"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 ott 2025

VIAGGIO NEL DUNGEON SYNTH: LORD LOVIDICUS

 


Dalla parte dei Summoning: Lord Lovidicus, “Autumnal Winds and Times of Yore” (2013) 

Abbiamo chiarito la nostra posizione sui Summoning quando abbiamo parlato dei Pazuzu, che - almeno inizialmente - con i Summoning condividevano diversi membri e dunque ne ricalcavano certi aspetti stilistici. In quella circostanza abbiamo specificato che i Summoning sono una band black metal e NON dungeon synth, ma che, nonostante questo, hanno in qualche modo influito sulla genesi e sugli sviluppi del genere, sia a livello tematico che musicale. Ci siamo persino spinti a definirli come una delle entità più seminali del dungeon synth e a circoscrivere il range espressivo del genere fra due poli opposti: il minimalismo di Varg Vikernes/Burzum da un lato e l’approccio più barocco e stratificato dei Summoning dall'altro. 

Per raccontare la rinascita del dungeon synth all’inizio degli anni dieci, dopo un decennio buono di oblio, abbiamo non a caso pescato due nomi che rappresentassero queste due diverse ed opposte tendenze, Til Det Bergens Skyggene e Lord Lovidicus, con il primo nome ad incarnare l’anima più burzumiana del dungeon synth ed il secondo a rappresentare un fortunato approdo agli stilemi introdotti dai Summoning (per intenderci: trombette & drum-machine!). E proprio di questo parleremo oggi. 

I Lord Lovidicus vengono dal Connecticut, location che a questo punto non dovrebbe stupirci più di tanto, anche perché progetti americani dediti a queste sonorità se ne hanno avuti fin dalla prima era, basti citare Cernunnos Woods e Casket of Dreams. Nel nuovo millennio musicisti americani dediti al dungeon synth sarebbero stati all’ordine del giorno (da citare anche gli Abandoned Place - coevi ai Lord Lovidicus), un po’ perchè il genere ha saputo attecchire ovunque, un po’ perché con il tempo il fenomeno ha preso una piega nerd legata a giochi di ruolo e videogiochi. Ed in America ci sono moooolti nerd... 

Il nerd di turno si chiama Ryan Edward Lonardo, classe 1994, in arte Crow. Viene menzionato anche in Metal Archives dove, nella foto di ordinanza, campeggia con la sua simpatica faccia da Hobbit, gli occhialetti da secchione e niente meno che una maglietta di Burzum (la sua presenza nei Sacri Archivi del Metallo, per la cronaca, si spiega con il fatto che il Nostro ha anche militato nella black metal band Black Tyrants).  

Sebbene il nome del progetto prenda spunto da un personaggio di un videogioco (Lord Lovidicus era un vampiro in "The Elder Scrolls IV: Oblivion”), il buon Crow ci tiene a precisare che la musica da lui realizzata non vede le colonne sonore dei videogiochi come primaria fonte di influenza, bensì la letteratura fantasy (“Il Signore degli Anelli”, of course) e la tradizione norrena, mentre, musicalmente parlando, i punti di riferimento sono i soliti Mortiis, Burzum e i già citati Summoning

C’è da dire che all’inizio del suo percorso l’influenza primaria erano gli album ambient di Burzum (cosa riscontrabile nella primissima registrazione “Windbuchen” del 2009, nonchè dalle svariate cover del repertorio burzumiano realizzate in questo primissimo periodo). Già qualcosa cambia nelle registrazioni successive, “Journey to Beleriand” e “Quenta Silmarillion”, entrambe del 2010, orientate più verso il fantasy e palesemente ispirate dalle opere di Tolkien. E sebbene con il notevole “Trolldom” (2013) si fosse compiuto un mezzo passo indietro recuperando certe sonorità sperimentate alle origini del progetto (ma senza perdere quel piglio fantasy che oramai era divenuta caratteristica assodata del suo stile), l’EP “The Forges Fire”(sempre del 2013) avrebbe segnato una marcata svolta verso quelle sonorità più barocche e medievaleggianti che in genere associamo ai Summoning. 

Eccoci dunque ai 57 minuti di “Autumnal Winds and Times of Yore”, ancora del 2013. Da notare due dettagli interessanti in una copertina un po' banalotta che ha come soggetto un teschio su sfondo nero: uno, la raffigurazione di un castello sulla fronte del teschio;  due, il logo stilizzato - tipicamente dungeon synth - con le due L contornate da una luna ed un castelletto. Dettagli che faranno intuire al buon intenditore che, dietro a questa copertina dalle parvenze horror, si cela in realtà del puro e sano dungeon synth...   

