“Ho vissuto bene perché sono sempre andata incontro alle mie necessità, alle mie debolezze e ai miei desideri”. Una dichiarazione libertina, specie come congedo dalla vita. Un momento in cui le religioni vorrebbero che si chiedesse scusa e pietà a Dio per aver vissuto, diviene rivendicazione di quanto la soddisfazione continuata e libera convenga in un bilancio finale.
Ma per essere liberamente soddisfatti è come se si dovesse costruire un vallo, una muraglia tra sé e il mondo. Non un muro divisorio, per isolarsi materialmente, ma una sorta di bolla che ti pone in una dimensione diversa, per pochi, anzi solo per te. Aristocrazia estrema, radicale. Quella che ti dice “io per me sono quello che merita di più”.
Ma come si fa a
conciliare questo spirito elitario, individualista, questa necessità
di distinguersi e isolarsi dal resto del mondo, con un'altrettanto
irrinunciabile spinta a farsi conoscere, a mostrarsi?
Far parlare di sé ma
rimanere inaccessibili, sommi, proibiti. Questa è l'essenza
dell'aristocrazia, intesa come atteggiamento. L'artista aristocratico
non vuole condividere se stesso con il mondo, ma solo lasciarsi
fiutare, scrutare, spiare. L'artista aristocratico dà un valore al
trono, alla cattedra, al palco come posizione che crea il
personaggio. Non racconta. Inoltre, l'artista aristocratico, forte
della sua posizione di “libertà” morale e materiale, può
permettersi di registrare dischi alla cazzo di cane. E' l'identico
concetto per cui una nobile romana si può permettere di fare un
gavettone di piscio a Sgarbi, come fece appunto Marina, rivendicando
il suo diritto a non sottostare a presunti giudizi di qualità sulle
sue opere.
Non deve quindi più
stupire che i nobili del black metal siano quelli che registrano
lo-fi, perché utilizzano proprio un principio aristocratico. Far
intuire la ricchezza, l'abbonandanza dietro l'essenziale, al limite
il nulla. L'umano dietro il nulla, dietro lo scarno, dietro
l'accenno, la spoglia. Tutta l'estetica negativa, che nel black metal
“old school” utilizza cliché minimalisti (come il corpse-paint,
le foto sgranate in bianco e nero, i negativi sovraesposti etc) vuol
far venire la curiosità che più si nega, più c'è dietro da
scoprire, anche se non si sa cosa.
In particolare, ancor più
di Euronymous, furono le Legioni Nere della Bretagna a chiarire questo
concetto: il black metaller autentico doveva essere sì essenziale e
lo-fi, ma anche alto e nascosto. Così come i vampiri, doveva
coesistere il marciume e la preziosità. Nomi impronunciabili,
neolingua fittizia, gruppi fittizi in cui si rimescolavano i pochi
componenti del movimento: Mutiilation, Brenoritvrezorkre, Vérmyapre Kommando, Mogoutre etc...una ventina di progetti senz'anima, neanche così diversi tra loro, e fatti spesso dalle stesse persone, come le avventure di un libertino appunto.
Il tipico aristocratico, alla fine dei conti, è quello che non ha fatto niente di particolare, tranne costruire intorno a sé l'immagine di colui che custodisce la chiave di un tesoro nascosto. Il tesoro è talmente indipendente e assoluto, che poi il nobile può anche scendere a livelli sub-proletari, prostituendosi per comprare la cocaina al partner, o per gioco, come faceva l'imperatrice Messalina. La donna aristocratica può essere additata come ninfomane, e non perdere un briciolo di fascino, poiché il suo fascino è in ciò che ognuno intuisce, ognuno suggerisce, ognuno spera e sogna, ma non in quello che si vede. Dentro ai contorni di quello che si vede, quel poco e quel vago che si riesce a definire.
E' chiaro che questa è
la versione femminile, e nel black prevale invece quella maschile (ma
le figure femminili descritte nel black somigliano a Marina non poco,
nobili e lascive). La posizione aristocratica maschile cela il
desiderio dietro un'apparente indifferenza, insensibilità e
inaridimento, sotto cui gorgoglia il suono grezzo, finanche melodico,
primordiale e nudo. Come la sessualità del vampiro, diretta ma
sofisticata. Le pulsioni primordiali ammantate di nobiltà, la
normalità fatta segreto, le secrezioni circondate da profumo.
La costruzione del
mistero è fondamentale. A questo contribuiscono sia i luoghi chiusi (come i castelli, i palazzi) sia l'idea di abbondanza nascosta,
esclusiva. Lo stesso “castello” in sé è un emblema di
abbondanza riservata. Per Marina era l'abbondanza della sua vita
sentimental-sessuale, peraltro sotto gli occhi di tutti, da un lato
(mondana), ma proibita dall'altro. La femmina libertina, che è di
tutti ma non è di nessuno, è una consumazione possibile ma un
possesso impossibile.
Allo stesso modo le
Legioni Nere decisero una linea ultra-black, secondo la quale si
doveva coniugare il minimalismo a livello di produzione con
l'estrema rarità del prodotto. Le cassette circolavano solo in una
cerchia ristretta di eletti, al punto che non era sufficiente
chiedere una copia dei lavori per ottenerle, si doveva esserne
giudicati degni. La libertina aristocratica era una donna facile e
dal letto sempre occupato, ma allo stesso tempo si poteva permettere
di selezionare, e di limitare quindi a pochissimi, di fatto,
l'accesso alle sue grazie.
