Devo fare due premesse. La prima è che sono stato in passato un gran fan dei Kirlian Camera, la seconda è che li ho persi di vista da un po’ di tempo, più o meno da “Nightglory”, nel 2011. La fiamma dell’interesse, tuttavia, si è riaccesa all'improvviso con la notizia di una loro data londinese insieme ai tedeschi In Strict Confidence (seconda tappa, dopo quella di Lipsia dello scorso settembre, del nuovo Black Pyramid Tour).
Questo mi ha portato a scoprirne la recente discografia, con gran piacere - devo aggiungere - visto che i Nostri non hanno mollato la presa continuando a muoversi ad ottimi livelli. Kirlian Camera, del resto, è il classico nome di nicchia che continua ad operare nell’underground con grande professionalità e dedizione alla causa, per questo voglio bene ad Angelo Bergamini ed Elena Alice Fossi, responsabili peraltro di incendiarie esibizioni dal vivo.
Il 229 è un locale assai piccolo e stasera stenta a riempirsi, come ampiamente previsto dal sottoscritto: sebbene il gruppo italiano abbia un profilo di respiro internazionale (più noti all’estero che in madre patria, a dirla tutta), è la Germania la loro vera patria adottiva, dove effettivamente riscuotono un discreto successo e dove di conseguenza si concentrano principalmente le tappe dei loro tour. Cosa aspettarsi dunque da questa strana data londinese?
Di sicuro un ritrovo di nostalgici. Entrare nel 229 stasera è come viaggiare su una macchina del tempo che ci porta in quell'era della musica elettronica in cui la locomotiva kraftwerkiana irrompeva nelle piste da ballo e si scontrava con la cultura dark & gothic. Come ho potuto constatare in altri happening “dark” (penso ai concerti di Fields of Nephilim e Sisters of Mercy) l’età media degli astanti è abbastanza alta, una di quelle rare situazioni in cui posso ancora dire “non sono il più vecchio”. Ancora una volta, ahimè, mi tocca constatare che la darkwave non ha saputo imporsi all’attenzione dei millennial, rimanendo un empireo cristallizzato, culturalmente e anagraficamente, nella fascia di età fra i 40 e i 50 anni, con ovviamente le dovute eccezioni. Il contesto in “piccolo” mette in risalto ulteriori dinamiche: molti sembrano conoscersi, si salutano affettuosamente, chiacchierano cordialmente.
Quelli che non lo fanno sono casi patologici che stanno a testa china in un angolo o con gli occhi sbarrati (uomini soprattutto) a guardare sensuali dark-lady e dark-girl in abiti più che succinti. C’è della malattia, quasi un senso di spergiuro in quegli occhi morbosi, come dire: ehi tu, considerami un poco, abbiamo gli stessi gusti musicali, siamo spiriti affini, esisto! Ma i loro oggetti del desiderio sono o accompagnate dai fidanzati o cianciano divertite in gruppo con personaggi che sembrano guru spirituali di altre epoche appena usciti da una boccia di formalina. Vi è anche qualcuno con abiti vistosi, vedo bastoni, capelli rosa, calze a rete, ma in generale posso dire che al 99,99% prevale l’abito nero, che tu sia uno sfigato o il re della serata. Mi sento a casa sì e no, forse più no che sì, ma almeno stasera sono con un amico, che peraltro non c’entra nulla con questi ambienti, ma che è abbastanza curioso da affrontare una serata del genere. E poi, ovviamente, c’à la musica.
Aprono le danze (se ho inteso bene) i Persephone, duo electro-dark austro-tedesco che non scalfisce la mia attenzione, ma del resto è ancora tempo di stare al bar piuttosto che in “pista”. Stessa cosa potrei dire degli In Strict Confidence, che peraltro ebbi modo di vedere molti anni fa al mitico Siddartha di Prato. Non fu una serata memorabile ed anche stasera l’impressione è che il combo tedesco non sia capace di elevarsi al di sopra dei ranghi della serie B nonostante sia a giro da molti anni. I Nostri si presentano solo in due (almeno l’altra volta c’era una vocalist), il front-man Dennis Ostermann ed uno svogliato Jörg Schelte alle tastiere. Sia quel che sia, il sound danzereccio dei due è più che sufficiente per scaldare i motori: l’oretta a loro disposizione scorre via con scioltezza fra ritmi martellanti e ritornelli anthemici cantati con voce roca da un Ostermann che cerca in tutti i modi di aizzare il pubblico, tutto sommato riuscendoci.
