27 ago 2023

IL METAL NON RIDE - VII. L'AUTO RUBATA DEI GWAR

 


I Gwar sono stati il mio primo impatto con il metal parodistico. Esaltati a priori dalle testate giornalistiche di allora come geniacci soltanto perché parodiavano il metal. Il motivo: uno dei grandi complessi del metal, ossia quello di dover ironizzare su di sé per sentirsi a posto con la coscienza. Corollario di questo complesso: è geniale chiunque la butti sul comico e parodistico, deplorevole chi si prende sul serio o addirittura parla di spiritualità all'interno del metal. Già all'epoca non mi era chiaro il confine tra il parossismo serio, tipo gli australiani Sadistik Exekution, i quali buttano a volte sul caricaturale qualcosa di fondamentalmente serio, e i gruppi-parodia, che costruiscono con serietà qualcosa di fondamentalmente scherzoso.

Comunque sia, questi Gwar erano presentati come il massimo dello shock-rock a livello di allestimenti scenici, mentre sul piano musicale non si riusciva a capire esattamente a cosa questo potesse corrispondere: grindcore, hardcore-punk di (s)pregevole fattura o magari invece metal-pop di grana grossa?

22 ago 2023

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: LES LEGIONS NOIRES

Quinta puntata: Le Légions Noires (1993 - 1997)

Siamo ancora in compagnia di quei nomi che - chi in un modo, chi in un altro - hanno indirizzato il black metal verso i lidi del depressive. In tal contesto ci sembra opportuno menzionare anche la strana storia de Le Légions Noires

Non si tratta di una band nello specifico, ma di una congrega di musicisti che ha operato in Francia nel corso degli anni novanta in condizioni assolutamente originali: una gestazione artistica che per molto tempo è rimasta ignota ai più - e vedremo perché - per poi essere scoperta e rivalutata nell'era di internet. Quelle produzioni così rozze ed autoreferenziali, così sorde innanzi alle esigenze dell'ascoltatore, nondimeno, forniranno più di uno spunto a chi, anni dopo, deciderà di incamminarsi sulla via del depressive black metal....

18 ago 2023

BLACKIE LAWLESS E PIRANDELLO: LA RICERCA DELL'IDENTITA' OLTRE L'IDOLO CREMISI E IL DIO AL NEON

 




Blackie Lawless è da sempre ossessionato dal tema dell'identità. In una fase iniziale dissimula o, meglio, ci si avvicina per gradi, tramite il tema collaterale della maschera. I personaggi di Lawless coniugano la figura del rocker motociclista d'assalto a quella dell'erotomane sado-maso

Di necessità virtù: il profilo di Lawless non fa pensare né a quello di un motociclista legnoso e misantropo, né a quello di un sex symbol; e allora ci butta sopra un bel po' di salsa grottesca, circense. Il suo personaggio è un motociclista con il pisello di fuori che passa attraverso un tunnel degli orrori. Quale messaggio potrebbe veicolare un simile teatrino? Nessuno, nella comune percezione. 

Ma l'inquietudine concettuale di Lawless già ribolle in questo calderone anni '80, fin dall'opener dell'esordio omonimo (1984): "I Wanna Be Somebody". Prima ancora di decidere come presentarsi, la maschera carnevalesca di Lawless pone la sua istanza, sotto l'apparenza del classico inno “wanna-be” delle giovani generazioni ribelli e inquiete. Il sospetto poteva venire perché, subito dopo questa dichiarazione di intenti, si susseguono una teoria di personaggi un po' tutti uguali che in realtà sembrano non voler divenire proprio nessuno, nel nulla di una consumazione di una fuga continua da ogni vincolo e placcaggio da parte della società. Le maschere di Lawless sono innanzitutto travestimenti della natura fondamentale: un uomo ossessionato da un'identità definitiva.

15 ago 2023

FERRAGOSTO CON KING DUDE

 





Cosa possono avere in comune Johnny Cash, Elvis Presley, Ian Curtis, Douglas P. e...gli Entombed?

Si lascino un attimo da parte questi ultimi e ci si focalizzi sui nomi che li precedono: questi sono i riferimenti stilistici per inquadrare King Dude, creatura personale di Thomas Jefferson Cowgill (TG Cowgill per gli amici), con trascorsi nel metal estremo, ma autore di una proposta intrigante che mette insieme americana, folk apocalittico e post-punk. Ecco come ama descriversi lui stesso sulle pagine del suo sito ufficiale:


King Dude is a blue-eyed Mephistopheles with an acoustic guitar; he dresses like Johnny Cash and sings like he cut in line in front of Robert Johnson at the crossroads. His voice can shift from haunting and vulnerable to thunderous near-Biblical fury in the space of a breath, marrying the sacred to the profane with pomp, circumstance, and a curled lip. He sings about death the way he sings about fucking. With inspiration torn from country, blues, Americana, and British folk (and a background in heavy metal), King Dude’s raw, hypnotic hymns channel the past while staring straight ahead into a revelatory future.

