Non so perché, ma per me la Reunion degli Iron Maiden, tecnicamente iniziata con il rientro di Dickinson e “Brave new world”, in realtà la faccio coincidere con "Book of Souls".
Quando comprai "Book of Souls" (a scatola chiusa), fui incuriosito da due cose. Il concept e il doppio disco. Dico incuriosito, perché acquistare un disco a scatola chiusa è il risultato di una suggestione riuscita, qualcosa che ti fa credere che il prodotto sia interessante.
Questo forse era il famoso X- Factor, il fattore misterioso che
rende un disco riuscito. Non quello
che avrebbe dovuto esserci nell’album omonimo, a onorare il titolo. All’epoca
infatti vidi quel titolo ("The X-Factor"), per niente solleticante, poi vidi la
copertina, un Eddie graficamente non in salute, e infine la spiegazione di uno
dei Maiden sul significato del titolo, che diceva in poche parole “eravamo in
studio e non riuscivamo a trovare l’amalgama giusta per ottenere il giusto
sound, e poi alla fine, prova che ti riprova ci arrivammo…ecco, dicemmo, quello
era il fattore X che ci mancava!”. Mi caddero le braccia, non lo comprai e
snobbai i Maiden per parecchio tempo, tutta l’era Blaze e anche dopo. Tra l’altro
la spiegazione sa di cazzata, perché il senso più logico del titolo è quello
del gioco di parole tra l’espressione “il fattore x” e “x” nel senso di decimo,
poiché decimo album del gruppo. E poi, Harris, ma che modo di presentare un
disco è dire che fino all’ultimo non si trovava l’elemento convincente?
Tanti, come me, temevano proprio
questo, dopo "Fear of the dark", lo sbandamento. Questo discorso non ha a che
vedere con Blaze, che ho conosciuto ormai postumo rispetto alla sua esperienza
coi Maiden, ma lo scarso entusiasmo per la svolta impressa da Harris nei primi ’90,
e che si mantiene riconoscibile anche dopo il ritorno di Dickinson.
Comprensibilmente alla ricerca di nuove soluzioni dopo le vette toccate con i
dischi degli anni ’80, i Maiden avevano perso per strada Smith e lo storico
copertinista Riggs. Dopo un dischetto piacevole ma interlocutorio come “No
prayer…” conquistano un successo di pubblico con un disco veramente poco ispirato,
ossia “Fear of the dark”, il cui brano di punta ha l’unico pregio di essere
piazzato in chiusura, ed è per il resto un “compendio” di stile Maiden. Il
resto sono brani che vogliono accattivare, semplificati nella struttura,
prevedibili, col baricentro sul ritornello. E’ a questo punto che il vecchio
fan dei Maiden si rende conto che il nuovo corso è questo, e rimane interdetto
nel constatare che invece nuove frotte di ammiratori ne sanciscono il successo.
Anche l’ispirazione lirica non era al massimo, perché – a dir la verità – la paura del buio cantata così
genericamente non è proprio il massimo della fantasia di cui erano capaci i
Maiden.
Il rientro di Dickinson e di
Smith, e insieme a lui ritorna un amalgama sempre efficace, rinfrescato dalla
lunga assenza e dal paragone difficile da risolvere con i Blaze-Maiden. Anche
perché non si tratta di Blaze. I limiti di un brano come "Futureal", che parte
con classico piglio Maiden per cagarsi presto sotto con il ritornello, sono gli
stessi di "Be Quick or be dead", di "Montsegur" e diversi altri. C’è qualcuno che
vuol tirar corto sulla composizione, anziché dare il respiro giusto alla voce
di Dickinson. La componente vocale è stata sopravvalutata nel bene e nel male,
e la teatralità e la versatilità di Bruce sono chiaramente castrate dentro
brani che nascono e muoiono in mezzo minuto, arrivando subito al dunque. Anche
chi giustamente ironizza sull’abuso del ritornello, come in “The angel and the
gambler”, non ricorda forse che questa deviazione risale a ben prima dell’era
Blaze, e per questo andatevi a risentire "Tailgunner" da “No prayer”.
