"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 set 2023

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: BETHLEHEM


Settima puntata: Bethlehem - "Dictius Te Necare" (1996) 

La nascita del depressive black metal, come quella di ogni altro genere, è un discorso fluido, procede per scossoni attraverso esemplari ibridi, per tentativi: due passi avanti, uno indietro, come i bambini. Anche i Bethlehem non possono essere definiti depressive black metal tout court. Loro si definirebbero "dark metal", come il titolo del loro primo album, uscito in tempi in cui si sperava ancora di lanciare nuovi generi appioppando un aggettivo qualsiasi alla parola metal

Certo quell'aggettivo, dark, si presta molto bene a descrivere la musica dei Bethlehem, da indicare fra coloro che hanno contribuito a forgiare le modalità espressive del DBM e fra i primi, se non i primi, ad introdurre gli stilemi della variante suicidal

Ci scolleghiamo dallo stra-dominio scandinavo e ci portiamo in Germania, un luogo insolito per il black metal o per il doom. I Bethlehem suonano entrambi i generi, o meglio, mettono a punto una miscela di musica estrema che si pone in mezzo a black e doom, tanto da divenire seminali sia per il DBM che per il funeral doom, ma senza far parte né dell'uno né dell'altro ambito. I Nostri avrebbero infatti mantenuto nel corso della lunga carriera un profilo autonomo ed indipendente: chiamatelo pure dark metal, anche se ahimè non diverrà il nome di un nuovo genere. 

"Dark Metal", appunto, usciva nel 1994 e presentava un sound indubbiamente oscuro, sospeso fra liturgie doom ed asperità black metal. Del doom si ereditavano i tempi lenti, i refrain melodici, l'atmosfera opprimente; del black metal, invece, si intercettava il marciume, il nichilismo, il riffing e un aspro screaming quando il canto decideva di abbandonare le tonalità basse del growl. Un dato interessante è che in questo disco ci cantava Andreas Classen che qualche anno dopo avremmo ritrovato dietro al microfono nel primo album degli Shining. Del resto Niklas Kvarforth, fra i padri fondatori del DBM, non ha mai nascosto la propria ammirazione per la band tedesca, la quale peraltro, a livello lirico, ha fin da principio mostrato una predilezione per temi quale morte, suicidio, malattie mentali, depressione. 

Sentiamo cosa ebbe a dire al riguardo Jurgen Bartsch, bassista, autore dei testi ed unico membro costante in una formazione perennemente instabile: "Il Dark Metal per noi è uno stile di vita, probabilmente anche di più. Alcuni di noi hanno avuto alcune brutte esperienze con cose come il suicidio o la morte in generale. Io sono appena tornato in questa grande città tedesca dove una volta ho vissuto, e dove ho perso quasi tutti i miei amici per colpa di overdose o solo perché si erano annoiati dalla vita in generale e, pertanto, si sono uccisi. Naturalmente ho anche perso persone che in questi anni erano state molto vicine a me. Quando sono tornato qui, in questa città fantasma, non avevo amici, niente di niente, ma ero solo sepolto nel dolore e nella sofferenza. Bethlehem era una via d'uscita, mi ha totalmente aiutato a spiegare tutti quei sentimenti ed emozioni negative in qualcosa di così bello, che ha reso facile cambiare tutte quelle questioni oscure...in qualcosa che è sempre stata una cosa importante nella mia vita: la musica. Il nostro ex chitarrista, Klaus Matton che ha perso il padre, morto suicida, e che ha perso anche sua madre, morta di cancro, ha sicuramente provato gli stessi miei sentimenti. Gli altri, Steinhoff e specialmente Classen provenivano da famiglie con problemi e quando li ho incontrati per la prima volta mi sentivo in completa simbiosi, anche loro erano completamente persi. Fondamentalmente quattro persone si sono riunite per creare un genere veramente oscuro e vivere in un enorme buco nero. Senza via d'uscita, senza opzioni o possibilità. Completa oscurità, il buio mentale. Quindi l'unica possibilità di non seguire il destino era quello di distruggere le tenebre con la musica e se questo è stato istintivamente fatto, credo oggi che la creazione di una band come i Bethlehem era l'unica possibilità di salvare tutte le nostre vite. Diciamo non una terapia perché fino a quel momento la terapia erano sigarette e alcool ma un più promettente percorso di luce, completamente nato nell'inconscio. Ricordo quando poco prima di una prova, improvvisamente il nostro cantante disse: "La musica non è male, ma è buia", tutti ci guardammo l'un l'altro, sapevamo che l'unica nostra possibilità era suonare il "Dark Metal" e nient'altro". 

