"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

2 apr 2025

MILLE MOTIVI PER NON ANDARE AD UN CONCERTO DEI CARPATHIAN FOREST (ED UN PAIO PER ANDARCI!) - LONDON, 20/03/2025


Avevo sostanzialmente un solo valido motivo per andare a vedere i Carpathian Forest contro mille altri per cui non sarei dovuto andare. La ragione per cui alla fine ho fatto mio il biglietto - e tutto sommato senza batter ciglio - è radicato nella mia inguaribile sistematicità con cui affronto e gestisco le mie passioni, inclusa la musica: in fondo i Carpathian Forest sono un gruppo storico - mi son detto - esponenti di diritto della gloriosa ondata di band norvegesi degli anni novanta. Ed io, da sempre appassionato di black metal norvegese, tendo a farmeli tutti i concerti di questi gruppi, laddove possibile. I Carpathian Forest, più o meno, sono gli ultimi rimasti da depennare dalla mia lista personale. 

Ma come dicevo c'erano anche molte ragioni per non andare. Provo ad elencarle... 

1. Anzitutto i Carpathian Forest non sono il mio gruppo black preferito, ma non sono nemmeno fra i primi venti. Personalmente parlando, li ho sempre trovati troppo radicati nelle influenze proto-black (Venom, Celtic Frost, Sodom ecc.) per poterli mettere sullo stesso piano dei loro geniali ed innovativi colleghi di Oslo e Bergen. 

2. Non è che poi ci abbiano inondato di tutti 'sti capolavori i Carpathian Forest. La loro fama è legata principalmente ai loro primissimi lavori, le demo "Bloodlust and Pervertion" e “Journey Through the Cold Moors of Svarttjern” (roba del ‘92 e del ’93), l'EP “Through Chasm, Caves and Titan Woods” (del 1995) e il primo full-lenght ufficiale "Black Shining Leather", che tuttavia usciva fuori tempo massimo (correva l’anno 1998) in un periodo in cui il black metal norvegese aveva già detto sostanzialmente tutto. Sarebbe poi seguita una accoppiata di album ancora dignitosi come "Strange Old Brew" (2000) e "Morbid Fascination of Death" (2001): non mancavano certo buoni momenti, ma da un lato si iniziava a percepire un senso di "normalizzazione" di quel suono in principio così originale e che adesso diveniva anche troppo prevedibile; dall'altro era evidente il processo di disgregazione del nucleo originario della band. Nella carriera dei Carpathian Forest ha pesato senz'altro la dipartita del membro co-fondatore Nordavind, l'anima oscura del progetto e che personalmente ho sempre preferito rispetto all'indole birraiola di Nattefrost

3. La dipartita di Nordavind, appunto. Da lì in poi sarebbe stato un inesorabile declino. Con Nattefrost al comando i Carpathian si sarebbero spostati sempre di più verso lidi punkeggianti: non un male in sé, ma se non vi è l'ispirazione né tanto meno la simpatia, capite bene che la proposta non può allettare più di tanto. Se poi aggiungete diti medi a profusione, perversioni sessuali assortite ed uscite di dubbio gusto, la frittata è fatta. La band del resto è ferma discograficamente al 2006 con il non esaltante "Fuck You All!!!! (Caput Tuum in Ano Est)" a certificare una evidente stasi a livello di ispirazione. Anzi no, nel 2018 è uscito anche l’EP “Likeim” che dal basso dei  suoi cinque minuti e mezzo di durata (e con dentro pure una cover) non manda certo segnali che fanno presagire una prossima rinascita artistica. 

4. Altro problema: una volta rimasto da solo alla guida della band Nattefrost era riuscito a circondarsi di gente rispettabile come Tchort (ex Emperor), Kobro (ex In the Woods...) e Vrangsinn, ma oggi manco più loro ci sono, ritrovandosi il Nostro a calcare il palco con anonimi figuri entrati nell'organico assai di recente (nel 2017 per la precisione). 

5. Non pare, inoltre, che la morte artistica della band venga bilanciata da una grandiosa attività concertistica: i Nostri, infatti, non brillano nemmeno per grandi performance live, con testimonianze che ci narrano di un Nattefrost impresentabile sul palco, ridotto assai male da un punto di vista fisico e pure senza voce. 

6. Manco i gruppi-spalla sono di grande attrattiva, almeno sulla carta. I Svarttjern non sono altro che il gruppo da cui provengono ben tre componenti attuali dei Carpathian Forest e probabilmente è stato concesso loro di accodarsi nel tour alla ricerca di visibilità; i Black Altar, invece, fin dal nome non promettono un cazzo bene. 

