"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

19 nov 2019

TOPOGRAFIA METALLICA - LA FORESTA



Si fa preso a dire foresta. Innanzitutto, va ammesso che prima dell'avvento del black, il metal era poco boschivo. L'epic metal faceva riferimento a foreste mitiche, ma tolto questo il topos della foresta non era frequentato molto. Oggi, su 170 gruppi che scelgono di includere “foresta” nel proprio nome, 140 sono black, nelle sue varie declinazioni. La foresta è un topos che attira tutti, da tutte le direzioni. Voglio dire, suona naturale che una forest provenga dal repertorio di tali Ferocia della Stregoneria Nera, e quasi scontato che scrivano una forest talaltri Il coro dei corvi morti; quasi obbligatorio che abbiano una forest gli Alberi Morti. E con tutt'altra valenza, forse bucolica e ecologica vanno a parare nella foresta Anti-society, per esempio.


Inoltre, la foresta è per eccellenza quella nordica, e se non nordica, invernale. Solo per tali Melkor la foresta è Dark Southern, per tutti gli altri è quella lontana dall'equatore, e fredda anche in Estate.

La foresta del metal non è quindi la pineta mediterranea: è buia, nera, è selva oscura, “acromatica” (Mythanos). L'oscurità è attributo essenziale perché si pongano tutti i principali significati collegati alla foresta. La foresta vive di barriere che preludono ad aperture sconfinate: barriera di tenebra dentro, e di ghiaccio e neve fuori. Già, perché le stagioni della foresta che interessano sono Inverno e Autunno. Con qualche eccezione che ci apre interessanti squarci sulle foreste riscaldate dal sole d'Estate: i Cradle of Filth offrono una suggestiva immagine della fine dell'Estate ("Summer dying fast") e dei suoi alberi carichi di frutti non colti che cadono putrefatti, mentre i rami sembrano crescere a vista d'occhio, in uno spasimo frenetico e disperato di vita, prima che la scure del gelo porti via le illusioni (the trees are growing restless, they feel the season change / their fruit has putrified, forbidden once, now bound to die).
Ci sono rare foreste “solari” (Haunt), o foreste dell'alba (Sabathon), ma sostanzialmente la luce rimane fuori e sopra la foresta. Quando vi entra, nelle radure, non si fonde con essa: Burzum descrive le radure luminose come una specie di trappole o luoghi di pena, in cui Dio colpisce sadicamente l'uomo bruciandone la pelle, e distraendolo da se stesso ("Hvys lyset tar oss"). Si salva la luce lunare, di per sé già fredda, e facilmente eclissabile ("When woods make graves").

La prima barriera della foresta è poi la distanza: lontana, distante, dimenticata (i famosi Forgotten Woods), perduta, in attesa da lungo tempo. Un luogo quasi nascosto, o comunque “lontano” poiché luogo coperto separato dai luoghi “scoperti” più rassicuranti.

Una vola entrati nella foresta, con il beneplacito del guardiano che ci mettono gli Shadow Wolf, ci si imbatte in una fauna variegata: lupi, tigri, orsi, corvi. E non possono mancare, senza alcun nesso logico, le capre (Granatus), che nel metal estremo sono piazzate un po' dappertutto, come le pecore nel presepe. Gli abitanti umani della foresta sono anch'essi di varia tipologia: eremiti, giganti che lanciano urla disperate (Desperation), cannibali. La foresta quindi è tangeziale all'umanità, è un luogo “in limine vitae” in vario modo: l'isolamento dell'eremita, la disperazione che piega anche la potenza fisica del gigante, e la vita che si nutre di altra vita. Si capisce quindi come invece sia piena di elementi di morte, fino alla metafora della foresta-sepolcro. Nella foresta sono collocati in maniera più o meno verosimile obitori, funerali, tombe, anime, fantasmi, spiriti, impiccati. In senso metafisico, la foresta è genericamente un luogo “di caduti”, e i Murder Hill parlano di Foresta dell'Eterno Omicidio, e non mancano i Foresta del Suicidio come gruppo e come brani.

