Che gli Haken fossero degli ambiziosi fuoriclasse, sia da un punto di vista tecnico che compositivo, lo si poteva supporre già dal loro demo del 2008, “Enter the 5th dimension”: quasi un’ora di musica in appena 6 canzoni, con un paio di queste a sforare abbondantemente i 10’ di durata.
Dopo aver fatto il botto con “The Mountain” (2013) e prima di
pubblicare quell’albumone pauroso che risponde al titolo di “Affinity”, i
Nostri decisero di recuperare quella positiva esperienza della demo riprendendo
come base di partenza per un nuovo lavoro, tre brani ivi contenuti: “Blind”, “Black
seed” e “Snow”. Le “ristrutturarono” e ne fecero tre canzoni nuove di zecca. Cioè
le tre canzoni contenute in “Restoration”.
I miglioramenti nella line-up
(fenomenale la new entry al basso, Conner Green), le accresciute possibilità produttive
e la maturità acquisita in 6 anni, fanno di questo EP un capitolo importante
nella discografia degli Haken rappresentando quel ponte, quel passaggio dall’”adolescenza”
artistica (ancora debitrice del prog metal passato, Dream Theater su tutti) e
quella dell'assoluta maturità che sarebbe esplosa in tutta la sua magniloquenza
compositiva in “Affinity”.
In “Restoration” quindi troviamo
la pietanza iper-saporita, e solo a tratti stucchevole, di questo Nuovo Prog 3.0, quello del nuovo Millennio, in cui, affianco agli influssi immortali dei
Mostri Sacri degli anni ’70, e dei gruppi-icona dei ’90 (ripeto, Dream Theater in
testa), ha saputo inglobare, a seconda della bisogna e della propria
sensibilità, le influenze provenienti dai mille affluenti del Grande Fiume Progressive.
Ed ecco perciò che l’opener “Darkest light”, ad aperture ariosamente
melodiche che richiamano i Fates Warning, alterna serrate partiture djent o
math metal. Mentre nella successiva, oscura e solo apparentemente rilassata, “Earthlings” lo spettro di un progster
open-minded come Steven Wilson aleggia prepotente.
Ma è quasi pleonastico
ricordarlo: i Nostri sono talmente dotati e con le idee chiare che i brani
scorrono senza nessun fastidio da deja-vu, potendo contare su una loro qualità
intrinseca innegabile. E valorizzati dall’ottima produzione made in Insideout
Rec.
Discorsetto a parte merita la
mastodontica “Crystallised”, 19 minuti su 33 di durata dell’EP; EP che merita
di collocarsi nella nostra Rassegna essenzialmente per questa splendida
canzone, divisa idealmente in due parti: i primi 10’ si estrinsecano in una
“classica” suite prog, di grandissima qualità sì, ma se vogliamo abbastanza
canonica per struttura e songwriting (e su questa parte regna ancora l’ombra
lunga dei D.T.); ma i restanti 9’ sorprendono l’ascoltatore in modo inaspettato.
Lo sorprendono sia per le soluzioni vocali di Jennings (che si doppia tra un
recitato e un falsetto oltre a usare ulteriori registri linguistici), e successivamente
per una sezione strumentale piena zeppa di soluzioni oblique, stop&go, tempi
dispari a metà tra il jazz e un rivisitato prog d’antan …per poi esplodere in
un magniloquente finale di stampo sinfonico che recupera il motivo di partenza,
come nelle più classiche soluzioni progressive…alla fin fine, questi 20’ filano
via che è un piacere, senza pesantezze o forzature (anzi, paradossalmente sono
più faticosi i 6’ di “Darkest light”). Segno di classe&qualità del tutto.
Insomma, questa mezz’ora
abbondante di musica che gli Haken proposero nel 2014 possiamo considerarla
come un piccolo ma significativo avamposto sonoro non solo di un certo
post-prog metal (passatemi la definizione) che in quegli anni, e in questi, si
andava definendo come un sottogenere decisivo nel panorama metallico mondiale; ma
anche un abbozzo di una nuova frontiera del "metal colto" capace di superare schemi e limiti di modelli che, da un
lato costituiscono ancora un punto di riferimento, ma dall’altro ormai sono sentiti
come stretti…
Facile a dirsi ma difficile a
farsi.
Gli Haken lo hanno fatto.
A cura di Morningrise