Il dittico dei Blaze-Maiden è un
argomento per me poco spinoso. Poco ispirati, tanto che se si chiede il titolo
di un brano di quell’epoca, alzano tutti la mano a dire “Sign of the cross” dal
primo e “The clansman” dal secondo, che comunque anche cantati da Dickinson
rimangono zoppi. Avvallamenti di qualità toccati in più occasioni, vagabondaggio
strutturale, tastiere pastose che risolvono tutto come la panna nei dolci.
Quando si è così confusi capita anche, per esempio, di dare a un brano che vuol’esser
commovente un titolo a-la Ramones ("Come estais amigos").
Non è che non si possa trovare qualche incongruenza tra lo stile vocale di Blaze, e la sua resa generale in quel periodo, e i Maiden. Il fatto è che non si potrà mai incolparlo di nulla, avesse anche sputato nel microfono. Si potrebbe perfino pontificare, in pieno delirio complottista, che qualcuno abbia appositamente scelto una figura potenzialmente inadatta ai Maiden per giustificare uno stallo creativo, e post-datarlo a X factor anziché a due album prima. Si potrebbe anche continuare a teorizzare che proprio la scelta di una voce anti-Dickinson (DiAnno non era in grado di rientrare) dovesse giustificare una ritirata strategica dietro la scusa di una virata stilistica.
Non è che non si possa trovare qualche incongruenza tra lo stile vocale di Blaze, e la sua resa generale in quel periodo, e i Maiden. Il fatto è che non si potrà mai incolparlo di nulla, avesse anche sputato nel microfono. Si potrebbe perfino pontificare, in pieno delirio complottista, che qualcuno abbia appositamente scelto una figura potenzialmente inadatta ai Maiden per giustificare uno stallo creativo, e post-datarlo a X factor anziché a due album prima. Si potrebbe anche continuare a teorizzare che proprio la scelta di una voce anti-Dickinson (DiAnno non era in grado di rientrare) dovesse giustificare una ritirata strategica dietro la scusa di una virata stilistica.
Fuori da eccessi dietrologici, la
morale della favola è che un progetto su una versione più dolce, elegante e
popolare dei Maiden c’è stato. La prima spallata è stata data con “No prayer”,
e ha fatto vacillare il colosso, provocando danni maggiori, ovvero la perdita
di due colonne. La seconda spallata è stata data con il fattore Blaze, che ha
reso i Maiden una band “ufficialmente in crisi” senza che questo risultasse
colpa dei suoi fondatori. Una speculazione in cui si compra in tempi di crisi,
per poi rivendere in tempi di ricrescita. Il rientro di Bruce e Smith è stato
speso così, anche se la vena creativa si basava su residui di una linea canzonettistica
non proprio esaltante, combinata però ad una vena “prog” che voleva riemergere.
L’ibrido creò non poche perplessità nel pubblico, e rese alcuni dischi riusciti
a metà proprio per questa proposta chiaramente schizofrenica. Ma anche chi
guidava il golpe fu, ugualmente, spiazzato e convenne che forse era meglio
rinunciare all’idea dei Maiden rock-star.
Quindi di chi era la colpa? Mah,
Dentro c’erano McBrain, Harris e Murray, Gers era il nuovo arrivato, e pur
contribuendo alla scrittura dei brani, ci sta che abbia invece tenuto in vita
il Maiden-sound di cui era accanito fan. Il problema non era solo un elemento
mancante, perché la ricomposizione della formazione non ha immediatamente
corretto il tiro, anche se ha fatto sentire il suo peso. Tanto non ce lo diranno mai, e resterebbe solo
una sterile attribuzione di responsabilità che tutti si rimpallerebbero.
Sta di fatto che questa reunion,
anche se dopo un periodo di rodaggio, è risultata vincente. Auspichiamo che sia
così anche per altre reunion di gruppi storici, e che non si fermino alle prime
avversità e alle prime contraddizioni. E’ finalmente un piacere sentire i
Maiden che, come chi li ascolta, non sono sicuri di quello che accadrà, ma sono
sicuri di quello che hanno da comunicare.
Il suono si snoda, cresce, gira, torna su se stesso, ma è nuovamente avventuroso.
Il suono si snoda, cresce, gira, torna su se stesso, ma è nuovamente avventuroso.
A cura del Dottore