Con una discreta quantità di alcool in corpo ci apprestiamo ad assistere alla esibizione degli headliner, ma ecco che per magia questo live-report si tramuta in una (breve) guida pratica per metallari. Se infatti Kirlian Camera è un nome che da sempre risuona negli ambienti metal, è anche vero che i Nostri non sono conosciuti più di tanto, e dunque quale migliore occasione per presentarli al pubblico di Metal Mirror?
Parma, 1979: Angelo Bergamini fonda i Suicide Commando ma appena un anno dopo è costretto a cambiare nome per un problema di omonimia con una band già esistente, optando per il più suggestivo Kirlian Camera (ispirandosi ad una tecnica fotografica che permetterebbe di catturare il fenomeno delle scariche elettriche coronali, ossia la cosiddetta - e presunta - “aura intorno al corpo dell’uomo”). Bergamini non è solo il fondatore e il principale compositore della band, ma anche l’unico membro stabile di una formazione in perenne mutamento, nonché il pulsante cuore artistico in una carriera più che quarantennale. Se dovessi descriverlo in due parole, mi verrebbe da dire che la sua è una ricerca continuamente sospesa fra sperimentazione e gusto melodico, incarnando da un lato il rigore delle avanguardie elettroniche a cavallo fra anni settanta ed ottanta, e dall’altro le solenni ed epiche visioni di compositori come Ligeti e Vangelis. Molte, in verità, le fonti di ispirazione di un percorso artistico difficilmente classificabile ed in divenire, fra cui anche il rock progressivo (si pensi alle cover di King Crimson e Pink Floyd) dal quale si ereditano la complessità e la maestosità del suono.
Il paradosso è che Bergamini, a scapito del percorso elitario che ha inteso battere, possiede anche doti compositive che gli permettono di scrivere hit di potenziale successo, tanto che ad un certo punto il suo operato è stato notato niente meno che dalla Virgin. Ed è qui che accade un fatto importante che ci permette di comprendere ancora meglio il Bergamini-artista: avviata una collaborazione volta alla pubblicazione di qualche singolo (eravamo verso la metà degli anni ottanta), ma insofferente alle pressioni dell’etichetta verso sonorità più commerciali, il Nostro decise di rinunciare ai vantaggi economici per proseguire in modo indipendente la sua visione artistica, senza compromessi, cosa che gli fa guadagnare un immenso rispetto ai nostri occhi (al pari di un altro artista “puro” di quegli anni, il Federico Fiumani che, con i suoi Diaframma era la punta di diamante della new wave italiana, e che rifiutò la partecipazione alla kermesse sanremese per difendere le proprie prerogative di artista ed autore). Sicuramente Bergamini perse l’occasione di riscuotere il meritato successo, ma lo preferiamo di gran lunga come brillante autore di nicchia: uno status di culto, il suo, che sopravvive ai nostri giorni e che si è consolidato grazie alle attestazioni di stima provenienti dagli addetti ai lavori (molte testimoniano le frequenti collaborazioni con altri importanti nomi della scena dark ed EBM, fra cui citiamo :Wumpscut:, Sixth Comm e Covenant).
Partiamo dicendo che i KC sono stati dei pionieri per quanto riguarda la diffusione di certa musica elettronica in Italia. Il primo album “It Doest’t Matter, Now” del 1983, uscito dopo qualche singolo, affiancava il gelo delle macchine allo spleen decadente della nascente new wave italiana, con sonorità ancora a metà strada fra synth-pop e post-punk. Il sound dei primi Kirlian Camera miscelava sonorità elettroniche e musica leggera italiana con al centro un fascinoso uso di vocalità femminili, aspetto che rimarrà una costante negli anni (centrale, in questa prima fase, il contributo della cantante Simona Buja). Seguirono una serie di singoli che palesavano le capacità di scrittura di Bergamini e il potenziale commerciale della sua musica, e mi riferisco in particolare a “Blue Room” (1985) ed alla stupenda “Heldenplatz” (1987): tappe fondamentali per pervenire al secondo full-lenght e primo capolavoro dei KC, “Eclipse Das Schwarze Denkaml” del 1988. Nel platter si disegnavano i contorni di una darkwave tormentata e struggente, fra secche drum-machine, algide tastiere e malinconiche voci, sia maschili che femminili.
