Venticinquesima puntata: Sterbend - "Dwelling Lifeless" (2006)
Devo essere sincero, se questo album avesse avuto un'altra copertina, non so se lo avrei incluso nella rassegna. Se vi fosse stato un braccio sanguinante o una semplice foresta, credo che avrei fatto spazio a qualcun altro di più meritevole, ma cazzo, come facciamo a fare a meno di questa copertina nel nostro viaggio all'interno del depressive black metal? Che non è un viaggio solo musicale, ma anche lirico, concettuale ed iconografico.
Un gelido paesaggio invernale, fra neve ed alberi spogli che lanciano i loro rami rinsecchiti verso il cielo come grida di dolore. Tre corvacci, di cui due appollaiati su un ramo, il terzo che sta arrivando. Poco sotto, l'inquietante sagoma di un uomo che pende impiccato. In basso a destra, il titolo dell'album "Dwelling Lifeless" che non ha certo bisogno di traduzioni; in alto a sinistra il minaccioso logo della band, Sterbend, che in tedesco significa morente/moribondo. Cosa ci può essere di più maledettamente DBM?
L'atmosfera desolante della copertina, realizzata a suon di spesse pennellate in un torbido bianco e nero, ricorda anche lo stile del pittore norvegese Theodor Kittelsen che conosciamo grazie alle copertine di Burzum. Ovviamente Varg Vikernes non avrebbe mai scelto di esporre in copertina una esplicitazione così vivida dell'atto di auto-annientamento, essendo i presupposti concettuali della sua musica molto diversi da quelli professati dal filone depressive, ma si è visto come egli sia stato uno dei principali ispiratori, del genere: un concetto che comprendiamo chiaramente nel momento in cui ci appropinquiamo all'ascolto di questo album. Ci renderemo infatti presto conto che Burzum è l'influenza centrale nello sviluppo della visione artistica di questi tedeschi.
Fin qui nulla di male, nella misura in cui tutti nel DBM, chi più chi meno, hanno copiato...ehm, si sono ispirati alla musica di Burzum: qualcuno prendendolo come punto di partenza per costruire qualcosa di personale, altri invece non discostandosi troppo da quanto prodotto da Vikernes con i suoi primi lavori, con tutta la gamma di sfumature che c'è nel mezzo. Gli Sterbend fanno indubbiamente parte degli emuli più calligrafici dell'arte di Vikernes, rasentando in un paio di frangenti il plagio vero e proprio, e vedremo poi nel dettaglio di cosa si tratta, ma intanto andiamo a conoscerli.
Gli Sterbend hanno avuto vita breve, rimanendo attivi dal 2000 al 2008 e rilasciando solo una demo ("Einsamkeit", del 2001) e il qui presente "Dwelling Lifeless" del 2006. La formazione vede la presenza di una nostra recente conoscenza: Winterheart, batterista che abbiamo incontrato trattando i Nyktalgia, ma che ha anche militato in altre formazioni black metal tedesche come Armagedda e Krieg. Tutte e tre le formazioni sono state anche frequentate dal chitarrista/bassista Asmodaios (soprattutto come guest musician dal vivo), pur non essendone mai stato un membro ufficiale. Il cantante Typhon, invece, non sembra vantare trascorsi degni di nota. Alle registrazioni di "Dwelling Lifeless", infine, parteciparono anche gli altri componenti dei Nyktalgia (Skjeld e Malfeitor, rispettivamente alla seconda voce ed alla chitarra in un brano) e Robert Crusen alias Ixithra (Demoncy, Mysterian, Profane Grace e Raven's Bane) alle tastiere.
Con questo dispiegamento di forze i Nostri realizzano un notevole album di DBM, al 90% burzumiano ma con un 10% di variatio che risiede nei temi trattati dai testi (indovinate un po' di cosa parlano?) e nella vocazione ad esasperare ed inasprire ulteriormente i toni in ottica suicidal/depressive. Aspetto, quest'ultimo, che si traduce in vocalità ancora più acute e lancinanti, un incupimento ulteriore delle atmosfere (cupezza alimentata da "escamotage scenografici" come la riproduzione della pioggia, del sibilare del vento, del rintocco di campane funeree, ecc.) e l'espressione plateale del dolore che potrebbe rievocare in determinati passaggi certe intuizioni dei Silencer (si pensi ai momenti in cui la voce è lasciata da sola ad agonizzare o nel silenzio o su soffici tappeti di chitarra arpeggiata).
