"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

1 ago 2025

SCORPIONS - LIVE AT LUCCA SUMMER FESTIVAL (10/07/2025)


Assieme al latte del biberon. O, come per osmosi, semplicemente respirando. Degustati e digeriti più o meno in dosi omeopatiche sin dalla nostra neonatalità musicale.

Gli Scorpions.

Se, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, i Queen sono stati, per tantissimi di noi, una delle "porte" più utilizzate per approcciarsi al rock prima e al metallo dopo, gli Scorpions sono stati quella band che, volenti o nolenti, tutti noi abbiamo introiettato.

Ascoltavi thrash? Ci mettevi in mezzo, qua e là, anche un ascolto degli Scorpions.

Amavi maggiormente hard rock ed heavy classico? Gli scorpioni erano un ascolto altrettanto indispensabile.

Eri attratto dalla brutalità del death? Ok, ma i tedeschi facevano comunque parte della tua discografia. Complementariamente.

Insomma, Meine & co. tutti quanti li abbiamo masticati. Chi in maniera più strutturata, costruendone e assimilando la loro discografia. Altri in modo più ‘sporadico’ tramite greatest hits e/o qualche live.

Minimo comun denominatore di intere generazioni di rockers e metalheads. E dei quali si conoscono a memoria highlights e ritornelli. Una band che ha fatto scuola, anche per grandi nomi più o meni coevi (a partire dai Kiss), su cosa volesse dire essere una rock band dal successo planetario, su come si stesse su un palco e scaldare i cuori degli astanti.

E così, lo scorso 10 luglio, l’occasione era troppo ghiotta per lasciarceli sfuggire: Lucca Summer Festival, 160 km da casa, all’aria aperta, in una città splendida che non visitavo dai tempi del Liceo, quando mi vi recavo per partecipare alla c.d. Fiera del Fumetto (prima che diventasse l’attuale ‘macello’ del Lucca Comics & Games).

L’attuale tour planetario della band di Hannover celebra i 60 anni dalla loro formazione. Ecco, lo diciamo subito: 60 anni fittizi, posto che il primo album dei Nostri, “Lonesome Crow” è del ’72. Ma, lo abbiamo capito, ai gruppi piace esagerare e datare la loro esistenza dai primissimi vagiti di formazione, senza ancora neppure una demo o un EP pubblicato (anche gli Iron hanno festeggiato quest’anno dei “fittizi” 50 anni di vita).

Ad ogni modo, poco importa: siamo qui a omaggiare gli Scorpioni, consci che, dopo i recenti malanni laringei di Klaus patiti la scorsa primavera in Sud America, altre occasioni per vederli on stage in Italia, probabilmente, non ce ne saranno in futuro. 

Arriviamo così in zona Piazza Napoleone con un paio d’ore abbondanti d’anticipo. Tempo sereno, asciutto e aria fresca che accarezza la pelle. Molto bene: scongiurata la ‘caldazza’ devastante che ha investito l’Italia e l’Europa tra fine giugno e inizio luglio. Per le piazze, vie e vicoli della splendida cittadina toscana notiamo già parecchia “fauna rockettara” che affolla i dehors di bar e trattorie e pasteggia col volto disteso in attesa del concerto. Le magliette dei tedeschi la fanno numericamente da padrone, insidiate in quantità da quelle di Kiss e AC/DC. Si respira, come prevedibile, aria rock e il sottoscritto con la maglietta dei Nevermore, e il nostro Dottore con quella dei Mayhem, paiamo alquanto fuori luogo (ma sarà una piacevole sorpresa vedere accanto a noi un ragazzone alto quasi 2 metri con una t-shirt di Burzum col quale ci si scambierà occhiata d’intesa blackish).

La piazza, altrimenti detta Piazza Grande, è splendida, contornata da file d’alberi davanti a palazzi signorili d’epoca. Il palco è posto davanti all’elegante Palazzo Ducale, attuale sede della Provincia.

Entriamo, ahinoi, per impegni extra-musicali, un po’ troppo a ridosso dell’orario di inizio e questo non ci consente di essere sufficientemente avanti, impallati peraltro dalla statua di Maria Luisa Borbone, posta al centro del rettangolo della venue. Insomma, non il massimo della vita ma tant’è…

Quando si spengono le luci, i maxischermi rimandano un filmato celebrativo di questi 60 anni di vita, tra immagini d’epoca (Meine col tamburello che aizza la platea, i membri del gruppo vestiti con suite attillatissime  e sgargianti, la band che, con stampato il sorriso dei giovani che hanno in pugno il mondo e il futuro, sale su aerei a elica che paiono stare assieme per miracolo); e poi: i viaggi in oriente tra fan invasati che chiedono autografi, panoramiche di palazzetti pieni come un uovo e, infine, dati auto-incensanti una carriera difficilmente eguagliabile (“over 5000 concerts”, “27 world tours in 83 countries”) che vanno a esplicitare in modo plastico la grandezza dei tedeschi.