La foresta stessa, oltre che da contenitore di morte, è essa stessa suolo morto: pietrificata, qualcuno si allunga anche nello specifico geologico (“di granito”), decaduta. Preparandosi e arrivando per tempo, anziché trovare questa morte assoluta e ormai impalpabile si possono invece reperire elementi mortuari, come teschi, corpi, carni smembrate, frattaglie varie, chiodi sporchi e insanguinati (Vardan), fino al punto che le ossa sparse per terra diventeranno le radici di una foresta (Blecanthra) e legno che diviene carne.

Nessun buon auspicio, quindi. Per i gruppi doom e depressive la foresta è il luogo isolato dell'incomunicabilità del dolore, la via del non ritorno verso l'annichilimento. Foreste dell'oblio, delle anime perdute, dei sogni dimenticati, della disperazione, del dolore perpetuo, senza speranza, dei pensieri mai nati....del niente (oh, ci voleva tanto, un premio alla semplicità). E ancora, foreste dell'ignoranza, delle risposte perdute, delle promesse rotte (premio della critica per i Dunnoc). Personificando la foresta in questi termini, essa diviene malata, sadica (!), misantropica, atroce.

Ricordiamo che, nella cronaca nera legata al metal, almeno due episodi avvengono nella foresta. Uno è l'omicidio di Sandro Beyer ad opera dei primi Absurd, che fu appunto attirato in un bosco. Gli stessi Absurd descriveranno l'evento in un loro brano, con un testo che fa trapelare una vena amara. L'altra vicenda è quella delle Bestie di Satana, che nel bosco di Somma Lombardo uccisero e seppellirono due giovani metallari loro amici. La storia venne alla luce a seguito di un altro omicidio nei boschi di Golasecca, sempre ad opera di membri delle Bestie.

La foresta sembra parlare di questo suo ruolo negativo, di questa suo farsi carico del dolore degli uomini. La voce della foresta è fatta di vento e di silenzio. Gli Wrathful Plague immaginano venti amari e pungenti, e i Solus concepiscono le ossimoriche “urla della foresta silenziosa”, così come i Neige Noire i “suoni dalla foresta abbandonata”. Più criptici i Frozen Scars che odono “suoni argentati”.

Per i meno pessimisti, amanti della versione più fiabesca della foresta, essa è un luogo sacro, forse perché coacervo di fenomeni naturali, scrigno di vita selvatica. Per questo si è meritata una divinità dedicata (Artemide/Diana, Pan o Cerunnos che sia), . Reclamano un posto nella foresta divinità positive e negative, fate e streghe, si erigono costruzioni di vario tipo, dagli altari alle templi, fino alle speculazioni edilizie che vedono addirittura una cattedrale (tanto inutile quanto la cattedrale nel deserto).

La foresta è un richiamo. In essa risiede un polo di attrazione, che risucchia l'uomo e inghiotte, per proiettarlo poi in genere in un immaginario e ideale punto centrale della foresta. Dal centro l'uomo domina il territorio circostante, di solito quindi diviene “re” della foresta, e va a sedersi sul suo trono naturale, che lì lo attendeva, lo reclamava, addirittura (Algoma).

Il baricentro della foresta è quindi un punto di comando, di controllo e di dominio, non è ben chiaro se su stessi o sull'esterno, e rappresenta quindi un punto di equilibrio in un sistema articolato tra chi siede al centro, la fascia forestale che lo circonda, e la fascia esteriore che corrisponde al mondo. In una specie di rapporto di esclusività che ritorna eternamente, cosicché ciascun uomo, nel suo percorso esistenziale, dovrà entrare “nella foresta dove nessuno ha mai messo piede”...ancora vergine, per scoprire poi magari che l'ha data a tutti.

Andare verso il bosco, del resto, è una metafora della morte. Gli anziani montanari vanno a morire nel bosco (così come i più giovani Forlorn), per esempio, in una specie di ascensione alla vetta della vita, solitaria, brulla e gelida come la morte.