Gli anni novanta avrebbero condotto il progetto alla sua piena maturità artistica con un suono ulteriormente “espanso” ed un trittico di lavori iconici come “Todesengel The Fall of Life” (1991), “Solaris The Last Corridor” (1995) e “Pictures from Eternity Bilder Aus Der Ewigkeit” (1996). Di questa stagione fanno parte anche lavori minori che vale la pena citare come gli EP “Schmerz” (1992) ed “Erinnerung” (1994) che in piccolo andavano a confermare una visione artistica che si emancipava dalle tentazioni commerciali manifestate nella decade precedente. Il sound dei KC si faceva più oscuro ed austero, lasciandosi alle spalle quelle concessioni alla orecchiabilità che avevano caratterizzato i primi anni di attività. I Nostri, in altre parole, si emancipavano dai circoli EBM e synth-pop per avvicinarsi in modo credibile a lidi neo-folk e martial-industrial (svolta che, in seguito, avrebbe procurato alla band qualche controversia di ordine ideologico), senza comunque non alterare la vocazione essenzialmente elettronica della band sia nella scrittura che nell'esecuzione. La musica dei KC, sempre più disillusa e severa nei confronti dei fenomeni di massificazione culturale, si faceva evocatrice di un fascinoso passato appellandosi a tese atmosfere da "cortina di ferro" in tipico stile post-industrial: marce meccaniche e sinfonie sintetiche si mescolavano a ballate folk, umori marziali ed un gusto prediletto per ambientazioni distopiche dal fascinoso gusto sci-fi, fra le scarne declamazioni dello stesso Bergamini ed imperiose od eteree vocalità femminili. Da segnalare l'ingresso in formazione della cantante/tastierista Emilia Lo Jacono, che sarebbe stato il primo membro un poco più stabile ad affiancare Bergamini nella sua crociata artistica.
Con il nuovo millennio, infine, si avrebbe avuto l’avvio della terza incarnazione artistica dei KC, quella sancita dal sodalizio con la cantante/compositrice Elena Alice Fossi. Di questa rinnovata giovinezza artistica mi sento di citare almeno un paio di lavori degni di nota, “Invisible Front.2005” (2004) e “Coroner’s Sun” (2006), ma c’è da dire che di vere cadute di stile i KC non ne hanno mai avute, pervenendo ai giorni nostri in forma smagliante e sempre rilasciando lavori curati e sopra la media (si pensi ai recenti “Hologram Moon” del 2018 e “Cold Pills (Scarlet Gate of Toxic Daybreak)” del 2021). Quello che la Fossi ha portato in dote, oltre che ad una voce potente (ai limiti della cantante d'opera) ed un gran carisma, è anche una maggior orecchiabilità ed un ritorno al synth-pop, indirizzo che comunque viene ricondotto in modo intelligente entro le consuete sperimentazioni elettroniche che sono da sempre prerogativa di Bergamini, fra momenti più evocativi ed irresistibili cavalcate EBM. Più recentemente i KC si sono consolidati come quartetto, includendo la bassista Mia Wallace e il chitarrista Alessandro Comerio - innesto che, almeno nelle prove più recenti, ha comportato un indurimento ed un ispessimento del sound. Per chi fosse interessato ad approfondire, suggerisco la seguente playlist:
1) “Blue Room” (“Blue Room” single, 1985)
2) “Heldenplatz” (“Heldenplatz” single, 1987)
3) “Eclipse” (“Eclipse das Schwarze Denkmal”, 1988)
4) “Erinnerung” (“Erinnerung” EP, 1994)
5) “Ascension” (“Pictures from Eternity”, 1996)
6) "Kaalk" (“Pictures from Eternity”, 1996)
7) “K-Pax” (“Invisible Front.2005”, 2004)
8) “Nightglory” (“Nightglory”, 2011)
9) “Sky Collapse” (“Hologram Moon”, 2018)
10) “The 8th President" (“Cold Pills”, 2021)
Bene, non faccio in tempo a dire “quartetto” che con delusione noto che a presentarsi sul palco sono in tre. Manca il chitarrista Comerio e un po’ mi spiace perché dal vivo la sua chitarra rappresenta indubbiamente una marcia in più. Quanto alla performance di Mia Wallace (che attendevo con curiosità visto che la bassista aveva suonato negli Abbath e nei Triumph of Death di Tom G. Warrior) si è rivelata più scena che sostanza. Ma francamente a contare più di ogni altra cosa è l'operato di Angelo Bergamini ed Elena Alice Fossi. Noto che il Bergamini si è fatto crescere una lunga barba bianca, finendo per divenire una ideale via di mezzo fra il Rob Halford di oggi e lo Steven Stapleton (Nurse with Wound) di un tempo. Pare rilassato, come del resto lo è la sorridente Fossi, raggiante nel suo attillato abito in latex nero, dark-lady di gran classe ed una presenza a dir poco magnetica.