7. L'Underworld, infine: la storica venue di Camden Town che mi ha dato infinite gioie (e che personalmente adoro), quanto ad acustica non è il locale ideale per un concerto di metal estremo, tanto più se a suonare è una banda di fracassoni pentolai. Prepariamoci dunque ad un bel concerto per barattoli e motosega

E se devo essere sincero, non è che abbia molta voglia di black'n'roll in questa fase della mia vita, tanto più che vengo da una (gioiosissima) serata grind in compagnia dei Napalm Death e dei loro amici. 

Quindi un disastro all'orizzonte? Il giorno stesso del concerto mi vado a riascoltare qualcosa in ordine sparso dei Carpathian Forest per riattizzare l’antica fiamma e devo dire di essermi inaspettatamente gasato. Ho infatti riapprezzato la band che era una vita che non ascoltavo: vuoi vedere che contro ogni aspettativa il Nattefrost regalerà grandi emozioni?!? 

Il mio entusiasmo si spegne all'istante nel momento in cui entro nell'Underworld e stanno suonando i Svarttjern che, come prospettato, fanno cagare. O meglio, poracci, non è che fanno cagare, semplicemente sanno di poco, nonostante i norvegesi possano vantare una carriera più che ventennale e ben sei album all'attivo. Come stile assomigliano agli headliner, oscillando continuamente fra black tirato e black'nroll, con un maggior piglio melodico ed un cantante un po' troppo su di giri e dal growl spompatello che mi ha ricordato il Johan Edlund dei primissimi Tiamat. Quel che traggo dalla loro esibizione è che nel 2025 non si può veramente più sentire la risata fatta con il growl - una roba di cui il cantante dei Svarttjern abusa e che in verità mal sopportavo già ai tempi in cui il metal estremo si stava formando e stronzate di questo tipo andavano alla grande. 

Lo scenario è nel complesso abbastanza avvilente, anche perché la gente accorsa all’evento è veramente di basso livello. Tutti appassionati di black, ma senza quei nerd/secchioni che in genere nei concerti black ti danno l'impressione che stai ascoltando musica intelligente. C'è abbastanza disagio, mi colpisce in particolare un coglione, credo spagnolo, che alla fine di ogni brano grida Ave Satana o Hail Satan, guardandosi poi intorno pensando di esser ganzo. Insomma, gente di questo tipo e menomale che, ad addolcire la pillola, abbiamo il mancato sold out che rende agile la circolazione nel locale e la consueta quota di fascinose dark-lady che sono una piacevole costante in ogni ritrovo black metal che si rispetti. 

Complice anche qualche drink in corpo, i Black Altar si fanno inaspettatamente apprezzare. Si tratta di un gruppo polacco (ma oggi di stanza a Londra) che può vantare una certa storicità (apparentemente attivi dal '96 hanno debuttato discograficamente nel 2004) e questa storicità si fa sentire sul palco dell'Underworld. Nonostante ai miei occhi siano partiti in svantaggio con una scenografia e costumi di scena un po’ obsoleti (tuniche, cappucci ed altare con tanto di teschio e candele), i Nostri si faranno valere grazie ad una solida esibizione. Il loro è un black metal marziale, veloce, massiccio, di vocazione satanica e sicuramente superato, ma eseguito con precisione e professionalità. Per l'amor del cielo, niente di sensazionale (a 2/3 ci siamo rotti le palle), però la quarantina di minuti a disposizione dei polacchi scorre assai bene. Quel che traggo dalla loro esibizione, tuttavia, è la conferma che face-painting e barba sono proprio un connubio del cazzo. 

Giungiamo belli caldi e rodati al momento dei Carpathian Forest che, lo dico subito, saranno divertentissimi. Nattefrost è per davvero una mezzasega, nel senso che è proprio basso, ha le braccia corte, sembra la versione in miniatura di Dani Filth, e pure alla voce non è un portento. Ma almeno sembra essersi rimesso in sesto fisicamente rispetto a qualche anno fa e - cosa apprezzabile - ce la mette tutta interagendo continuamene con il pubblico ed esprimendo una attitudine più punk che metal. Più che uno screaming, il suo è una sorta di rauca declamazione tanto che sembra di essere ad un concerto dei Public Image Ltd con un John Lydon quasi settantenne dietro al microfono. 

