"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

5 apr 2019

LORDS OF CHAOS, PARTE IV: EURONYMOUS, LA MORTE DI EURONYMOUS



Eccoci finalmente ad Euronymous: nel bene o nel male il cardine dell’intera storia. Per quanto lo voglia sminuire a posteriori il Varg Vikernes con le sue dichiarazioni farneticanti, per quanto possa essere stato realmente uno spaccone ed un parolaio che le sparava grosse, Euronymous è stato il vero deus ex machina della scena, mostrando, oltre che innegabili doti artistiche, anche concretezza ed ambizioni imprenditoriali. 

Senza di lui probabilmente non si sarebbe verificato tutto quel concorso di eventi e situazioni che avrebbero consegnato alla Storia il True Norwegian Black Metal: lui guida i Mayhem, lui aggrega una vera e propria scena intorno a sé, lui aprirà il negozio di dischi Helvete e lui fonderà l’etichetta Deathlike Silence, laddove il resto dei personaggi coinvolti sembrano muoversi come cerebrolesi incapaci di elevarsi da una routine sconclusionata e priva di impeti costruttivi. 


A tal proposito viene in mente l’immagine di un ebete Faust incollato giorno e notte allo schermo TV a guardare come ipnotizzato horror movie: al di là che in "Lords of Chaos" non si fa cenno al fatto che egli fosse un portentoso batterista (a parere di chi scrive, uno dei migliori di sempre in campo estremo, dotato di estro, potenza ed eleganza come pochi, capace di rendere fluide e trascinanti le impetuose composizioni degli Emperor), al di là di tutto questo, si diceva, sarebbe molto triste che il film volesse riproporre la consunta convinzione che la visione di pellicole splatter possa istigare a gesti violenti. Vogliamo pertanto convincerci che ciò nel film costituisca semmai un elemento in più per descrivere quell’assuefazione alla violenza in cui vivevano i personaggi coinvolti nella storia, oramai immersi in uno psicodramma collettivo e, singolarmente, al di fuori di ogni capacità critica e di scernimento fra “Bene e Male”. 

Certo, tutti quei “casi umani” (Dead e Vikernes inclusi) non sono piovuti in testa per caso allo “sfortunato e virtuoso” Euronymous; è semmai lecito credere che fosse egli stesso a cercarli come fanno coloro che, animati da insicurezze, hanno bisogno di contornarsi di mediocrità o personalità più deboli (proprio come Vikernes, a sua volta, aveva circuito Blackthorn). Bisogna inoltre non dimenticare che, se da un lato lo status di “morto ammazzato” abbia riabilitato a posteriori Euronymous come martire, vittima o addirittura elevandolo a santità del black metal, dall’altro non è che anche lui fosse proprio uno stinco di santo. Considerare il suicidio di Dead come un mezzo per promuovere la propria band, per esempio, non è stata di sicuro una reazione nella media. E poi anche lui fu coinvolto nei roghi di chiese (sebbene trascinato dal Conte), lui coprì Faust quando gli confessò di aver compiuto un omicidio. Se poi ebbe una sorta di percorso di redenzione nell’ultima fase della sua vita, questo rimarrà per sempre un mistero... 

Finzione o meno, la parte conclusiva del film appare comunque interessante, mostrandoci un Euronymous sempre più a disagio, solo e fuori contesto innanzi all’escalation brutale degli eventi. In questo gli occhioni permanentemente spauriti di Rory Culkin (impossibile non pensare alle scene di “Mamma ho perso l’aereo” dove il fratello era protagonista) possono trovare finalmente giustificazione. 

Alla stregua del Topolino Apprendista Stregone in “Fantasia”, il giochetto da lui innescato gli sarebbe sfuggito presto di mano: mentre la sua leadership progressivamente verrà messa in discussione, il suo personaggio guadagnerà tuttavia spessore, sgusciando fuori dai rigidi contorni della macchietta ed acquisendo contorni più umani. 

E passino gli svariati altri “falsi storici”, come quello del set fotografico (la foto in questione è quella celebre in tunica che finirà dritta nel booklet di “De Mysteriis dom Sathanas”) che si concluderà con un bacio appassionato con la sua ragazza, autrice di quegli stessi scatti. Proprio il rapporto con questa figura totalmente inventata (anche se circolano voci che nell’ambiente sia comparsa per un breve periodo una enigmatica ragazza bionda, immortalata in qualche scatto) funge da elemento traghettatore verso la “redenzione” di Euronymous, sempre più desideroso di svincolarsi dalle “spire del Male”, dagli eccessi, da quell’assuefazione alla morte ed alla violenza di cui si parlava prima. 