Benissimo: una volta tanto, schiacciati fra il sole rovente del deserto e le fiamme dell'Inferno, possiamo celebrare come si deve un soleggiato Ferragosto! 

12 ago 2023

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: MANES





Quarta puntata: Manes - Demos (1993 - 1995)

Insieme ai Forgotten Woods, i Manes hanno rappresentato una entità anomala per la Norvegia della prima metà degli anni novanta. Siamo a Tromsø, lontani dai riflettori che proiettavano la loro luce accecante su Oslo e Bergen, le città-natale dei due maggiori esponenti del famigerato Inner Circle: il guru Euronymous e il suo alter-ego (o antitesi) Count Grishnackh (alias Varg Vikernes). 

Contrariamente ai Forgotten Woods, tuttavia, i Manes non hanno un "As the Wolves Gather" (1994) o un "The Curse of Mankind" (1996) da esibire con orgoglio: nel loro caso ci dobbiamo fidare sulla parola ed accettare come atto di fede che le loro tre storiche demo ("Maanens Natt", "Ned i Stillheten" e "Til Kongens Grav de Døde Vandrer"), uscite fra il '93 e il '95, siano effettivamente circolate e, soprattutto, siano state significative per qualcuno... 

8 ago 2023

COVEN: OCCULT ROCK, FALSA PARTENZA!




Doom al femminile. Non che la cosa sia una novità, per carità, sono molti anni oramai che il sottobosco psycho/doom metallico è infestato da oscure signore, ma è un dato di fatto che il trend si sia rinvigorito in tempi recenti: ce ne eravamo accorti con Ruby the Hatchet, The Oath, Lucifer, King Witch, e poi ne abbiamo avuto conferma con splendide realtà come Blood Ceremony e Messa. Chissà, forse questa riscossa del gentil sesso è stata incoraggiata dall'interesse crescente che si è generato negli ultimi anni intorno a nomi di brillanti interpreti femminili come Chelsea Wolfe, Anna Von Hausswolff ed Emma Ruth Rundle, ma in molti casi i modelli di riferimento sono ancora da rinvenire nel calderone degli anni sessanta e settanta. Un discorso che non si ferma ai Black Sabbath, come dimostrano proprio gli ultimi lavori dei sopra citati Blood Ceremony e Messa, sempre più convintamente lontani da sonorità metal e maggiormente interessati ad esplorare scenari progressivi e psichedelici. 

Proprio a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, in un crocevia che vedeva incontrarsi psichedelia, progressive rock, hard sounds di vario tipo ed oscuro folclore, prendevano corpo diverse pulsioni difficilmente classificabili che poi, in un momento successivo, sarebbero confluite in quello che avremmo definito metal. Fra le tendenze del periodo c'era anche una branca di artisti particolarmente interessati ai temi dell'occultismo, poi messi sotto l'ombrello omnicomprensivo dell'occult rock (termine vago che raccoglieva un gruppo assai eterogeneo di nomi accomunati più da intenti concettuali che stilistici). Fra questi c'erano gli americani Coven, capitanati dalla fatale Jinx Dawson, destinata a divenire un punto di riferimento imprescindibile per tutte le dark-lady che sarebbero venute dopo. 

3 ago 2023

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: FORGOTTEN WOODS


Terza puntata: Forgotten Woods - "As the Wolves Gather" (1994)

Si è descritta la genesi del depressive black metal nei termini di una deviazione dalla strada maestra ed abbiamo visto Burzum come l'autore di questa prima sterzata, con un suono indubbiamente più cupo, lento e rarefatto rispetto ai suoi contemporanei. Ci sarebbero voluti ancora diversi anni affinché si potesse iniziare a parlare di DBM come genere a sé stante: in molti ancora avrebbero dovuto percorrere, spianare e rendere autonomo quel sentiero. 

Fra i primi che decisero di percorrerlo ci furono senz'altro i Forgotten Woods, che nel corso degli anni novanta avrebbero rilasciato due veri gioielli, "As the Wolves Gather" (1994) e "The Curse of Mankind" (1996), divenuti con il tempo cruciali per i progressi del DBM.