Se l'intro funereo a base di tastiere, pioggia, ululati e campanacci a morto è perfetto nell'introdurre gli umori dell'album, ecco che con l'opener "Depressing Paths Through Fullmoon Forests" la band fa il primo autogol: il giro di tastiere/chitarra richiama in modo palese quello di "Det Som en Gang Var" (il brano), eseguito leggermente variato ed un pochetto più veloce. Non il miglior biglietto da visita, visto che il paragone con l'originale è inevitabile (ed è inutile aggiungere che gli Stenberd perdono impietosamente il confronto).
Quello che potrebbe sembrare un tributo al maestro norvegese diviene invece chiaramente una tendenza all'emulazione in quanto più avanti ci imbatteremo in un altro saccheggio a spese di Burzum: il riff di "Beholding the Daughters of the Firmament" (questa volta da "Filosofem") viene riproposto in "...Left to Weep and Mourn". Ma questa volta, fortunatamente, le cose andranno decisamente meglio, in quanto la traccia (ben quattordici minuti) è forse il miglior momento del lotto: un capolavoro di arte burzumiana traslato alle esigenze espressive del DBM, con un incipit in cui chitarre e tastiere si intrecciano in prelibatezze ambient per poi evolversi in un saliscendi emotivo oscillante fra riffing imponente e maestoso, arpeggi elettrificati e ripartenze in doppia-cassa.
E' un peccato fossilizzarsi su questi due episodi (doveroso comunque segnalarli), in quanto l'album nel complesso fluisce bene, mostrando un riffing maturo ed un drumming calzante e dinamico capace di tenere desta l'attenzione per l'estesa durata delle composizioni. Convince dietro al microfono Typhus, abile nel non sfiancare l'ascoltatore pur procedendo con uno stile uniforme, monotono, fatto di note altissime che notoriamente rendono difficile la vita ad ogni cantante. Suggestivi, in particolare, si riveleranno i passaggi in cui più voci si accavallano, restituendo scenari di una mestizia assoluta, come per esempio avviene in tutta la prima parte di "Einsamkeit" o quando saettanti acuti verranno lanciati nel bel mezzo di quieti scenari, come durante l'arpeggio bagnato di pioggia e rombar di tuoni nella articolata "Mysteries".
Rispetto alle composizioni firmate da Vikernes, quelle degli Stemberd mostrano un maggiore varietà, pur rimanendo la ripetizione e l'alienazione due caratteri centrali nella composizione dei brani. Del valore di Winterheart dietro alle pelli, del resto, non avevamo dubbi, avendone avuto un assaggio con i Nyktalgia. I tempi ovviamente sono mediamente lenti, ma qua e là si avvista qualche accelerazione e persino qualche tupa-tupa improvviso, niente tuttavia che esca dal perimetro tracciato da Burzum nei suoi primi quattro seminali lavori.
Perché dunque impegnare un'ora ed un quarto del nostro tempo per ascoltare "Dwelling Lifeless"? Perché nonostante il suo carattere derivativo, l'album dimostra una buona padronanza nel rimodellare le istanze burzumiane calandole in un contesto di afflizione sonora e degrado emotivo che lo rende un tomo imperdibile per gli aficionados di certe sonorità. Non è un caso che con il tempo l'opera abbia assunto lo status di piccolo classico del DBM: "Dwelling Lifeless" rimane un capolavoro di attitudine e determinazione, la determinazione con cui lo stile del DBM viene portato avanti a tutti i livelli, e musicale e lirico ed iconografico. C'è anche da dire che all'epoca il mondo era "orfano" del black metal di Varg Vikernes che scontava la sua pena in carcere e rilasciava materiale ambient. E lavori come questo potevano essere un modo per non sentirne troppo la mancanza...
Chissà come si sarebbe evoluto in seguito il discorso avviato dagli Sterbend con "Dwelling Lifeless": come già accennato, esso sarebbe rimasto l'unico lascito discografico della band tedesca, dissoltasi nel 2008 all'indomani della morte di Asmodaios per una rovinosa caduta dalle scale, un'altra vittima - accidentale o meno - che nutre la lunga lista di decessi che caratterizza l'epopea del depressive black metal...