Quante volte un rapporto di coppia ha salvato persone destinate alla rovina? Oramai stanco di queste aride ed empie rivalse, Euronymous avrebbe scritto la lettera di armistizio a Vikernes (che invece, nella sua follia, ne avrebbe stupidamente travisato il senso), in una scena addirittura lo troviamo ad ascoltare musica elettronica/ambient, ma soprattutto lo vediamo sereno nella quotidianità con la sua ragazza, che lo avrebbe persino convinto a tagliarsi i capelli. Quante volte le donne ci hanno convinto a compiere gesti impensabili? Con questo escamotage narrativo gli sceneggiatori ci conducono alla notte fatale, dove il suo viaggio di normalizzazione verrà bruscamente interrotto con la sua uccisione

Come si è già detto, la ricostruzione di quella serata (a partire dai goffi tentativi di ricercare un alibi da parte di Vikernes e Blackthorn, suo complice nella vicenda) è ricca di lacune ed inesattezze, un po’ per esigenze di sceneggiatura (impossibile rendere verosimile la sequela improbabile di situazioni tragicomiche e gesti inconsulti che, ahimè, hanno fatto da cornice alla vicenda), un po’ perché in effetti non sapremo mai come sono andate le cose, dato che solo due persone potrebbero raccontarcelo, ma uno è morto e l'altro è un pazzo paranoico (si vedano le dichiarazioni sconclusionate e contraddittorie del Conte, fra le quali vi è quella secondo cui Euronymous si sarebbe inferto le ferite mortali cadendo su dei frammenti di vetro dispersi sul pavimento). 

La regia opta per una lunghissima sequenza costruita con quella schiettezza/freddezza con cui era stato documentato il suicidio di Dead: coltellata dopo coltellata, fino a quella decisiva nel cranio, quando la vittima era già riversa per terra inerme. La ricostruzione sembra dar ragione a Vikernes, con un Euronymous impotente e piagnucoloso, incapace di reagire alla violenza su di lui riversata, per lui incomprensibile prima ancora che incontrastabile. Che la sua trasformazione completa in essere umano avvenisse proprio in concomitanza con la sua morte? Sono questi interminabili minuti di fuga disperata, prima faticosamente per le stanze del suo appartamento, poi per le scale condominiali, ignorato dai vicini di casa (che si tratti delle vendetta di quella società borghese ed ipocrita tanto avversata?), inseguito dal suo implacabile nemico, a costituire il climax emotivo dell’opera. 

Qui però la telecamera si fa indiscreta, penetrando nel cuore più profondo di fatti privati che veramente non conosceremo mai, con lo sceneggiatore chiamato giocoforza a lavorare di fantasia (vedasi la trovata insensata dell’assassino che si prepara una tazza di cioccolata, o qualcosa del genere, nella cucina della vittima). Qui si fa tangibile la violenza dell’indiscrezione, la mancanza di pudore, l’idea che forse l’intera operazione non sarebbe dovuta mai esistere, per lo meno non ancora. 

Dispiace, a dirla tutta, veder spegnersi questo personaggio che, innegabilmente, era stato motore e centro di tutti gli accadimenti, colui che, da spettatori, avevamo conosciuto ad inizio film quando strimpellava la chitarra nello scantinato di casa sua e spaventava con versacci la sorella minore. E proprio l’immagine della sorellina alla finestra, triste per la morte di quello strano fratello, forse "pericoloso più a parole che nei fatti", costituisce la chiusura del cerchio: uno spudorato ricatto emotivo, probabilmente, ma espediente efficace nello smuovere i sentimenti dello spettatore. 

A prescindere se piaccia o meno il black metal norvegese, dietro tutta questa giostra di personaggi strambi, di situazioni inverosimili, al netto di tutta la spettacolarità ed assurdità della faccenda, quello che ci sembra voler spiegare il film, fra dramma e ironia (sarà la voce fuori campo dello stesso Euronymous a concludere la narrazione, ricordandoci di essere stato l'inventore del "True Norwegian Black Metal") è che in fondo a tutto questo c'erano degli essere umani, fatti di storie personali, famiglie, affetti, emozioni e bisogni, restituendoci almeno un elemento di verità che siamo soliti dimenticare o ignorare quando ci riferiamo ai fatti sanguinari dell'Inner Circle, ancora oggi, o forse oggi più che mai, sospesi fra Leggenda e Condanna…

The end?