Per stimolare e incuriosire i
nostri lettori, nel 2021 il nostro Lost In Moments si è fatto in 3 (dosi) per
stilare la sua immancabile, e insindacabile, classifica finale dei migliori
album dell’anno in corso.
I tre platters vincitori sono davvero molto diversi l’uno dall’altro e rispondono, idealmente, a tre diversi profili di metalhead e/o gusti metallici.
Oggi vogliamo dare un seguito a
quelle scelte, proponendo una breve scheda maggiormente esplicativa per ognuno dei tre “campioni”
della nostra ambita classifica…
1) “SENJUTSU” (Iron Maiden)
Se c’è una cosa che detesto
leggere nelle recensioni sulle nuove release delle band, soprattutto se
“storiche”, è la frase Quest’ultimo disco è il migliore dai tempi di….
Ecco: “Senjutsu”, per chi scrive,
è il miglior album della Vergine di Ferro dai tempi di “The X Factor”. Dopo
esserci trastullati nel parlarvene in anteprima, oggi vogliamo seriamente
rendere omaggio alle nostre venerate leggende verso le quali, negli anni passati, non abbiamo risparmiato critiche, evidenziandone limiti e ridondanze.
Ebbene, “Senjutsu”, lo possiamo assolutamente affermare dopo 5 mesi di ascolto quasi continuativo, è l’album più equilibrato e maturo degli Iron-con-la-formazione-a-6. Quello che salta subito alle orecchie, dopo gli 82’ di running time, è la sua compattezza, il suo equilibrio interno. Elementi, questi due, mai raggiunti in tutti i lunghi dischi del post-reunion.
Avrete già letto
di ogni sul disco; lo avrete già sentito e ognuno avrà i suoi brani preferiti e
quelli che invece preferisce skippare (personalmente, non mi viene da saltarne
nemmeno uno durante l’ascolto). Ma credo che potremo essere tutti d’accordo nel
sostenere che ciascuno dei sei nonnetti fa il suo sporco e professionale lavoro:
dalla consueta secchezza e precisione del drumming di Nico (oh, a giugno son
70, cavoli!) alle linee vocali di Bruce che, ponderate con l’età e i gravi problemi
che ha avuto non troppi anni fa, sono assolutamente all’altezza. Ma ciò che,
secondo la nostra Redazione, innalza “Senjutsu” sopra le altre release del XXI
sec. dei Nostri è la qualità del songwriting: le sezioni strumentali dei lunghi
brani in scaletta sono uno migliore dell’altro e mai men che più che buoni. Su
tutti, per il sottoscritto, spiccano quelle della meravigliosa “Darkest hour”
(brano top dell’album) ma ogni song presenta una cura e un’ispirazione negli
arrangiamenti che soltanto sporadicamente potevamo riscontrare nei dischi
passati.
Ci sarebbero altre mille cose da
dire, ovviamente, su un evento metallico tanto ingombrante, ma non è questa la
sede. Soltanto una considerazione: se scioglimento sarà dopo “Senjutsu”, allora
lo sarà “in bellezza” (cosa che, in tutta onestà, non avremmo potuto dire con
“The Book of Souls”).
Eterni (?)…
Voto: 7/8
2) “VADAK” (Thy Catafalque)
Nel 2021 abbiamo fatto incetta di one-man band grazie alla straordinaria Rassegna sull’atmospheric black metal del nostro Mementomori. Ed è un’altra one-man band che in Redazione, nel corso dell’anno, si è fatta largo nelle nostre preferenze: i Thy Catafalque del tristo figuro Tamás Kátai da Makó, sud est dell’Ungheria, a un passo dal confine con la Romania. Non precisamente un posto ridente, tanto che il Nostro, nel corso della sua ormai ventennale carriera, partendo dalla sua cittadina, ha cercato di trovare spazio e ispirazione per il suo progetto in Scozia e in Inghilterra, prima di tornare nella sua terra natìa (ma stavolta a Budapest).
Questo “Vadak” mette a fuoco l'impostazione sonora già apprezzata nel precedente "Naiv" (2020), risultando il disco della consacrazione e della maturità per Kátai. Album complesso, variegato, a tratti spiazzante. Nei suoi 61’ ritroviamo una tendenza che Metal Mirror aveva rilevato già da tempo in certo extreme metal; e cioè quella di contaminare il moderno death metal con il folk, il neo-prog e sezioni jazz/fusion. Ihsahn ed Enslaved (tra i “vecchi”), Imperial Triumphant e White Ward (tra i “nuovi”) sono solo alcuni dei molteplici acts che, nell’ultimo decennio, hanno proposto, in svariate modalità, quanto su detto.
Facendo abbondante uso di sassofono, viola, violoncello, cornamuse e svariati strumenti etnici (il duduk armeno, il dumbek egiziano, il riq iraniano, la tabla indiana), oltre a corposi inserti di female vocals, i Thy Catafalque seguono questo ricco e stimolante solco, aggiungendovi, appunto, una buona dose di etnicità (titoli e testi in magiaro) e parti di elettronica al limite della kosmische.
Non vi spaventate però: Kátai maneggia tutto con padronanza ed
equilibrio e l’ora di musica scorre che è un piacere, riuscendo nel volgere di
brevi istanti a trasportarci dalle viscere infuocate di un metal estremo alle placide
vette di una montagna da cui contemplare in estasi un bellissimo paesaggio
boschivo… (ogni riferimento alla cover non è casuale…).
Coraggio e ispirazione.
Voto: 8
3) “DE DOORN” (Amenra)
De Doorn, ovvero La Spina in fiammingo, è la nuova fatica dei belgi Amenra che debuttano su Relapse Rec. (dopo essere stati alla corte della Neurot Rec.). Ebbene, quello che vi aspetterà in questi 46’ è anticipato da titolo e copertina dell’album: spine acuminate che vi scartavetreranno pelle, carne e anima. Ma tranquilli, con classe e lentezza (e una certa dose di sadismo…).
Se i Numi Tutelari del
post-hard core/sludge sono senza dubbio le stelle polari dei 5 di Courtrai
(Neurosis, Cult of Luna, Isis) dal canto loro i Nostri innervano gli stilemi
del genere con buone dosi di post-metal, tribalismi assortiti e momenti
ambient, donando alla proposta, non solo una varietà necessaria alla sua
freschezza e attualità, ma anche una capacità mesmerica che ammalia il
malcapitato ascoltatore che ha l'impressione di essere stato catapultato al centro di un misterioso rito esoterico.
L’accoppiata centrale “De evenmens / Het
gloren”, quasi 20’ totali, esplicitano al meglio quanto descritto.
Citando il nostro Lost in
Moments, disco per chi ricerca le ombre musicali…
Voto: 7,5
E ora vediamo per questo 2022 cosa ci serberà il variegato, e sempre più imprevedibile, Reame del Metallo...
A cura di Morningrise