L'aristocrazia nera
romana, quella fedele al papato, così chiamata perchè vestiva in
nero alle cerimonie della corte pontificia, introdusse un geniale
elemento che aggiunse una sfumatura sinistra. In protesta contro i
nuovi sovrani di Roma (i Savoia), i nobili neri tennero chiusi i
portoni dei loro palazzi, almeno fino ai tempi recenti. Una vita
nobiliare che si svolgeva apparentemente in clausura. Inaccessibile,
monacale.
Che cosa c'era oltre
quelle porte chiuse? La morbosità di questa mondanità
impenetrabile è paragonabile a quella delle Legioni Nere. Una
finzione di moltitudine, di esercito, di gruppo che è in procinto di
attaccare e invadere, ma anche un gruppo minimo, forse nessuno
addirittura, che si rintana in una casupola nei boschi per incidere
musica che è quasi rumore, o quasi silenzio.
Spiare Marina e le
Legioni Nere dal buco della serratura è l'essenza dell'erotismo, del
mistero, della voglia di scoprire, e di trovare fantomatici tesori.
Su questo terreno ci si può giocare anche la normalità, perché
così giocata diventa unica e inarrivabile: l'immagine di due tizi
seduti su un mobile da salotto, uno scrittoio. Questo sono i
Mutiilation sulla copertina di “Vampires of Black Imperial Blood” (1995).
Una foto che chiunque potrebbe realizzare in casa, si ammanta di
un'aristocrazia che è tutta leggenda. Quello che nella foto non c'è
è come se aleggiasse nascosto, e l'arte con cui è nascosto e
riservato diventa la vera forza occulta dell'immagine. Così anche
nella foto di Marina, che ci sbatte in faccia un nudo integrale come
foto per una campagna animalista, investì il pubblico con una forza
inspiegabile: il nudo di una donna che si era sempre fatta vanto di
non aver risparmiato la sua femminilità sessuale, non ha bisogno di
niente addosso per evocare una sessualità essenziale quanto ideale.
Il pube è irsuto, con l'efficacia iconica che soltanto chi si erge
al di sopra del sesso può avere, e quindi le prostitute di mestiere
o le libertine di vocazione. Non le borghesi.
La qualità, sembra dire
Marina, non esiste, è solo la forza di chi decide di esprimere una
normale sessualità senza dover spiegare nulla. Così come il suono
più dirompente è quello che non ha ragione, che è perché qualcuno
l'ha voluto produrre.
Il nichilismo delle
Legioni Nere, e il femminismo aristocratico di Marina Ripa di Meana,
sono due esempi di come il vacuo e il pieno siano funzionali l'uno
all'altro, di come i motivi, le spiegazioni, i sacramenti e le regole
servano soltanto a rendere la realtà meno affascinante. Di come
velare e svelare sia una cosa ben diversa dal nascondere e bandire.
Di come l'arte selvaggia, della seduzione sonora o pubica, sia
possibile solo quando nasce dal vuoto di una preparazione
aristocratica. Vuoto di norme per il bello, per il naturale e per
l'istintivo. L'immagine del diadema di ratti ("Rattenkoenig", 2005), un
complesso di ratti appiccicati e intricati per le code, che in natura
era considerato un presagio negativo, e dà il titolo a un disco dei
Mutiilation. E un personaggio come Marina, nell'ambito del gossip, è
sempre stato un po' così: impossibile non commentarlo, ma anche
fastidioso per la mancanza dell'autocritica che la società avrebbe
voluto. Rendeva bello e prezioso il non bello e non prezioso: come un
diadema di ratti.
Essere musicisti black
senza divenire dei pagliacci pittati è altrettanto difficile come
far vita mondana a Roma senza sputtanarsi. L'unica critica può
essere che nessuno regge fino alla fine. Le Legioni Nere giocarono a
tal punto a fare i misteriosi che non se le ricorda quasi nessuno per
davvero. E in realtà la loro conoscenza si deve ad una diffusione
postuma delle loro opere, il che non toglie poesia al loro mistero
senza tempo. Marina d'altra parte ad un certo punto gradiva
anche la mondanità in quanto tale, con sconfinamenti nei reality tv
e passerelle con cappellini estrosi. Insomma, ha fatto la fine dei
Cradle of Filth.
Le Legioni Nere
potrebbero anche non essere mai esistite, come non è esistita la
lingua (Gloatre) che ricorre nei loro testi: sono stati oggetto di
fantasia e desiderio, e tale fantasia e desiderio è stata applicata
ad una inevitabile normalità dell'essere, tanto da rendere gotica
una foto scattata nel salotto di casa. Il nero sangue imperiale è quello che consente di vedere la poesia attraverso il niente, la
vacuità, l'inconsistenza. Qualcosa di estremamente simile al
nichilismo black, e sicuramente convergente nella morale finale. Cioè
che per guardare la morte dall'alto in basso, si deve poter avere
simpatica la propria vita. Esserne ammalati. Morbosamente vivi. Pornograficamente, perché l'affermazione citata in apertura del post, il testamento di Marina, è semplicemente il piacere senza vergogna.
La topa selvatica, che ti colpisce mentre tu immaginavi chissà quale fantasia complicata da camera da letto imperiale, è la giusta definizione aristocratica della pornografia.
E la produzioni delle Legioni Nere è la pornografia musicale che esprime il gusto del suono primordiale, che ti sorprende mentre cercavi chissà quale ottava nota nascosta e segreta.
La topa selvatica, che ti colpisce mentre tu immaginavi chissà quale fantasia complicata da camera da letto imperiale, è la giusta definizione aristocratica della pornografia.
E la produzioni delle Legioni Nere è la pornografia musicale che esprime il gusto del suono primordiale, che ti sorprende mentre cercavi chissà quale ottava nota nascosta e segreta.
A cura del Dottore