Non è detto però che l’album piaccia a tutti, in quanto, del dungeon synth, il tomo in questione rappresenta il lato più squisitamente pacchiano. Se siete di quelli che non tollerano gli interludi atmosferici dei brani dei Summoning, quei momenti in cui trombette e flautini sintetizzati borbottano fra i colpi secchi di una batteria elettronica, allora un album come “Autumnal Winds and Times of Yore” potrebbe seriamente darvi dei problemi alle coronarie, costituendo esso l’apoteosi di tutto questo. 

Io stesso non mi posso definire un grande estimatore di questo approccio, ma posso certificare con tutta la mia onestà intellettuale che c’è della sostanza in questo album. I brani sono ben costruiti e più dimanici di quanto si possa pensare. Le tastierozze Casio riproducono suoni che odorano di anni ottanta, belli squadrati e “color pastello”, e sembrano pescare, oltre che dalla darkwave, anche dalla new wave e dal synth-pop (ad un ascoltatore italiano potrebbe venire in mente il pop barocco del Franco Battiato degli anni ottanta...). 

Questo dinamismo si esprime attraverso un suono ricco e stratificato, arrangiamenti elaborati fatti di due o persino tre melodie diverse che si avvicendano e il pulsare quasi incessante della drum-machine, con tanto di pause, ripartenze e cambi ritmici abbastanza frequenti. Ovviamente bisogna sempre tener presente che l’obiettivo del progetto è quello di ritrarre, tramite suoni vintage (ma corposi ed incisivi), scenari degni di una saga fantasy ove epicità e solennità procedono a braccetto. 

Considerata la complessità delle costruzioni sonore, mai come in questo caso sono necessari ripetuti ascolti per apprezzare appieno il prodotto. Fare un track by track risulta difficile quanto inutile: i nove brani hanno più o meno le stesse caratteristiche e variano principalmente per le loro qualità melodiche, o per gli umori rappresentati (certi episodi sono più cupi e marziali, altri più briosi). Caratteristiche, queste, che non è facile mettere per iscritto. 
 
Se dovessi tuttavia scegliere tre brani per esemplificare il sound dei Lord Lovidicus, citerei senz’altro la terza traccia “Mystic Apocrypha Of The Forsaken Acolyte”, con una melodia ricorrente che si stampa bene in testa e che non mancherà di commuovere i più deboli di cuore (a dimostrazione del talento dell'autore nello scovare melodie davvero vincenti e nemmeno troppo banali). V’è poi da menzionare l’ottava traccia “Fugue Of Thuringwethil”, un interludio di solo organo che per la sua tronfia solennità mi ha ricordato l’incipit della mitica “Mr Crowley” di Ozzy Osbourne. Infine non possono essere omessi i dieci minuti della conclusiva “Through The Gates Of Angband And Hells Of Iron”, apice compositivo dell’intera opera: il brano parte pacato per poi farsi mano a mano più irrequieto, sfoggiando i passaggi più complessi dell’album, fra ampollosi intrecci di tastiere e continue evoluzioni ritmiche (fra le cui pieghe, ad un certo punto, sembrerà persino di udire il ticchettio di una doppia-cassa). 

Insomma, nel complesso “Autumnal Winds and Times of Yore” convince nonostante ad un impatto iniziale possa apparire un po' plasticoso: saranno i ripetuti ascolti, come detto sopra, a svelare la sostanza di un lavoro ispirato nella scrittura ed intelligentemente costruito. 

Ritroveremo queste caratteristiche nel successivo “Kyndill Og Steinn”, il quale, confermando le coordinate stilistiche del predecessore, va a consolidare una visione artistica sempre più a fuoco, nonché a confermare lo stato di grazia compositiva del buon Crow, uno che dietro all'apparente semplicità di certe scelte stilistiche dimostra senz’altro solide competenze tecniche. 

Il progetto, tutt’oggi esistente, rilascerà altri due lavori ma si fermerà discograficamente nel 2015, lasciando dietro di sè una importante eredità. Ancora oggi i suoi lavori vengono citati fra i migliori dell’epopea del dungeon synth, sebbene, per le caratteristiche sopra descritte, potrebbero far storcere il naso ai patiti del dungeon più minimale ed evocativo. 

Gusti personali a parte, quel che è sicuro è che le opere di Lord Lovidicus rimangono pilastri della “rifondazione” del dungeon synth che a breve - lo abbiamo detto mille volte - avrebbe vissuto una importante fase di rifioritura.