"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

17 ott 2025

"SONGS NO ONE WILL HEAR" - UN BIGLIETTO IN PRIMA FILA PER ASSISTERE ALLA FINE DEL MONDO!

 


Time to learn to live with the fears that lie ahead
Time to hold our own, and meet our bitter end
Can we gather strength, surrender to our fate?
Or will the world collapse, will we never change?

Let's ride it out as the clock ticks down

Il 12 settembre scorso, mentre gli ayreonauti di mezzo mondo (71 Paesi differenti rappresentati, compresi 214 fortunati provenienti dal Bel Paese) si riunivano ad Ayreonland…ehm, a Tilburg per l’”Amazing  Flight Through Time”, gli shows messi in piedi dal Lucassen Nazionale per la celebrazione dei 30 anni del viaggio ayreoniano (a proposito: aspettiamo con trepidazione l’ennesimo, apposito, DVD sull’evento), ebbene, quel giorno, per aggiungere gloria alla gloria, usciva anche il terzo album solista del lungagnone di Hilversum (a distanza di ben 13 anni dal buonissimo “Lost in the New Real”, datato 2012): “Songs No One Will Hear”.

Dopo un mese di ascolti pressoché continui da parte del sottoscritto, posso dire che questo album è la cosa migliore partorita da Arjen nell’ultimo decennio (diciamo dai The Gentle Storm di “The Diary” nel 2015).

Dopo il mezzo passo falso di “Transitus”, cinque anni fa, il Nostro ha ripreso le misure della messa a fuoco compositiva, con gli Star One prima (“Revel in Time”, 2022) e i Supersonic Revolution dopo (“Golden Age of Music”, 2023), altro progetto che si va ad aggiungere alla numerosa schiera di monicker sotto egida A.A.L.

Comunque, a questo giro Arjen è andato sul sicuro: soliti turnisti (violino/violoncello/flauto della triade folk Mathot/Westerveld/Goossens), le sorellone Irene e Floor Jansen alla voce, l’accoppiata Marcela Bovio-Robert Soeterboek alle backing vocals e, ca va sans dire, il suo accompagnatore da Legge 104, Joost van den Broek all’hammond e senza il quale ormai il Lucassen non attraversa manco più la strada sulle strisce pedonali.

Ebbene, il risultato è, sempre all'interno del 'canone lucasseniano', ai limiti dell’esaltante con 8 brani (per la versione no narration) per poco più di tre quarti d’ora di musica ispirata, articolata senza essere cervellotica, immediata senza essere banale e/o piaciona e, soprattutto, capace di alternare momenti strappalacrime ad altri pompanti e sculettanti, in un alternarsi di ritmi, colori e umori che risulta sempre fluido e credibile. Un plauso alla produzione made in InsideOut rec., ormai una garanzia in ambito progressive.

Due parole sul concept: che Arjen, appassionato cinefilo, abbia visto e rivisto il capolavoro “Don’t Look Up!”, di Adam McKay (per chi scrive il miglior regista/sceneggiatore contemporaneo) è evidente: l’album riprende quasi pedissequamente quel film del 2021 narrando i diversi comportamenti umani negli ultimi mesi (cinque, per l’esattezza) che precedono lo schianto di un asteroide sulla Terra. Schianto che, gli scienziati assicurano, polverizzerà la nostra Casa Comune.

E quindi: ci sarà che preferirà usare il tempo a disposizione per praticare la maggior quantità possibile, e nelle più svariate posizioni, di…come dire…”ginnastica vascolare” (“Shaggathon”); ci saranno gli immancabili negazionisti, complottisti e terrapiattisti che, asserendo che sia tutto fake, inveiranno contro i politicanti di turno (“Goddamn Conspiracy”); tanti anche coloro che si dispereranno per non poter raggiungere i prefissati obiettivi della vita, sui quali erano convinti di avere il pieno controllo (“The Universe Has Other Plans”). E poi: una coppia immaginerà come sarebbe stata la vita della propria bambina, nascitura che non vedrà mai la luce (la struggente “We’ll Never Know”); e chi, invece, seguendo la regola aurea business is business, ne approfitterà per guadagnare soldi fino all’ultimo, vendendo biglietti per un tour-bus organizzato per assistere all’evento (la geniale “Dr. Slumber’s Blue Bus”, dove torna il personaggio del dottore del titolo che avevamo già conosciuto nel precedente platter del 2012).

Nota di merito per due canzoni che, da sole, valgono l’acquisto dell’album: l’opener “The Clock Ticks Down” è una semi-ballad che lavora sui crescendo e su una melodia space-rock che ti si pianta nello stomaco per non lasciarti più; e la conclusiva, monumentale, “Our Final Song”, 14 minuti che racchiudono temi e stili dell’intero album andando a chiudere (ma veramente lo chiude?...) il concept in modo epico. Si consiglia, a tal proposito, l’ascolto con la lettura dei testi che, quanto mai come in questo caso, sono parte integrante imprescindibile dell’opera artistica.

Insomma, il Nostro, a 65 anni suonati, con la zucca sempre piena zeppa di idee, riesce ancora una volta a far centro con un album che sa intrattenere, emozionare e farci muovere il deretano. E, cosa che non guasta, farci riflettere. E scusate se è poco: ad una certa età non chiedo di meglio da un artista che ha accompagnato gli ultimi 30 anni della mia vita.

Chiosiamo con una riflessione da 'zero a zero': le reazioni di ognuno di noi, davanti ad una sorta di Giudizio Finale, potrebbero essere legittimamente le più disparate ma alcune domande, che Arjen pone, ci paiono ineludibili: diventerem(m)o migliori? Appianerem(m)o dissidi e regrets? Sarem(m)o capaci di unirci tra diversi in una sorta di ecumenismo umanistico tanto auspicabile quanto, soprattutto nei tempi odierni, utopistico?

Una parziale chiave di lettura Lucassen pare darla con uno degli ultimi versi dell’opera, quando, da musicista, pone al centro di tutto proprio la musica:

And me, I'm out here all alone
I'm free, as music fills my soul
Inspiration madly flows I feel no fear
Writing songs no one will hear

Voto: 8

Canzone top: “Our Final Song”

Momento top: l’arpeggio portante, e l’arrangiamento folk, di “Just Not Today”

Canzone flop: nessuna

Etichetta: InsideOut, 2025

Dati: 8 tracce (9 nella versione with narration); 46’ (50’)

A cura di Morningrise