Il basso pompa, i riff incalzano, i tempi medi si sprecano, e poi c'è da dire che i Carpathian Forest i pezzi ce li hanno. Me li ricordo, mi vengono in mente persino stralci di testo. Si susseguono brani che non conosco (e che potrebbero far parte di un album non ancora pubblicato) ed altri che invece conosco molto bene, come l'accoppiata "Pierced Genitalia" e "The Swordsmen", bellissime. Su "The Beast in Man: The Origin of Sin" si ha una gestione del palco degna del peggior Paul Di'Anno, una situazione assolutamente fuori controllo con chiunque che sale sul palco e fa il cazzo che gli pare. Nattefrost non drammatizza, anzi lancia uno sguardo da intenditore al chitarrista dopo che una ragazzetta ha sgambettato sul palco. Continua dunque a fare il suo lavoro, annuncia i pezzi, li (de)canta, persevera con uno strano gesto con le braccia che io interpreto come lo sbandieramento della famigerata "regola della L".  

"Death Triumphant": finalmente un po' di Norvegia! Nattefrost la dedica al padre deceduto, sarà un po' la ballata della serata, mancano solo gli accendini. Ci sono anche un paio di cover, "All My Friends are Dead" dei connazionali Turbonegro (punk allo stato puro!) e la mitica "A Forest" dei Cure, che stasera calza vesti più rockettone che darkeggianti. 

La gente sembra gradire. Sebbene il vero pogo non attecchisca praticamente mai, il pubblico esprime il proprio affetto per la band in altre maniere: cantando, battendo le mani, saltando, scuotendo la testa, abbracciandosi. I brani sono semplificati e più scarni rispetto alle versioni da studio, sfoderando la loro anima più “venomiana” (se non vogliamo parlare di punk e rock’n’roll – ma sarebbe lecito farlo). Fatta eccezione della già citata “Death Triumphant” e di qualche inserto di tastiera qua e là, il volto atmosferico della band (appannaggio della sensibilità del dimissionario Nordavind) viene sacrificato e rimpiazzato da una attitudine in-your-face che è comunque sempre stata anch'essa una componente fondamentale del suono schietto ed irriverente dei Carpathian Forest (però qualche pezzo marcio con il sax tipo “Sadomasochistic” o “House of the Whipcord” ci sarebbe stato pure bene...). 

La fase finale è un vero macello: la band inanella una sequenza micidiale di staffilate nello sterno: "Mask of the Slave" è fra i momenti migliori della serata, benedetta da quelle scene che puoi vedere solo nel 2025 in una grande capitale, ossia tre ragazze festanti che si fanno un video con il telefono durante un pezzo dei Carpathian Forest. Poi "Konkkelman", massiccia con il suo passo à la Sodom, e il tuffo nel passato con "When Thousand Moons are Circled", direttamente dall’EP “Chasm, Caves and Titan Woods”. All’anthemica "He's Turning Blue" spetta chiudere le danze, ma è solo questione di pochi istanti: i musicisti si materializzano nuovamente sul palco per ancora un paio di brani al fulmicotone, la punkeggiante "Bloody Fucking Nekro Hell", cantata accoratamente dal pubblico, e la sempre verde "Carpathian Forest", nella quale intravediamo quella scintilla di malefica genialità che ha reso i Carpathian Forest un nome di culto fra gli appassionati di black metal degli anni novanta. 

Li promuoviamo questi Carpathian Forest, con un Nattefrost che, contrariamente alle malelingue, ha convinto, mostrando energia, attitudine e dedizione alla causa, accompagnato da degni musicisti che hanno eseguito il repertorio della band (una ventina di brani in tutto) in modo inappuntabile. Anche l’Underworld ha svolto il suo ruolo con onore; complimenti dunque ai fonici che son riusciti a tirare fuori un suono decente e sicuramente ai musicisti che hanno garantito precisione e pulizia fino alla fine del set

Partito con poca voglia di black metal, torno a casa con il desiderio di andare vedere anche i Taake, a breve sempre all'Underworld (ma a malincuore, per impegni pregressi, so già che non potrò assecondare questa mia sopravvenuta voglia di black metal norvegese...). In conclusione possiamo dire che ci sono almeno un paio di validi motivi per andare a vedere un concerto dei Carpathian Forest nel 2025: oltre ad essere una formazione storica, sono anche divertenti! E quello che traggo dalla loro esibizione è che ogni concerto è imprevedibile e fa storia a sé...

Mai dire mai...