiasmanti) ma qui, credetemi, siamo a un livello superiore ancora; una musica talmente bella da poter reggere tranquillamente senza voce (non a caso nelle versioni deluxe dei due dischi, le tracce sono riproposte completamente strumentali).

“Phanerozoic” è quindi, per chi scrive, la frontiera contemporanea del “Nuovo” Metal, capace di recuperare il meglio del passato, aggiungervi nuovi stilemi e calare il tutto in un songwriting essenziale all’interno di un discorso concettuale univoco, incredibilmente affascinante.

Questo è lo standard compositivo che ci presentano i The Ocean. Vediamo chi si farà avanti per sfidarlo…

Phanerozoic I – Palaeozoic

Voto: 9

Canzone top: tutte

Momento top: la sezione centrale di “Silurian: Age of Sea Scorpions”

Canzone flop: nessuna

Etichetta: Metal Blade, 2018

Dati: 7 canzoni, 48’

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Phanerozoic II – Mesozoic / Cenozoic

Voto: 8,5

Canzone top: “Jurassic / Cretaceous”    

Canzone flop: nessuna 

Momento top: l’accelerazione black nella coda di “Pleistocene”

Etichetta: Metal Blade, 2020      

Dati: 8 canzoni, 51’                                        

A cura di Morningrise