Ancora
due parole su mister Ian Fraser Kilmister.
Il 29 dicembre 2015 è stato un giorno di lutto mondiale. Perché allora
aprire il nuovo anno evocando un triste evento? Perché il decesso di Lemmy,
almeno dal punto di vista del diretto interessato, non deve essere
necessariamente visto come un triste evento: lui stesso lo gridava in “Ace
of Spades”: “I don’t wanna live forever”! Scherzo del destino: Lemmy
diverrà immortale!
Quanto
a me, rimango fatalista sui temi della vita e della morte. Personalmente parlando,
ci farei la firma a vivere e a morire come è vissuto e morto il grande leader
dei Motorhead. Settant'anni e qualche giorno vissuti intensamente,
giorno per giorno, tutti al massimo, fino al quart’ultimo. Con tre giorni di
“passione” in fondo, che ci potevano e dovevano stare: un miserrimo conto da
pagare che vale sicuramente il prezzo di un’inutile vecchiaia fatta di terapie
e limitazioni, che sicuramente il Nostro non avrebbe gradito.
Mi
hanno colpito le parole di Todd Singerman, manager della band:
“Sono
stato con lui 25 anni ed era mezzo gallone di Jack Daniel’s ogni giorno, due o
tre pacchetti di sigarette e altre cose che gli piacevano, ogni giorno.
Recentemente aveva cambiato con la vodka e arancia, perché sembrava più sano.
Ricordo
sempre una grande citazione: Lemmy dei Motorhead fa sembrare Keith Richards dei
Rolling Stones una Golden Girl.
Questo
ragazzo ha vissuto ogni giorno, senza fermarsi mai.
Era
l'ultima vera rock star rimasta.”
Ecco
il punto: Lemmy non è stato un Mick Jagger, un Keith Richards, pensionati
d’oro (Jagger persino fatto Baronetto dalla Regina d’Inghilterra!), gente
che oramai (e comprensibilmente!) fa un tour ogni cinque anni, pubblica un
album ogni dieci. Fino all'ultimo Lemmy è stato sul palco, decine di date a botta,
in occasione di festival in stadi gremiti come in piccoli locali con qualche
centinaia di persone. Ha rilasciato dischi a scadenza biennale, ha vissuto una
“normalità” fatta di eccessi. E' questa la sua straordinarietà, e non è un caso
che ad un certo punto sia iniziata a correre la voce sulla possibilità di
analizzare il suo fisico per carpire i segreti dell'”immortalità”. Pare uno
scherzo del destino che il cancro abbia attaccato proprio il cervello: la parte
del suo corpo che probabilmente Lemmy ha utilizzato di meno e che forse aveva
già compromesso ai tempi degli Hawkwind.
Viene
in ogni caso da ridere al pensiero di certi rocker di provincia,
gente che ho conosciuto e che conosco tutt’ora, personaggi che a quarant’anni
vanno a giro conciati come sedicenni, chi con la bandana, chi con il capello
lungo e la pelata dietro. E che però hanno le intolleranze alimentari, il
dolore alla cervicale, addirittura mi capitò di vederne uno che una sera si
astenne dal bere perché aveva preso gli antibiotici.
Lemmy
saliva sul palco con la naturalezza con cui io potrei la mattina sedermi alla
scrivania ed accendere il mio PC. Fra una canzone e l’altra beveva Jack Daniel’s
per schiarirsi la voce, altro che antibiotici ed intolleranze alimentari! Mi
ricordo di quella volta (Gods 2004?) che senza troppi preamboli (ma quando mai
ci sono stati?) entrò silenziosamente in scena con il suo basso al collo, si
avvicinò all’asta, aggiustò il microfono e come da copione (ma è sempre una magia!) disse: “We’re
Motorhead and we’re gonna kick your ass”. E partì per l’appunto l’incipit
di basso dell’eccellente “We are Motorhead”, brano superlativo (forse
l’ultimo della carriera?) di un album non indispensabile.
Sull'artista
è un altro paio di maniche. Conosco gente che ha adorato Lemmy a tal punto di
assomigliarli, basette e baffi inclusi. Ma di un’adorazione dimessa, non
fanatica, che rispecchiava l’atteggiamento sornione del Nostro. Quanto a me, non
mi posso certo ritenere un fan sfegatato dei Motorhead: raramente arrivo alla
fine di un loro album e se mi va di ascoltarli, magari mi metto un “No Sleep
‘til Hammersmith”, faccio prima. Posseggo tuttavia una decina di loro album
e li ho visti dal vivo svariate volte, non potendo fare a meno di spellarmi le
mani dagli applausi ogni singola fottuta volta. Rimango legato agli album della
mia generazione, “1916”,
“Bastards”, non necessariamente i migliori. Ma quando una band lascia
dietro di sé un solco di quarant’anni nella storia della musica ed incrocia il
passaggio di diverse generazioni, ogni fan è legittimato a rivendicare il suo
pezzetto della faccenda. Per questo io, tre
giorni fa, come tanti altri, ho tributato i Motorhead, ma a modo mio, sparando
nell’aria quella “Born to Raise Hell” (mi sembrava appropriata alla
circostanza!) che forse è il pezzo più commerciale rilasciato dalla band nella
sua lunga carriera.
