Il 15-16-17 maggio prossimi, nell’ambito della Fiera Internazionale della Musica a Genova, si terrà il primo Hard ‘n’ Heavy Festival. Ospite d’onore nella serata di sabato 16 sarà Ken Hensley.
Prendo la palla al balzo per
celebrare la figura di questo fenomenale polistrumentista londinese. Anche
perchè proprio quest’anno, ad agosto, Ken compirà 70 anni tondi tondi, 55 dei
quali dedicati a comporre musica e a suonare dal vivo. Cosa per la quale gli saremo
eternamente grati.
Non è scopo di questo post
ripercorrere la carriera, le numerose collaborazioni e le caratteristiche
tecniche di questo chitarrista/tastierista/cantante/produttore, fisicamente assomigliante
a un nativo americano vestito come un figlio-dei-fiori di fine anni ’60
(peraltro, detto per inciso: più invecchia e più somiglia a Geddy Lee dei Rush!!). Preferisco
soffermarmi su quella che è stata la sua eredità nel mondo metallico, grazie in
particolar modo a quello che riuscì a creare nei 10 anni che vanno dal 1970 al
1980 in cui militò negli Uriah Heep.
Gli Uriah…inizialmente snobbati
dalla critica, tacciati di essere soltanto degli scialbi epigoni dei Deep Purple,
in realtà vanno considerati a pieno titolo, secondo una fortunata definizione
che ho letto tempo fa da qualche parte, come “il quarto lato del quadrilatero
britannico hard ‘n heavy”. Gli altri tre lati sono sempre i soliti: gli
Zeppelin, che saranno stati i più visionari e i più amati dal pubblico, i
Purple, probabilmente i più eleganti e i Sabbath, senz’altro i più influenti…ma
quello che seppero creare gli Uriah Heep fu altrettanto fondamentale per la
storia dell’evoluzione del Metal, perché riuscirono a miscelare tutte le
caratteristiche dei Mostri Sacri succitati, ovviamente in maniera personale, però
aggiungendovi anche un gusto epico e fantasy allora davvero raro ed originale.
E questo soprattutto grazie alla verve e alla genialità compositiva del nostro Ken.
Prima di intraprendere la
carriera solista, e di partecipare come “guest musician” a progetti di celebri
band (come W.a.s.p., Cinderella, Ayreon, Therion e molte altre), Ken mise la
sua firma sugli album più belli e importanti degli Heep: da “Look at yourself”
a “The magician birthday”, da “Wonderworld” a “Return to fantasy”; e
soprattutto sui due masterpieces del combo inglese: “Salisbury” (’71) e “Demons
& Wizards” (’72).
“Se questo gruppo sfonderà, io dovrò
suicidarmi”: così sentenziava Melissa Mills, critica della rivista Rolling
Stone nel 1970 quando recensì il debut della band “Very ‘eavy very ‘umble”.
Beh, non sappiamo che fine abbia fatto la povera Melissa ma chissà cosa avrà
pensato l’anno dopo quando quel capolavoro immane di “Salisbury” venne dato
alla luce. Hensley, con l’apporto fondamentale del chitarrista Mick Box, prese
per mano la band e il salto di qualità nel songwrting fu subito enorme: si
fuoriusciva dagli schemi hard rock tipici dell’epoca (e che avevano
caratterizzato lo sfortunato disco d’esordio) e si passava appunto a un hard
‘heavy dalle tinte progressive e pompose, che sarà tipico poi di un certo AOR
ottantiano che avrà nei Magnum di Bob Catley, giusto per rimanere in terra
albionica, una delle massime espressioni. Già da questo disco gli Heep
provarono nuove soluzioni e importanti sperimentazioni, e il prodotto migliore
ne fu la superba title-track, una suite di 16 minuti in cui utilizzarono addirittura l’apporto di una orchestra di 24 elementi. Un pezzo incredibile, che comincia
come una sigla di un telefilm americano anni ’70, per poi far entrare in scena
tutti gli strumenti che danno vita a una sorta di fuga contrappuntistica,
passando da momenti jazzistici e progressivi fino a partiture più heavy, con
tre assoli memorabili di Box. Tanto per dare un’idea: Ken solo in questo pezzo
suona organo, chitarra acustica e chitarra slide, vibrafono, clavicembalo e coadiuva
Byron nel cantato…
Gli UH utilizzeranno a più
riprese questa complessa miscellanea, dando vita ad altre memorabili suite già
nel successivo “Look at yourself” (1971), come “July morning” o “Shadows of
grief”. Tutte dimostrazioni delle capacità compositive di Ken, caratterizzate
in primo luogo da un’innata eleganza di scrittura.
Ma non c’è solo questo: gli Uriah
inseriranno da lì in avanti nelle loro composizioni un flavour epico e
sognante, a tratti psichedelico, davvero unico, dal grande fascino e dalla
marcata poeticità. Una poeticità che veniva messa in risalto dalla superba voce
di David Byron che si sposava alla perfezione con le trame musicali di Hensley
& Box. Il tutto senza rinunciare alla “durezza” del sound, che anzi divenne
molto più marcato già a partire da “Look at yourself”.
Ma basterebbe solo “Salisbury” a
scolpire nella roccia a imperitura memoria l’eredità di Ken sul Metal. Diverse
sue canzoni (“Time to live”, “Lady in black”, “Circle of hands”, “Rainbow
deamon” e la celeberrima “Easy livin’”), presenti in esso e nel successivo “Demons
& Wizards”, incontreranno le rivisitazioni dei più svariati musicisti di
ogni continente e di ogni genere: dai Gamma Ray ai Wasp, dagli spagnoli Mago de
Oz ai violentissimi Ensiferum, dagli Smashing Pumpkins ai Blind Guardian (Hansi
Kusch, assieme a Jon Schaffer degli Iced Earth, dedicherà il nome del loro
side-project Demons & Wizards all’omonimo album degli UH) fino ad arrivare
al nostro Steve Sylvester e i suoi Death SS.
E quindi non possiamo che farti
tanti auguri per i tuoi 70 anni Ken, elegante guerriero metallico. Finchè puoi
continua ad imbracciare le tue armi di sempre, voce, chitarra e hammond, per
deliziare le nostre orecchie e guidarci nel tuo “Wonderworld”!