Successivamente avrebbe aggiunto: "Non ci si può suicidare perché la maggior parte di voi sono ancora morti. Da tempo sogno la morte. A volte sono io a morire, altre volte altra gente conosciuta e non, cose che in realtà sono accadute in passato. Otto anni fa sono tornato a casa ed ho trovato la mia ragazza strangolata con una corda da bucato: s'impiccò. Il suo viso quasi blu, lei era morta e l'unica cosa che potevo fare era quello di tagliare la corda con un coltello ed aspettare la polizia. Nella sua ultima lettera che mi ha scritto parlava di un angelo che sarebbe venuto a redimere il suo dolore ma non successe, evidentemente. Persi un amico per una overdose di eroina. In un pub un altro tizio cadde tra le mie braccia e morì ucciso da acido cianidrico. Tornai a Grevenbroich per iniziare una nuova vita ma poco dopo mia zia si suicidò impiccandosi. La morte mi perseguitava anche nei sogni. L'unico modo per uscirne è stata questa band, solo per incanalare tutti questi cattivi sentimenti in una cosa chiamata musica, una sorta di valvola di sfogo per tutti i miei incubi di morte e suicidio. Nel 1990 ho incontrato Matton il cui padre si era suicidato quando era un ragazzo e la cui madre morì di cancro poco dopo. Le prime canzoni erano assolutamente negative, opprimenti ed oscure: così nacque Dark Metal, perché questa descrizione si adatta totalmente alla musica che abbiamo suonato". 

Ho voluto riportare questi due lunghi passaggi proprio perché li ho trovati eloquenti nel descrivere gli umori che aleggiano intorno alla musica dei Bethlehem. Forse non sarà tutto vero, probabilmente ci saranno delle esagerazioni, ma qui non ci interessa appurare la veridicità di certe affermazioni, ma rimanere sul piano delle suggestioni intorno a cui si viene a costruire la musica. Ma per quanto l'opera prima rappresentasse un qualcosa di inedito ed indubbiamente audace nel panorama del metal estremo del periodo, il successore "Dictius Te Necare", uscito due anni dopo, riesce a suonare ancora più spiazzante. 

In poco più di quaranta minuti il tomo in questione mette in scena la follia più oscena. A fare la differenza - e questo si capisce dall'urlo isterico che apre l'album - è la voce del nuovo ingresso Rainen Landfermann, il quale presenzierà in formazione in occasione solo di questo lavoro (ma cambiare cantanti sarà lo sport preferito dei Bethlehem!). Si parla di un canto assimilabile agli stilemi del black metal, ma interpretato in modo così teatrale e sopra le righe da risultare scioccante,  totalmente inedito per il periodo e di certo seminale per i futuri cantanti di DBM (Nattram dei Silencer e lo stesso Niklas Kvassorth prenderanno appunti e ringrazieranno). Le corde vocali sembrano tirate fino ad un momento prima dello strappo e quel che ne esce sono grida agonizzanti, guati di animale sgozzato che ben si sposano con quei temi di sofferenza, disagio e follia che son descritti nei testi. Non è un caso che l'operazione sia marchiata dalla seguente dedica:

"This album is dedicated to all suicide victims" 

Non c'è che dire: suicidal depressive black metal ante litteram! Almeno per quanto riguarda il lato concettuale. Non che la musica si faccia accomodante per l'ascoltatore. Essa diviene sgangheratissima e disordinata, priva di quella compostezza che ancora nutriva il lavoro precedente. Pieni e vuoti si alternano, fra accelerazioni che partono in modo insensato e momenti di pura assenza fregiati da mesti arpeggi e misurati interventi di tastiere e pianoforte. Spicca il talento melodico del chitarrista Klaus Matton, vera marcia in più per la band ed elemento di ordine in un contesto di disgregazione psichica degna di un manicomio criminale. 

Certamente i Nostri non potevano non trarre forza e coraggio dalla nuova ondata del black metal scandinavo, che all'epoca era un punto di riferimento imprescindibile per chiunque, ma nei fatti la musica dei Bethlehem sembrava guardare più all'universo di sonorità proto-black di Bathory, Celtic Frost e Mercyful Fate, tanto che il loro dark metal (simbolo di una tenacemente voluta indipendenza artistica) poteva essere descritto come una versione estremizzata della band di King Diamond - intemperanze vocali incluse. Non mancavano quei tupa-tupa che rievocano certo thrash ottantiano che, anni prima, aveva fatto le prove per diventare death metal (da segnalare il fatto che Bartsch e Matton venivano dalla thrash meal band Morbid Vision). 

Non sarebbe stata neanche questa la definitiva incarnazione della band, che avrebbe cambiato nuovamente pelle (e metà dell'organico) con il successivo "S.U.I.Z.I.D." (1998), più impegnato sul fronte della sperimentazione e della contaminazione. I primi Bethlehem per certi aspetti mi ricordano i finlandesi Unholy, altri campioni del black/doom, egualmente fastidiosi ed intriganti, con la sola differenza che gli Unholy si sarebbero sciolti dopo quattro album mentre i Bethlehem arrivano ai nostri giorni. Chissà, forse proprio perché la band tedesca, paradossalmente, ha sempre costituito per i propri membri il più efficace antidoto contro la morte, come ribadito dallo stesso Bartsch: 

"Noi rappresentiamo la vita e la morte. Bianco e nero, la vita e la morte. Le nostre canzoni malinconiche e i testi di suicidio e morte hanno anche un altro lato, ma la maggior parte delle persone non se n'è resa conto. Le nostre canzoni sono state anche a favore della vita. Non erano esclusivamente pro-morte".