Nella nostra Classifica sui
migliori EP del metal ci siamo soffermati parecchio su quei dischi teutonici che marcarono a fuoco la scena thrash europea. Oggi rimaniamo in Germania ma geograficamente,
rispetto al famigerato Bacino della Ruhr, ci spostiamo a nord, nella ricca
Amburgo, città natale degli Helloween, per trattare un EP che sicuramente è nel
cuore di molti defenders.
L’esordio degli Helloween merita
di comparire nella nostra retrospettiva perché fu un momento di passaggio e al
contempo di definizione di un (sotto) genere che spopolò in Europa per oltre un decennio, con un successo commerciale planetario.
“Helloween” infatti, nei suoi 26’
che ne fanno di certo un qualcosa di più che un semplice EP (tant’è che è anche
conosciuto come The Mini LP) non è ancora power metal ma al contempo,
decisamente, non è più thrash, nella sua c.d. versione speed.
Certo, le differenze sono sottili
e la musica di questi 4 baldi giovanotti non era a compartimenti stagni. Anzi,
la potremmo definire un riuscitissimo ibrido di quegli stilemi che andarono, e
stavano ancora andando, per la maggiore al di là e al di qua dell’Atlantico.
Infatti le neonate Zucche di Amburgo riuscirono, nonostante l’inesperienza, a
frullare in modo personale tre tendenze: lo speed/thrash americano
(“Kill’em all” era uscito da oltre un anno e mezzo quando i tedeschi entrarono
in sala di registrazione), il succitato thrash metal che si andava a definire
nel loro paese natio; e infine gli stilemi immancabili della N.W.O.B.H.M.
In
particolare, il songwriting dei primi Iron Maiden è qui piuttosto saccheggiato non
soltanto a livello musicale ma anche lirico ed atmosferico. Quasi a voler fare
di Amburgo una piccola Londra nel quale ambientare le proprie storie, gli
Helloween ci parlano di assassini in fuga dalla legge, reietti dei bassifondi
in cerca di riscatto, tossicodipendenti e soldati mandati al macello guidati da
Grandi Burattinai senza scrupoli (da "Warrior": You’re a small pawn in their game / Somewhere
in the shelter sit the men / who hold your fate in his hands / And they don’t
realize / a war without survivors is a fight that’s never won…so die!). Se
vogliamo, parole semplici e ingenue queste, ma sicuramente sentite e soprattutto
espressione di una sensibilità socio-politica che nel metal si stava
diffondendo sempre più (certi temi verranno sviscerati in maniera perfetta l’anno
successivo in “Master of Puppets”).
Tornando a bomba sulla musica: con Grosskopf e Ingo appena 19enni, le redini del songwriting sono saldamente
nelle mani di Kai Hansen, con un Weikath che dà il suo contributo, seppur in
forma ancora limitata. Al netto di tutti i limiti vocali, tecnici e di
estensione, di Kai (che danno alla produzione anche quel sano senso di raw
dal fascino unico), quello che impressiona è la qualità dei
brani, tutti di pregevole fattura. E questo grazie a linee melodiche azzeccatissime,
una sezione ritmica caracollante ma anche tecnica ed articolata, solos al
fulmicotone mai banali e a un guitar-work trascinante e caratterizzato dai
duetti tra i due axe-man.
Se “Starlight” e “Murderer”
rappresentano un’accoppiata iniziale in cui sono la velocità e una struttura
basica della forma-canzone a risaltare, è con “Warrior” che i Nostri
personalizzano la proposta, componendo una canzone-tipo che, con le ovvie
varianti sul tema, ritroveremo numerose volte infuturo, soprattutto nella discografia dei Gamma Ray.
Ma il sale sta nella coda del
disco: “Victim of fate” presenta probabilmente uno dei chorus più trascinanti
dell’intera carriera delle Zucche e un riffing che farebbe invidia persino
all’accoppiata Downing/Tipton. Il rallentamento al minuto 2’ poi è un chiaro
rimando alle analoghe soluzioni che Iron e Judas avevano già proposto nei loro
capolavori di inizio decade. Ma con in più l’inserimento di un recitato di
Hansen davvero suggestivo e maligno.
Infine la sofferta “Cry for
freedom”, introdotta da un suggestivo intro arpeggiato per poi partire all’attacco nella
seconda parte, corroborata da cori epici che ben calzano col tema della canzone: le frustate sulla schiena degli schiavi chiamano direttamente in causa i
rappresentanti del Potere politico ed economico (le cui anime sono attese da
Satana in persona); ma la voglia di libertà dei ceti più deboli porterà a
compimento una rivoluzione in cui rivalsa e vendetta non si faranno
attendere…(Freedom…the cry of all slaves will be heard / The tyrants will now
feel the steel of the sword / The chains will be broken by all slaves on
earth!).
Insomma classicismo ed innovazione, capacità di sintesi delle influenze e al contempo visione di una
personale proposta. Che su quei ragazzi bisognasse investire non c'erano dubbi. E
se questi 26’ non li avevano del tutto fugati, ci pensò il mitico debut “Walls
of Jericho” (uscito di lì a 7 mesi, sempre nel 1985) a dimostrare l’immenso valore di una band,
che ben presto sarebbe diventata (e lo è tutt’oggi) iconica per il Metal
mondiale.
Per chi pensa che gli Helloween
nascano con i due “Keeper of the seven keys”, prego…ricredersi.
Il Metal Europeo passa (anche) da
questo EP.
A cura di Morningrise