La data londinese, come già preannunciato sulle pagine di Facebook, è dedicata alla causa dell’attivista Julian Assange, attualmente detenuto in un carcere proprio a Londra: non altro che l’ennesimo sostegno da parte della band alla libertà di espressione contro le forme di potere costituito. I Nostri concretizzano il loro messaggio elargendo una sequela di pezzi micidiali che si susseguono incalzanti senza lasciar all'ascoltatore il tempo di respirare e con suggestive proiezioni sullo sfondo. La mancanza della chitarra fa sì che i Nostri ci restituiscano un sound elettronico al 100%, con i vari classici che stasera vestono l’abito di epiche cavalcate-disco al limite della techno. Non ci stupiamo dunque se i brani acquisiscano stasera un’ulteriore forma: la musica dei KC è fluida ed oggetto di continua rivisitazione da parte della band stessa (si pensi ai frequenti remix, alle versioni alternative via via realizzate ed in particolare all’imponente operazione antologica “Shadow Mission Held V” del 2009).
Fanno eccezione gli umori marziali dell’arcigna “Heileger Regen” (in verità un pezzo del repertorio degli Stalingrad Valkyrie, side-project degli stessi Bergamini e Fossi) e il gospel anthemico della bombastica “Hellfire” (con il suo incipit ritmico che ricorda la “We Will Rock You” dei Queen – un pallino di Bergamini, evidentemente, visto che il brano fu traviato già in passato attraverso una torbida opera di trasfigurazione degna dei migliori Laibach). Per il resto i brani - vecchi e nuovi - tendono a fondersi in una amalgama "disco-industrial" dal groove contagioso ed animata dalle maestose evoluzioni canore della Fossi, la quale accompagna il canto con gesti lenti ed evocativi, mentre il Bergamini, divertito, si pavoneggia come un carciofo dietro alla consolle.
“Heldenplatz”, “K-Pax” e “Nightglory” svettano in una scaletta serrata dove i brani più recenti non sfigurano accanto alle chicche del passato (si pensi all’epica “Sky Collapse” che ad oggi possiamo di diritto annoverare fra i classici della band). Qualche tassello fondamentale del repertorio dei KC manca all’appello, anzi l’impressione è che il concerto non sia durato abbastanza (non sono stato lì con il cronometro in mano, ma credo che i Nostri abbiano suonato un’oretta scarsa – la band poi si scuserà tramite le pagine di Facebook per aver dovuto ridurre la setlist per motivi di ordine maggiore ma non specificati).
La mia idea è che quella londinese sia stata un divertissement off-tour che i Nostri si son concessi, chissà, forse perché si trovavano a Londra per altri motivi. Peccato anche per l'assenza di una chitarra sul palco (qualche giorno dopo sarebbe stato annunciato l'ingresso in organico della chitarrista italo-cubana Thalia Bellazzecca, assoldata per supportare la band in vista di un nuovo e più corposo blocco di date programmate per dicembre in Germania ed Austria). Quello che mi lascia perplesso, più che altro, è che se nemmeno in un contesto di super nicchia come questo, con una band di stra-culto come questa, non si può avere un “fuori programma”, un bis in più, o addirittura la possibilità di salutare personalmente i musicisti (a parte la Wallace, sia Fossi che Bergamini non si sono palesati fra il pubblico dopo il concerto, nonostante la serata proseguisse con un DJ-set), se allora niente di "regalato" è lecito nemmeno in queste circostanze, allora il mondo della musica è divenuto per davvero qualcosa di freddo e spietato (ma forse la colpa è solo di una città fredda e spietata come Londra...).
Tolta questa nota di rammarico, la serata lascia in bocca un buon sapore, tanto che se ci fosse stato un altro concerto dei KC il giorno dopo, ci sarei andato senza esitazione. Questo per la professionalità, per la tenuta sul palco dei musicisti, per i brani eccelsi che compongono il loro repertorio: del resto il fatto che stasera non fossimo in uno stadio ma in un piccolo locale con un numero contenuto di persone, è stata la condizione ideale di assistere ad una ottima esibizione di una grandissima band in un contesto intimo come raramente può capitare.
Bentornati (nella mia vita...) Kirlian Camera, alla prossima!