I Sunn O))) sono degli artisti o soltanto dei furbi?
Questo è il quesito che mi sono posto dalle prime mosse del duo americano fino ad ieri. Con “Life Metal”, ultima fatica discografica dei Nostri, la domanda si è capovolta: sono i Sunn O))) onesti o troppo poco furbi?
Facciamo chiarezza. Almeno a nostro avviso, il valore della proposta della premiata ditta Anderson/O'Malley è fuori discussione, tanto che li abbiamo inseriti nella nostra rassegna sul "Nuovo Metal". Certo, si può dire che l’idea l’avevano avuta per primi gli Earth di Dylan Carlson, ma se poi la formula ha funzionato e ha saputo attecchire nel mercato discografico il merito è tutto loro. E il fatto che fin da subito gli stessi Earth facessero loro da spalla nelle esibizioni dal vivo è la dimostrazione lampante di come i Sunn O))) avessero oramai bucato lo schermo e superato i maestri, quantomeno a livello di popolarità.
Potenza del marketing? Un’immagine/attitudine conturbante? Collaborazioni sempre azzeccate? Fatto sta che grazie a loro, oramai da molti anni, il drone-metal ha preso piede, non tanto come genere a sé stante, ma come elemento di contaminazione che ritroviamo in molte forme di metal estremo e persino nell'arte contemporanea. La genialità è stata di aver trovato ogni volta l’escamotage capace di dare lustro alla formula, album dopo album, laddove la sostanza artistica rimaneva più o meno la stessa.
Dopo aver toccato l’apice di notorietà con “Monoliths & Dimensions” (2009), che aveva saputo accattivarsi le simpatie anche di certa critica fuori dallo steccato del metallo, il rischio noia/saturazione era divenuto una minaccia palpabile con un lavoro come “Kannon” (2015), accolto assai tiepidamente un po' da tutti. Nemmeno in quella circostanza, in verità, Anderson ed O’Malley sbagliarono, ma dovettero pagare la colpa di aver tradito sei anni di attesa con un tomo assai breve (poco più di trentatre minuti - ma siamo pazzi!?) e sostanzialmente privo di sorprese (la riproposizione di Attila Csihar dietro al microfono, in effetti, non assicurava quella freschezza che ogni uscita precedente aveva avuto). Nel frattempo i Nostri, fregandosene delle critiche, hanno continuato a portare la loro musica a giro per il mondo, con live sempre più sofisticati, scioccanti e teatrali, toccando teatri ed importanti spazi espositivi (si pensi all’esibizione al prestigioso Barbican di Londra), ambendo più a porsi come fenomeno di avanguardia artistica che come esperienza metal tout court.
Dopo tre anni, ecco che se ne tornano con la doppietta “Life Metal”/“Pyroclasts” (l'uscita del secondo tomo, quello più "calmo", è prevista nei prossimi mesi): un ritorno se non altro di quantità. Lo certifica intanto la durata estesa di “Life Metal”: quasi settanta minuti per soli quattro brani.
Nessun nome altisonante questa volta, se si fa eccezione del produttore Steve Albini in cabina di regia: presenza che, in teoria, non era poi così necessaria, visto che gli album dei Sunn O))) hanno sempre goduto di ottimi suoni e che, in ogni caso, non hanno mai difettato da quel punto di vista. Potevano dunque impiegare un'orchestra intera od ingaggiare qualche tenore e soprano per gettare pepe sulla portata, ma così non è stato. Scorrendo la lista degli ospiti, leggiamo i nomi di Hildur Guðnadóttir (violoncello elettrico e voce), Tim Mydiett (basso e crotali), Tos Nieuwenhuizen (moog) ed Anthony Pateras (organo a canne). Nessun special guest a fare la differenza, si diceva, però violoncello ed organo da chiesa potevano far presagire grandi cose: un suono che si sarebbe fatto ancora più liturgico e sacrale.
Niente di tutto questo. Il nitrito riverberato dei cavalli (che evoca esplicitamente le epiche ambientazioni di “Blood Fire Death” dei Bathory) è un dato fuorviante: “Life Metal”, nonostante il titolo ironico (palese gioco di parole con l'espressione death metal), la copertina (coloratissima) e le dichiarazioni di Anderson (il cui status di padre lo avrebbe persino addolcito...), è una colata di suoni neri e pesantissimi come non si sentiva dai tempo di “ØØ Void” e “Flight of the Behemoth”.
