Time to
learn to live with the fears that lie ahead
Time to hold our own, and meet our bitter end
Can we gather strength, surrender to our fate?
Or will the world collapse, will we never change?
Let's ride it out as the clock ticks down
Il 12 settembre scorso, mentre
gli ayreonauti di mezzo mondo (71 Paesi differenti rappresentati,
compresi 214 fortunati provenienti dal Bel Paese) si riunivano ad Ayreonland…ehm,
a Tilburg per l’”Amazing Flight
Through Time”, gli shows messi in piedi dal Lucassen Nazionale per la celebrazione dei 30 anni del viaggio ayreoniano (a proposito:
aspettiamo con trepidazione l’ennesimo, apposito, DVD sull’evento), ebbene,
quel giorno, per aggiungere gloria alla gloria, usciva anche il terzo album solista
del lungagnone di Hilversum (a distanza di ben 13 anni dal buonissimo “Lost
in the New Real”, datato 2012): “Songs No One Will Hear”.
Dopo un mese di ascolti pressoché continui da parte del sottoscritto, posso dire che questo album è la cosa migliore partorita da Arjen nell’ultimo decennio (diciamo dai The Gentle Storm di “The Diary” nel 2015).
Dopo il mezzo passo falso di “Transitus”,
cinque anni fa, il Nostro ha ripreso le misure della messa a fuoco compositiva,
con gli Star One prima (“Revel in Time”, 2022) e i Supersonic Revolution dopo (“Golden Age of Music”, 2023), altro progetto che si va ad
aggiungere alla numerosa schiera di monicker sotto egida A.A.L.
Comunque, a
questo giro Arjen è andato sul sicuro: soliti turnisti (violino/violoncello/flauto
della triade folk Mathot/Westerveld/Goossens), le sorellone Irene e Floor Jansen alla voce,
l’accoppiata Marcela Bovio-Robert Soeterboek alle backing vocals e, ca va
sans dire, il suo accompagnatore da Legge 104, Joost van den Broek
all’hammond e senza il quale ormai il Lucassen non attraversa manco più la
strada sulle strisce pedonali.
Ebbene, il risultato è, sempre all'interno del 'canone lucasseniano', ai limiti
dell’esaltante con 8 brani (per la versione no narration) per
poco più di tre quarti d’ora di musica ispirata, articolata senza essere
cervellotica, immediata senza essere banale e/o piaciona e, soprattutto, capace
di alternare momenti strappalacrime ad altri pompanti e sculettanti, in un
alternarsi di ritmi, colori e umori che risulta sempre fluido e credibile. Un
plauso alla produzione made in InsideOut rec., ormai una garanzia in
ambito progressive.
Due parole sul concept: che
Arjen, appassionato cinefilo, abbia visto e rivisto il capolavoro “Don’t Look
Up!”, di Adam McKay (per chi scrive il miglior regista/sceneggiatore
contemporaneo) è evidente: l’album riprende quasi pedissequamente quel film del
2021 narrando i diversi comportamenti umani negli ultimi mesi (cinque, per
l’esattezza) che precedono lo schianto di un asteroide sulla Terra. Schianto
che, gli scienziati assicurano, polverizzerà la nostra Casa Comune.
E quindi: ci sarà che preferirà
usare il tempo a disposizione per praticare la maggior quantità possibile, e
nelle più svariate posizioni, di…come dire…”ginnastica vascolare” (“Shaggathon”); ci
saranno gli immancabili negazionisti, complottisti e terrapiattisti che,
asserendo che sia tutto fake, inveiranno contro i politicanti di turno (“Goddamn
Conspiracy”); tanti anche coloro che si dispereranno per non poter raggiungere i prefissati obiettivi della vita, sui quali erano convinti di avere il pieno controllo (“The
Universe Has Other Plans”). E poi: una coppia immaginerà come sarebbe stata la
vita della propria bambina, nascitura che non vedrà mai la luce
(la struggente “We’ll Never Know”); e chi, invece, seguendo la regola aurea business
is business, ne approfitterà per guadagnare soldi fino all’ultimo, vendendo
biglietti per un tour-bus organizzato per assistere all’evento (la geniale “Dr.
Slumber’s Blue Bus”, dove torna il personaggio del dottore del titolo che
avevamo già conosciuto nel precedente platter del 2012).
Nota di merito per due canzoni
che, da sole, valgono l’acquisto dell’album: l’opener “The Clock Ticks Down”
è una semi-ballad che lavora sui crescendo e su una melodia space-rock che ti si pianta
nello stomaco per non lasciarti più; e la conclusiva, monumentale, “Our
Final Song”, 14 minuti che racchiudono temi e stili dell’intero
album andando a chiudere (ma veramente lo chiude?...) il concept in modo epico.
Insomma, il Nostro, a 65 anni suonati, con la zucca sempre piena zeppa di idee, riesce ancora una volta a far centro con un album che sa intrattenere, emozionare e farci muovere il deretano. E, cosa che non guasta, farci riflettere. E scusate se è poco: ad una certa età non chiedo di meglio da un artista che ha accompagnato gli ultimi 30 anni della mia vita.
Chiosiamo con una riflessione da 'zero a zero': le reazioni di ognuno di noi,
davanti ad una sorta di Giudizio Finale, potrebbero essere legittimamente le più disparate ma alcune
domande, che Arjen pone, ci paiono ineludibili: diventerem(m)o migliori?
Appianerem(m)o dissidi e regrets? Sarem(m)o capaci di unirci tra
diversi in una sorta di ecumenismo umanistico tanto auspicabile quanto,
soprattutto nei tempi odierni, utopistico?
Una parziale chiave di lettura
Lucassen pare darla con uno degli ultimi versi dell’opera, quando, da
musicista, pone al centro di tutto proprio la musica:
And me,
I'm out here all alone
I'm free, as music fills my soul
Inspiration madly flows I feel no fear
Writing songs no one will hear
Voto: 8
Canzone top: “Our Final Song”
Momento top: l’arpeggio
portante, e l’arrangiamento folk, di “Just Not Today”
Canzone flop: nessuna
Etichetta: InsideOut, 2025
Dati: 8 tracce (9 nella
versione with narration); 46’ (50’)