Al termine del video veniamo investiti da una tempesta di fulmini, coltri di nubi minacciose, un tripudio di tuoni e luci fino a che, dal videowall centrale si affaccia il Pianeta Blu, la Terra vista dallo spazio che, kubrickianamente, sarà il biglietto da visita per introdurre l’opener della serata, la toccante “Coming Home”: Klaus entra lemme lemme sul palco, il pubblico si emoziona e canta a memoria il testo. Affianco a me guardo con tenerezza un signore sui 65 che, mimando un goffo air-guitaring, doppia il Meine in modo stonatissimo, peggio di quanto potrebbe fare una cornacchia come il sottoscritto (e ce ne vuole, credetemi…).

A colpirmi sin da subito, mi piace sottolinearlo, sono gli splendidi filmati che accompagnano i brani: veri e propri mini-film che, in simbiosi con le luci dello stage, rimandano verso il pubblico uno scintillante gioco di flashes e colori che sono una gioia per gli occhi. Laddove il brano riproposto non ha un filmato ad hoc, gli schermi restituiscono i primi piani in diretta dei musicisti, arricchiti da giochi di luce, fiamme, scintille e bianchi&neri fumettosi davvero ben riusciti.

Da questo punto di vista, spettacolo promosso a pieni voti.

Così come promossa a pieni voti è la scelta della setlist che, come celebrazione storica vuole, va a ripescare a piene mani dal periodo d’oro dei Nostri, cioè il lustro 1979-1984: dal quartetto di full lenght di quel periodo (“Lovedrive”, “Animal Magnetism”, “Blackout” e “Love at First Sting”) verranno tratti ben 11 brani su 15 con la sola, ottima “Gas in the Tank” a rappresentare l’ultima fatica discografica, “Rock Believer” (2022) e il classico terzetto, immancabile, da “Crazy World” (1990): “Send Me an Angel”, “Tease Me Please Me” e “Wind of Change” (riproposta in una struggente versione alternativa molto apprezzata da tutti noi) a ricordare che 35 anni fa quel disco mise, per gli Scorpions, il bollo definitivo sullo status di Mostro Sacro dell’hard rock a livello mondiale.

Allo scopo di far riprendere fiato a Klaus, la band alterna strumentali e assoli. Ed è proprio il drum solo dell’inossidabile Mikkey Dee a rappresentare uno degli highlight della serata: 4 minuti di potenza heavy che si chiude con un simpatico ed emozionante video in cui, da una gigantesca slot machine, appare prima il faccione di Lemmy e un ace of spades, e, successivamente, il jackpot con cinque scorpioni che si tramutano nei cinque volti dei musicisti: tutto molto bello ed emozionante!

Dolenti note? Si. O meglio, dolente nota, al singolare. Se, infatti, la band gira che è un piacere, trainata dal drumming possente di Dee e dal basso pulsante del relativamente giovane polacco Paweł Mąciwoda (che con i suoi 58 anni sembra un giuovinotto rispetto ai colleghi), e se le due asce di Schenker e Jabs reggono alla grande per qualità e impatto, il nostro amato Meine mostra la corda. Anzi, mostra innanzitutto, una volta tolti gli occhiali scuri dopo circa 15’ di concerto, uno sguardo da ottantenne che fa una certa impressione. Se l’artritica rigidità nei movimenti ce la si poteva aspettare, a noi è parsa ancor più trista l’immagine del suo sguardo, che oscilla tra il vacuamente fisso e il su-dai-concentrati-sennò-rischi-di-fartela-addosso.  Il tutto detto con rispetto, eh, ci tengo a precisare: arrivarci a quell’età girando il mondo sui palchi davanti a decine di migliaia di persone!

E la voce? Beh, non so se dovuto ai problemi di salute di cui sopra o per altri motivi, l’ugola del classe ’48 fa fatica a carburare, non arriva sui toni alti e la sua inconfondibile timbrica, che è parte integrante e imprescindibile del marchio Scorpions, fatica ad emergere (in particolare nell’accoppiata iniziale “Make It Real – “The Zoo”). Le cose, va detto, andranno meglio con le ballad (“I’m Leaving You” momento magico per me!) e nella parte finale dello show marchiato a fuoco da un rosario di hits che fanno impallidire il 99% delle rock band in circolazione: “Tease Me Please Me”, “Big City Nights” e “Still Loving You” chiudono il set per lasciare poco dopo spazio ai bis rappresentati dalle immarcescibili “Blackout” e “Rock You Like an Hurricane”. Ecchevelodicoaffa': tripudio!

Infatti, al termine, la gente applaude convinta, la band indugia sul palco, visibilmente grata e soddisfatta della serata. Rimane sul palco più di tutti proprio Mikkey che gigioneggia con le prime file, consapevole di aver riconosciuto dagli astanti un ruolo cruciale nell’economia del sound della band.

Noi ci allontaniamo con un sorriso appagto in volto, consapevoli di aver assistito ad uno show importante, solamente venato da una malinconia dovuta alla consapevolezza del tempo che fugge.

Un tempo che fugge espresso davanti a noi dal volto di Klaus. E coscienti che quel volto era solo un rimando del nostro, ormai invecchiato tanto quanto rispetto alle prime volte in cui, nella nostra cameretta, da giovani adolescenti, ascoltavamo le musicassette degli Scorpions.

Compagni di viaggio di una vita.

Compagni di viaggio per sempre.

Si: we’re…still loving them!

A cura di Morningrise