Sulle prime, lo dico da fan dei Sunn O))), è stata più dura del solito, perché sono venuti a mancare quegli appigli che via via nel recente passato avevano “vivacizzato” l’ascolto, come il canto indemoniato di Attila Csihar, che in effetti dava un po’ di brio alle composizioni. Coloro che qui avrebbero dovuto essere i soccorritori affogano fra le onde sonore dirompenti delle sei corde. La voce della Guðnadóttir è un sussurro quasi impercettibile che emerge confuso per pochi minuti in “Between Sleipnir’s Breaths”, un sibilo intermittente in "Aurora". Il suo greve violoncello, in un lungo assolo in “Novae” (ben venticinque giri di orologio!), finisce per assomigliare ad una chitarra elettrica, aggiungendo ben poco all’economia del suono nel complesso. L’organo di Pateras, infine, fluttua a mezz’acqua nel finale di “Troubled Air”, mentre i crotali di Mydiett, sempre nel medesimo brano, hanno la stessa possanza fisica di pulci che saltellano sulla schiena di un colossale leviatano. Il resto è il classico esercizio sabbathiano con note iper-prolungate ed accordi che attaccano quando quello precedente deve ancora terminare, fra feedback infiniti ed amplificatori tremolanti: una pratica ben nota che aggiunge poco o nulla a quanto già dei Sunn O))) conoscevamo.
Che il progetto sia giunto dunque al suo capolinea? Che Anderson e O’Malley abbiano finito gli assi nella manica? Che essi si siano rivelati per quello che sono realmente, ossia musicisti limitati e persino così ottusi da non capire che dovevano assoldare qualche pagliaccio e metterlo in scena per calamitare l’attenzione e sviarla dal loro nulla contenutistico?
Niente di tutto questo. Purtroppo mi tocca ammettere che “Life Metal” è un capolavoro. E dico purtroppo perché per poter affermare questo ho dovuto impiegare molto tempo, impegno ed attenzione. Ma con serenità posso rispondere finalmente ai quesiti iniziali: sì, i Sunn O))) sono artisti, e sì, sono degli onesti.
Il re è nudo, potremmo gridare, e ce l'ha lungo!
Il significato ultimo di questa opera è infatti una fiera affermazione di identità: noi siamo il drone-metal e nessuno è come noi. La forza di questa musica risiede nelle chitarre, che si alternano ed ammassano con una precisione ed una “intelligenza” mai udite prima (si pensi al dramma inscenato in "Troubled Air", che raggiunge vette sacrali nel finale, o ai giri vorticosi nell'incipit di "Novae", autentica liturgia doom, nonché momento più "dinamico" del platter).
Deve aver giovato al tutto la maturazione di O’Malley a seguito della sua collaborazione con il compositore minimalista Alvin Lucier, maestro di ipnosi attraverso l’impiego di impercettibili variazioni di toni e tempi. E in questo maelstrom di suoni, solo la mano esperta di Albini, che di distorsioni se ne intende, poteva valorizzare ogni singolo dettaglio e sfumatura, portando ad un ulteriore livello di tensione ed epicità il brutale rituale dei Sunn O))): rituale che viene reso ancora più maestoso dal fatto che non vengono ammesse divagazioni di sorta, sia in termini di (ehm…) melodia che di riffing black metal...
...il black metal, a questo giro, viene accantonato, fatta eccezione per gli ultimi funerei trenta secondi dell’opera, dove le chitarre sono lasciate a friggere in morbosi arpeggi che non avrebbero sfigurato in un album come "Under a Funeral Moon" dei Darkthrone: stoccata di inquietudine finale prima che tutto all'improvviso taccia, lasciando l'ascoltatore in un'angosciante sensazione di vuoto.
Il re è nudo, potremmo gridare, e ce l'ha lungo!
Il significato ultimo di questa opera è infatti una fiera affermazione di identità: noi siamo il drone-metal e nessuno è come noi. La forza di questa musica risiede nelle chitarre, che si alternano ed ammassano con una precisione ed una “intelligenza” mai udite prima (si pensi al dramma inscenato in "Troubled Air", che raggiunge vette sacrali nel finale, o ai giri vorticosi nell'incipit di "Novae", autentica liturgia doom, nonché momento più "dinamico" del platter).
Deve aver giovato al tutto la maturazione di O’Malley a seguito della sua collaborazione con il compositore minimalista Alvin Lucier, maestro di ipnosi attraverso l’impiego di impercettibili variazioni di toni e tempi. E in questo maelstrom di suoni, solo la mano esperta di Albini, che di distorsioni se ne intende, poteva valorizzare ogni singolo dettaglio e sfumatura, portando ad un ulteriore livello di tensione ed epicità il brutale rituale dei Sunn O))): rituale che viene reso ancora più maestoso dal fatto che non vengono ammesse divagazioni di sorta, sia in termini di (ehm…) melodia che di riffing black metal...
...il black metal, a questo giro, viene accantonato, fatta eccezione per gli ultimi funerei trenta secondi dell’opera, dove le chitarre sono lasciate a friggere in morbosi arpeggi che non avrebbero sfigurato in un album come "Under a Funeral Moon" dei Darkthrone: stoccata di inquietudine finale prima che tutto all'improvviso taccia, lasciando l'ascoltatore in un'angosciante sensazione di vuoto.
Il vuoto dopo il vuoto.
Silenzio
___Voto: 8/10
Canzone top: "Troubled Air" o "Novae"?
Momento top: ultimo minuto di "Novae"
Momento flop: in effetti dopo un po' "Aurora" inizia a rompere il cazzo...
Dati: anno 2019, 4 brani, 69 minuti
Etichetta: Southern Lord