In alcune popolazioni africane invece, il bosco è il luogo in cui si risolvono i problemi. Ad esempio una persona estromessa dalla comunità per qualche crimine, o che ha subito qualche torto, si rifugia nel bosco e là scompare per un po' di giorni, dopo di che torna indietro e compie una strage di chi lo ha oltraggiato, ristabilendo così l'equilibrio, con l'aiuto dell'ispirazione boschiva.
E, sulla scia di quest'idea della foresta come culla di un male che cova per esplodere all'esterno, essa diviene anche il quartier generale delle forze pagane, da cui muoverà la riscossa, e da cui si ode già il respiro della vendetta (Myrkvids Draumar).

Una volta entrati, che cosa significa “essere” nella foresta? Prevalgono gli “stati in luogo” deprimenti, come la foresta dell'inumana crocifissione, dell'isolamento, e (premio della critica) la foresta della bocca cucita (Lost Eden), nonostante qualcuno si azzardi a parlare di foresta d'amore (Manipulated Slaves) o armonia (Hanestesia).

In conclusione, l'epic metal l'aveva in pugno, e l'ha incredibilmente trascurata. Ci hanno messo la buona volontà i Rhapsody a ripopolarla di unicorni, ma non è bastato. La pletora di gruppi depressive e black l'ha decisamente infettata di negatività, peggio della Xylella per gli ulivi del Salento. Triste è entrarvi, e a differenza di Dante la via d'uscita non è un mistico viaggio verso la conoscenza, ma una triste disillusione che può finire già dentro la foresta, o oltre la foresta, quando l'uomo non trova quello che sperava, al termine del viaggio. Questa tematica è la stessa di Fossati, di cui mi vengono in mente due testi. Uno è "Lindbergh", quando dice “non sono che l'anima di un pesce con le ali, volato via dal mare per annusare le stelle; difficile non è nuotare contro la corrente, ma arrivare in cielo, e non trovarci niente”. L'altro è la tristissima “La volpe”, che appunto riporta al tema della foresta. L'ombra di una volpe in lontananza fa immaginare le cose più svariate, che ci vengono a consolare del nostro dolore: un amico che viene a farci visita, la nostra amata che ci ha ripensato.... e invece è soltanto la volpe, che quando viene l'inverno si muove per tornare nella tana. Si arrende al gelo.

In alcuni casi la foresta è un passaggio, un tramite. Come la “selva oscura” dantesca, è metafora di smarrimento, di errore, o di irrisoluzione esistenziale, che va attraversata per approdare oltre. In questa terra di mezzo possono esservi prove, pericoli ed enigmi da risolvere, che aprono vie d'uscita una volta superati. Questo spiega perché gli uomini vadano a cercarsi il buio della foresta, a rischio di perdersi, quando devono trovare una soluzione per la propria vita. Entrano nel cuore buio e fitto del problema, per trovare da dentro la soluzione, in una sfida con la sorte. Oltre la foresta può quindi esservi l'illuminazione, l'eldorado, la libertà, ma non è scontato che sia così.

L'oltre può essere immaginario, velleitario, mentre il destino umano si esaurisce dentro la foresta, si realizza nella solitudine e nell'alienazione, magari dignitosa per chi ha provato ad addentrarvisi e a trovare una soluzione. I generi “pessimistici” del metal, dal doom al depressive, vedono l'uomo sfidare la foresta per trovarvi infine il proprio vero destino irrisolto e perduto, al centro di un groviglio e di una tenebra che non lo restituirà alla vita, ma lo sequestrerà per sempre. I Crucifix ammoniscono sul “peggior sogno oltre la foresta”. D'altra parte, anche l'inquietante metafora dei Perdergast forest, “gli intestini della foresta”, ci fanno immaginare che alla fine di questo viaggio spirituale la foresta ci defechi in qualche latrina esterna che sarà la nostra ultima tappa.

Per dirla con gli Ecksurcyst, “dove la foresta stessa non osa metter piede”...

A cura del Dottore