5 anni tondi tondi. Dall’ottobre 2013
all’ottobre 2018.
Tanto è durato, anzi, sta
durando il silenzio discografico dei The
Gathering. Se escludiamo il doppio CD “Blueprints”
dell’anno scorso (quasi due ore di materiale alquanto trascurabile composto da scarti,
versioni demo e inediti tratti dalle sessions di “Souvenirs” e “Home”), dei
campioni del rock olandese nessuna traccia.
E dire che anche quell’ultimo full
lenght del 2013 appunto, “Afterwords”,
non era un vero e proprio album in studio, quanto un insieme di qualche inedito
lasciato nel dimenticatoio con l’aggiunta di remix + i brani contenuti nell’EP
del 2012 “Afterlights”.
Un disco, “Afterwords”, per lo
più trip hop, a sé stante, una parentesi poco significativa rispetto alla linea
evolutiva concretizzatasi fino ai magnifici “Souvenirs” e “Home”.
Ma tra le tante e poco più che
inutili uscite degli ultimi tempi da parte di importantissime band degli anni
’80 e ‘90 (che stanno immettendo sul mercato release legate a ricorrenze,
compleanni e anniversari sia di loro dischi storici che relativi alla propria
costituzione), Metal Mirror vuole porre all’attenzione dei nostri lettori
questa inosservata produzione proprio dei The Gathering. Un concerto (anzi un mix di due concerti effettuati nella
stessa giornata per un totale di 5 ore di show!) del 09 novembre 2014 al poppodium di Nijmegen, il “Doornroosje” (Spina di Rosa, in olandese). Due ore e
un quarto di splendida musica, capace di attraversare un’intera carriera in cui
originalità, versatilità, ricerca e gusto sono stati da sempre i minimi comun
denominatori dei dischi in studio di Renè
Rutten e compagnia.
Lo diciamo subito: il live ce lo
siamo guardati con gioia perché a farla da padrona è stata lei,
la Divina Anneke. In questi anni l’abbiamo celebrata, descritta, raccontata in
mille salse diverse. Ma qui è diverso: in quel 2014, a distanza di 8 anni dal
suo split con i TG, Anneke dona ai suoi fan una “reunion per un giorno” per festeggiare assieme ai suoi vecchi
compagni 25 anni di attività (e, forse non a caso, proprio il nove
novembre, giorno in cui gli anni li compie la nuova cantante Silje Wergeland!).
In realtà non ci sarebbe solo
Anneke su cui soffermarsi, in quanto si accolgono sul palco quasi tutti i vecchi amici di un tempo; dai due ex bassisti Hugo P. Geerlings e Marjolein Kooijman, fino ai due primi
vocalist del debut “Always…” (1992),
Bart Smits e Marike Groot. Tanto che per la splendida opener “Saturnine”
troviamo tutti e 4 i singer che si alterneranno nelle strofe intonando tutti
assieme il chorus.
Senza scendere nel dettaglio, basti sapere che, a parte il poco riuscito “Almost
a dance”, unico album totalmente tralasciato in scaletta, il resto della stessa
sarà un bellissimo viaggio nel tempo durante il quale si toccheranno tutti i restanti dischi in
studio, con note di merito, data l’emozionalità trasmessa, per “Meltdown” (top
song di “Disclosure”), la poderosa accoppiata della prima ora “The mirror
waters” e “King for a day”, fino ad arrivare ai classici immortali tratti da “Mandylion” (“Strange machines”, “In
motion I” e “Leaves”), “Nighttime birds”
(la title track oltre ad una “On most surfaces” da brividi) e “If_then_else”
(“Amity” oltre alla già citata “Saturnine”).
I 25 anni di immersione
nell’ignoto sono rappresentati benissimo dagli ultimi 25 fenomenali minuti: “Travel”
(forse la canzone simbolo della virata stilistica e concettuale operata con
“How to measure a planet?”), la superba “Waking hours”, da "Home", ultima testimonianza
thegatheringiana di Anneke (e per chi scrive tra le 5 canzoni migliori mai
scritte dalla band) e la lunghissima “I can see four miles”, altra canzone
simbolo dell’ultimo vero disco dei Nostri, “Disclosure” (2012).
Un paio di premesse prodromiche
alla nostra considerazione finale.
1) Mi
sento di spendere qualche parola per un chitarrista che non ha mai ricevuto le
lodi che meritava: Renè Rutten. Per lui, così come per gli altri due
highlanders della band, il fratellone Hans Rutten e il tastierista Frank
Boeijen, il tempo non sembra quasi essere mai passato. Hanno sempre quel volto
da bravi ragazzi, fermi a quei primi anni novanta quando iniziarono l’avventura
con i TG. Amici della porta accanto, sempre sotto le righe, umili, semplici. In
particolare Renè a me ricorda una sorta di Woody Allen del rock: capelli da
spaventapasseri biondo slavato, pantaloni demodè, un po’ troppo larghi e lunghi
che finiscono su un paio di scarpe casual, leggermente lisi, postura un po’
“sfigata”, incurvata sul suo strumento. Mai un gesto fuori posto, qualche
timido ringraziamento al pubblico. Un antidivo, lontano anni luce dal prototipo
di rockstar. Eppure…non sarà un mostro di tecnica (nessuno dei musicisti dei TH
lo è) ma quante idee, quanta passione! E soprattutto quanto gusto che ha messo
in 25 anni di composizioni, senza, di fatto, sbagliare mai un colpo.
2) Capitolo
voce: Anneke, manco a dirlo, “umilia” senza volere le altre donzelle presenti
sul palco. Quando canta da sola, senza mai strafare, ricrea la magia degli anni
d’oro, di quando la ascoltammo attoniti per la prima volta su “Mandylion”.
Quando duetta con la Wergeland o la Groot le sovrasta per timbro, potenza,
estensione, interpretazione e carisma. Non lo fa per cattiveria, poverina…è
proprio che è superiore di gran lunga…
Quind, la visione di questo
concerto ci ha fatto comprendere una verità che dovrebbe far riflettere in
primis proprio Anneke e i fratelli Rutten. E cioè che, mentre la band ha
dimostrato nel corso degli anni post-split che aveva ancora qualcosa di
importante da esprimere, idee fresche da trasporre in musica (perché
chiariamolo: i dischi senza la van Giesbergen, “The west pole” e “Disclosure”,
non sono dei capolavori ma rimangono dei buonissimi album di alt-rock di ampio
respiro, pur risultando maledettamente depotenziati dall’assenza di Anneke), la
Nostra, dal canto suo, ha invece palesato delle enormi difficoltà compositive
con le sue diverse creature espressive (da solista, con gli Agua de Annike e
ultimamente con i Vuur). Se l’è cavata molto meglio invece quando è stata
guidata nell’interpretazione di brani non suoi, svolgendo il ruolo di guest in dischi
altrui (vedasi gli ottimi sodalizi con Lucassen, Townsend, D. Cavanagh).
Insomma, se 2+2 fa 4, allora la
morale della favola non può che essere quella di un’auspicabile quanto prossima
reunion: ne gioverebbero tutti. Noi fan compresi.
Nel frattempo ci godiamo, e vi
consigliamo, questo live, ottimo amarcord di una band unica e irripetibile…
A cura di Morningrise