"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

17 feb 2022

I MIGLIORI ALBUM DI ATMOSPHERIC BLACK METAL - SEVEROTH: "VSESVIT" (2020)

 


Ucraina: ultima tappa della nostra rassegna sui migliori album del black metal atmosferico. Concludiamo il nostro lungo viaggio con il progetto Severoth, e lo facciamo in modo totalizzante, con un lavoro che fin dal titolo (“Vsesvit” significa Universo) ha ambizioni grandiose. 

La variante atmosferica del black metal, si è visto, è un genere “gigantesco”, per le dimensioni (brani, album lunghissimi), per il massimalismo sonoro e per le tematiche toccate, un genere che non teme i limiti e che anzi si propone di superarli sistematicamente al fine di irretire l’ascoltatore nelle proprie conturbanti visioni. Illia Rafalskyi non è da meno e si fa promotore di un lavoro che non introduce alcunché di specifico nell'ambiente, ma può essere considerato l’apoteosi di tutte le caratteristiche dell’atmospheric black metal: un enorme detonazione sonora, un’esplosione sfavillante di suoni che non è altro che espressione della sfera più intima del suo autore. 

Di tutti i numerosi progetti in cui è coinvolto Illia, Severoth è quello preposto espressamente a dare sfogo alla sua interiorità. I suoni sgorgano copiosi, irruenti, mutevoli, sanno essere ferro e piuma, sangue e miele, oscurità e luce, un po’ come è la vita. Universo dunque inteso come Universo dell’Io: una chiave di lettura che viene suggerita dalla bellissima copertina, uno sguardo che dal basso si eleva oltre le sagome di alberi che tendono maestosamente al cielo. Un neanche troppo celato simbolismo volto a connettere le tre dimensioni concettuali dell'album: Io, Natura, Cosmo

Rispetto ai lavori precedenti, peraltro pregevoli, questo “Vsesvit” (quinto full-lengh targato 2020) si fregia di un suono impalpabile e visioni soffuse, a sottolineare il carattere introspettivo che anima il suo concepimento. A tratti si ha come l’impressione che due dischi diversi, uno black metal ed uno ambient, siano riprodotti contemporaneamente: una sensazione che non scaturisce dal mancato coordinamento dei vari strumenti, bensì dal fatto che tutto è animato da una urgenza comunicativa che fa nettamente prevalere le intuizioni melodiche rispetto alla cura degli arrangiamenti o alla pulizia dei suoni. La sensazione, nel complesso, è quella di guidare al tramonto con il sole contro, da un lato abbagliati, dall’altro piacevolmente cullati da una luce che non ferisce. 

Illia è un fiume in piena e la sua vena ispirata infila cinque brani pantagruelici per più di un’ora di durata complessiva, come da tradizione del black metal atmosferico. La musica: un suono sgranato che fonde indistintamente chitarre, tastiere, basso e batteria. A venire in mente sono le lezioni degli imprescindibili Emperor del loro insuperato capolavoro “In the Nightside Eclipse”, ma quello che bisogna riconoscere a questi artisti black metal di ultimissima generazione è la capacità di saper dribblare i passaggi possibilmente prolissi del metal estremo di un tempo per mettere al centro di tutto la bellezza dell’intuizione melodica. 

Riff che richiamano i numi tutelari del black metal, solismi che vanno dal maestro Burzum ad insospettabili reminiscenze pinkfloydiane; tastiere ariose ed avvolgenti che avvinghiano l’ascoltatore in un unico fatale abbraccio metafisico. Velocità variabile, senza criterio apparente se non quelle ragioni del cuore per cui un artista dice “ecco, qui il brano deve smaterializzarsi in un furioso blast-beat, qui invece ci vuole un quattro quarti che perduri fin quanto basta”. 

Tali sono l’equilibrio e la grazia che muovono la penna di Illia, che ci si può persino permettere di aprire l’album nel modo più brutale possibile, con velocità supersoniche e uno screaming raggelante. Cosi parte “Far Above the Sky” (titolo tradotto in inglese dalla lingua madre, in cui sono redatti tutti i testi): una falsa partenza che tuttavia presto cederà la scena alla melodia. Si tratta infatti di un mastodontico brano che supera i quattordici minuti e mezzo, ma che non annoia per un singolo istante, scorrendo via come un bicchier d’acqua. Fra i vari cambi di tempo (Illia si diletta anche alla batteria), emerge un gusto melodico che guarda principalmente al metal classico, con chitarre soliste che tessono trame dalla forte carica epica. Su questa dimensione pregna di pathos si amalgama perfettamente il "grido di aquila" di Illia, che, acido e riverberato, è la trasposizione al terzo millennio del latrato canino di Varg Vikernes. Si concederà egli anche un ritornello di voce pulita, canto odinico che non stona affatto fra gli umori da viaggio astrale che pervadono l’intero platter

Descrivere le tracce nel dettaglio sarebbe come contare i moscerini nello spazio, ma è doveroso citare almeno “Emptiness”, episodio cardine (posto al centro esatto del viaggio) che indugia su tempi lenti ed ospita i versi del poeta ucraino Vasyl Stus (a conferma dello stretto legame tra la musica dei Severoth e la cultura della terra natia) per poi concludersi con una intensa coda strumentale impreziosita da bellissimi assoli di marca gilmouriana. Menzione di merito anche per la conclusiva “Coldness of Sad Eyes” che, sempre con passo lento, sfoggia sublimi intarsi melodici che evocano il Burzum di “Det Som En Gang Var” (il brano). Emozioni a fior di pelle.

L’album inevitabilmente trova qui la sua conclusione, ma onestamente potrebbe andare avanti all’infinito sospinto dalle continue iniezioni di struggente melodia (con fughe frequenti in territori blackgaze): al pari dei singoli brani, l’album termina semplicemente perché ad un certo punto deve terminare, ma la tentazione di renderlo infinito per davvero premendo nuovamente il tasto play è alta. 

Siamo allo stadio finale di un metal estremo che, dopo quattro decadi di esistenza, raggiunge traguardi di intimità che erano francamente inimmaginabili ai tempi in cui ci si limitava a chiudersi in cantina e fare casino il più possibile con il santino dei Venom nel portafoglio. 

Tutte le caratteristiche che vanno a descrivere l’atmospheric black metal come genere, e che abbiamo avuto modo di incontrare negli scorsi mesi, sono iper-rappresentate nel grandeur di questa opera, lunga, intensa, paesaggistica ed introspettiva, degna conclusione (per adesso) del nostro viaggio all’interno dell’atmospheric black metal…