A: Who’d win in a wrestling match,
Lemmy or God?
B:
Lemmy
…
B:…God?
C:
Wrong dickhead, trick question. Lemmy IS God!
Vi
ricordate il siparietto? Era un estratto dal film “Airheads – Una band da
lanciare”(trascurabile commedia a sfondo rock) che era collocato proprio
alla fine del videoclip di “Born to Raise Hell”, versione con Ice T.
Ice T? Un rapper alla corte del “Bombardiere”?!? Non ci sconvolgiamo, non è esistito nel metal,
forse nel rock, un fenomeno più trasversale dei Motorhead, capaci di mettere
d'accordo il fan più intransigente del death metal e il rocker più scanzonato. E
se vi capita di passare per Londra, non vi stupite se vi imbatterete in orde di
punk, con tanto di anfibi, creste verdi e maglietta con la ghigna dello “Snaggletooth”,
il cagnaccio cinghialoide che era la mascotte della band.
Musica
dura, viva, energia fumante, roba per tutti i palati. E' incommensurabile il
contributo che questa band ha dato al mondo della musica ed in particolare,
visto che di metal si parla, alla sfera dell’Estremo. Il growl viene dalla
raucedine di Lemmy, la rivoluzione thrash parte da quelle ritmiche serrate,
dalle bordate sonore che hanno saputo dispensare i Motorhead in anni in cui
l'heavy metal, così come lo conosciamo oggi, non esisteva neppure.
Di
tutta questa importanza Lemmy non se ne sembrava curare. Ricordo ancora, in una
sua intervista, una serie di battute sprezzanti rivolte un po’ a tutto l’universo
metal (e mi raccomando non vi azzardate a dire a Lemmy che i Motorhead suonano
metal!): Cronos, quel cretino che mi ha copiato e suona il
basso in maniera incomprensibile? Glenn Benton, quello scemo con la
croce tatuata in fronte? I Sepultura di “Orgasmatron”, quelli che
non hanno capito un cazzo di come doveva suonare la mia canzone? Ha vissuto
“fregandosene” Lemmy, figuriamoci se la morte lo ha scalfito.
Semmai la tristezza è tutta nostra, di chi rimane, come in
ogni lutto. La notizia, personalmente, mi ha colpito profondamente: Lemmy c’è
sempre stato, ora che non c’è più la cosa mi sembra perlomeno strana. La sua presenza,
spesso data per scontata, mi si è palesata in tutta la sua forza proprio nel
momento in cui egli è venuto a mancare. Ricordo la morte di Freddy Mercury,
passai la notte a guardare videoclip dei Queen sull’emittente musicale
dell’epoca (Videomusic?): non vi sarebbero più stati nuovi video della Regina.
Ricordo la notizia relativa suicidio di Kurt Cobain, anch’essa mi turbò,
ma in qualche modo mi trovai emotivamente e psicologicamente preparato
all’evento: la sua disgregazione era già iniziata da tempo. Ricordo infine la prematura
scomparsa del grande Chuck Schuldiner, l’addio più doloroso,
egoisticamente parlando, pensando a quello che il leader dei Death
avrebbe ancora potuto produrre nella sua feconda vita artistica.
Lemmy da anni non aveva più niente di nuovo da dire, ma francamente
non c’è più niente da dire. Per i Motorhead valeva la regola d’oro degli AC/DC,
autori sempiterni della loro splendida “Canzone”: comunque andrà sarà un
successo! Se non mi preoccupa oltremodo l’idea che non vi saranno più album
dei Motorhead, mi conforta il fatto che ve ne siano fin troppi a giro: Lemmy
non è stato avaro e ci lascia con un patrimonio imponente che rimane in eterno
a nostro beneficio.
Se la sfida era “nati perdenti, vincere vivendo”, tenendo
conto che già in vita costui aveva guadagnato lo status della Leggenda, e
che con la morte ha conquistato definitivamente l’immoralità, possiamo
lecitamente pensare che Lemmy se ne sia andato soddisfatto. Che ci sia
d’insegnamento: vivere ogni singolo fottuto giorno della nostra vita.
Buon 2016
a tutti!